A caccia di stelle primordiali

Una nuova prova (indiretta) dell'esistenza delle stelle primordiali è stata aggiunta grazie ad uno studio a guida italiana

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Gli astronomi sono da anni a caccia delle stelle primordiali, le più antiche dell’universo. Secondo quanto conosciamo attualmente della struttura dell’universo questi è ricco di elementi pesanti, dal carbonio, all’ossigeno, fino al ferro e oltre. Il Modello Standard, nonostante alcuni sinistri scricchiolii è ancora la teoria più accreditata, e ci dice che entro i primi tre minuti dal Big Bang erano stati prodotti gli elementi fondamentali del cosmo: idrogeno, elio e qualche traccia di litio e berillio.

Gli altri metalli (in astronomia, il termine metallo è usato per indicare qualsiasi elemento con peso atomico maggiore dell’elio, ad esempio, anche l’ossigeno è considerato un metallo anche se per i chimici non lo è) sono stati forgiati dalle stelle che terminando il loro ciclo vitale “esplodono” inseminando il cosmo degli altri metalli.

Le stelle per composizione chimica si dividono in due grandi classi: popolazione I (alla quale appartengono le stelle giovani come il nostro sole) e popolazione II. La teoria del Big Bang richiede necessariamente l’esistenza di stelle ancora più antiche, astri primordiali (popolazione III, la cui classificazione è stata aggiunta nel 1978) composti esclusivamente di idrogeno ed elio. Sarebbero loro ad aver dato il via alla produzione di qualsiasi altro elemento esistente, fabbricando via via carbonio, azoto, ossigeno, neon, e oltre, fino al ferro.

Tuttavia finora nessuno è riuscito a vedere una stella composta da soli idrogeno ed elio!

Una prova indiretta della loro esistenza è stata fornita da una recente ricerca guidata dall’Istituto Nazionale di Astrofisica di Bologna che si è avvalso del potente spettrografo del Very Large Telescope dell’Osservatorio del Paranal, in Cile.

I ricercatori hanno effettuato una serie di osservazioni dirette di un ammasso di galassie nella costellazione di Eridano noto come Macs JO416 che ha “amplificato” la luce di una dozzina di stelle lontanissime grazie all’effetto lente gravitazionale.

Come predetto dalla teoria della relatività generale di Einstein, questo enorme cluster di galassie collocato tra noi e quelle lontanissime stelle, curva la traiettoria della radiazione elettromagnetica emessa da quegli astri, distorcendola ma rendendola anche circa 40 volte più luminosa e permettendone quindi l’osservazione tramite i nostri telescopi.

Secondo questo studio, l’analisi spettrale di quelle stelle mostra la composizione classica della prima generazione stellare composta solo dalla nucleosintesi primordiale, ovvero idrogeno, elio e qualche traccia di litio. Non si tratta ancora di un’osservazione diretta che forse sarà possibile soltanto quando il James Webb Telescope, l’erede di Hubble, che ha già subito un paio d’anni di rinvii, verrà lanciato, sperabilmente nel 2021.