Gli scienziati alla ricerca dell’intelligenza extraterrestre (SETI) hanno perlustrato gli esopianeti alla ricerca di “firme biologiche“, sostanze chimiche specifiche o combinazioni di sostanze chimiche che alludono alla possibilità di una vita passata o presente.
Storicamente, però, le firme biologiche tendono a produrre falsi positivi. Ad esempio, uno studio pubblicato nel Journal of the Geological Society nel 2022 ha sfatato gran parte del trambusto attorno ai possibili batteri di Marte, in quanto ha identificato un’ampia gamma di processi chimici che si svolgono sul Pianeta Rosso producendo strutture simili a cellule batteriche e molecole a base di carbonio, dando l’illusione della “vita”.
Forse abbiamo cercato gli alieni nel modo sbagliato. Ed è proprio per questo che i ricercatori si sono avvicinati a un altro tipo di firma nella loro caccia alla vita extraterrestre: le cosiddette “tecnofirme” o technosignature.
Cosa sono le Tecnofirme?
Le tecnofirme sono la prova di alterazioni ambientali provocate dalla tecnologia in modi che noi umani possiamo rilevare (ad esempio: segnali radio, emissioni laser, megastrutture o inquinanti come anidride carbonica e metano).
Supponi di voler scoprire prove della presenza di una civiltà avanzata su uno dei 5.197 esopianeti là fuori: puoi cercare il calore in eccesso proveniente dalle loro stelle vicine e dedurre che tecnologie come i pannelli solari stanno catturando la luce delle stelle. Forse più facilmente, potremmo reclutare uno dei grandi telescopi spaziali della Terra per captare segnali radio insoliti dallo spazio. L’Allen Telescope Array del SETI Institute in California, il Robert C. Byrd Green Bank Telescope in West Virginia e l’Osservatorio Parkes nel New South Wales, in Australia, sono solo alcuni esempi di telescopi alla ricerca di firme tecnologiche in questo momento.
In un articolo di cui è coautore Adam Frank, professore di astrofisica all’Università di Rochester a New York City, e pubblicato su The Astrophysical Journal Letters, ha confrontato le firme biologiche con le tecnofirme, favorendo fortemente l’adozione di queste ultime. “È possibile che le prove dell’esistenza di tecnologia su un esopianeta possano essere più numerose e più facilmente rilevabili“, dice Frank. In effetti, la ricerca di firme tecnologiche è abbastanza semplice, dice. “Qualsiasi tecnologia utilizzata da una civiltà aliena sarà basata sulla stessa fisica e chimica che usiamo noi“.
Frank è lui stesso un ricercatore veterano del SETI. Ha già sviluppato un modello matematico per mostrare come una civiltà tecnologicamente sofisticata e il suo pianeta potrebbero svilupparsi o collassare; oppure come ipotetiche “exo-civiltà” possano essere classificate in base alla loro capacità di sfruttare l’energia; inoltre, ha inventato un esperimento mentale per capire se la Terra un tempo possa avere ospitato una civiltà industriale preumana.
Eliminare i falsi positivi
Frank ha anche ricevuto una sovvenzione dalla NASA per creare una libreria di firme tecnologiche online. Il suo lavoro si concentrerà sulle firme tecnologiche sulla superficie dei pianeti, come il calore emesso dai pannelli solari, e quelle nelle loro atmosfere, come i prodotti chimici industriali.
Supponiamo che la ricerca un giorno aiuti a rilevare una firma tecnologica da Kepler-62f, un esopianeta a 990 anni luce di distanza dalla Terra che è circa il 40% più grande e orbita attorno a una stella molto più fredda del nostro sole. Cosa succede dopo?
“Se un osservatore utilizza la nostra libreria di firme tecnologiche e trova qualcosa che corrisponde… beh, allora inizia il divertimento“, dice Frank. Innanzitutto, inizia un lungo periodo di controllo e ricontrollo della firma. Quindi, potremmo voler assicurarci che la firma sia il risultato della tecnologia reale e non di un processo naturale sulla superficie del pianeta. Questo è necessario poiché spesso emergono falsi positivi.
Diversi anni fa, l’oscuramento della stella di Tabby, una stella nana giallo-bianca a circa 1.280 anni luce di distanza dalla Terra, ha portato a speculare sulla possibilità che fosse una megastruttura aliena a bloccarne la luce, ma l’ipotesi più accettata è stata che si trattasse in realtà di piccole particelle di polvere in orbita attorno alla stella. L’Università della Columbia è solo l’ultima istituzione scientifica a mettere in dubbio questo scenario di megastruttura aliena, suggerendo che si tratta di un disco costituito da strati di ghiaccio, gas e roccia carbonacea accumulatisi a causa di una vicina esoluna in fusione.
In ogni caso, ad oggi, è ancora l’iconico segnale Wow!, il segnale radio di due minuti e mezzo che il radiotelescopio Big Ear della Ohio State University captò dallo spazio profondo nel 1977, il segnale radio alieno candidato più promettente. “La comunità scientifica ha sviluppato protocolli per il rilascio trasparente di qualsiasi firma definitiva“, afferma Frank. Ciò significa che solo quando ci sarà una solida convinzione nella veridicità di una tecnofirma il mondo verrà a saperlo. “E poi la storia cambierà per sempre“, dice Frank.
“Credo davvero che non siamo soli nell’universo. È troppo vasto perché la vita si formi solo su un pianeta casuale in una galassia casuale“, ha detto Stephen Holler, professore associato di fisica alla Fordham University di New York City. Holler pensa che la ricerca di firme tecnologiche sia attuabile.
Naturalmente, però, c’è un “ma”.
Possiamo trovare gli alieni prima che sia troppo tardi?
Per prima cosa, le nostre firme tecnologiche potrebbero non essere ovvie per le civiltà aliene.
“Dato che la nostra galassia ha un diametro di oltre 100.000 anni luce, possiamo essere individuati solo da una piccola frazione di essa“, afferma Holler. Inoltre, non abbiamo ancora realizzato qualcosa di abbastanza grande da alterare lo spazio intorno alla Terra, ad esempio una megastruttura come una sfera di Dyson che potrebbe sfruttare l’enorme energia del Sole. Inoltre, la maggior parte dei cambiamenti significativi nell’atmosfera terrestre sono avvenuti solo negli ultimi 100 anni, aggiunge Holler. “I segni della nostra presenza sono ancora molto freschi“.
“Supponendo che una civiltà extraterrestre si sia evoluta similmente all’umanità, la rilevabilità delle sue firme prodotte tecnologicamente dipenderebbe da quanto tempo è trascorso da quando ha raggiunto il livello di civiltà industriale e da quanto è lontana“, continua Holler.
Ma forse c’è una luce alla fine del tunnel.
Nel marzo 2022, Frank è coautore di un articolo pubblicato su The Planetary Science Journal. Nell’articolo viene dimostrato come le civiltà extraterrestri potrebbero rilevare determinate sostanze chimiche che usiamo nei condizionatori d’aria e negli imballaggi, poiché potrebbero utilizzare le stesse sostanze chimiche sul loro pianeta. “Siamo ancora nelle prime fasi del nostro lavoro, ma abbiamo prodotto alcuni ottimi risultati. Potremmo persino vedere le sostanze chimiche usando il James Webb Space Telescope se siamo fortunati“, dice Frank.
Il problema è che, quando gli alieni rilevaeranno queste sostanze chimiche, la nostra specie potrebbe essere già morta, secondo Holler. “Siamo sull’orlo dell’estinzione dall’alba dell’era nucleare, e il cambiamento climatico antropogenico minaccia la longevità dell’umanità“, dice.
La comunicazione genuina, elettrizzante e bidirezionale può essere un sogno irrealizzabile dati tutti questi ostacoli.
“Anche se individuassimo una tecnofirma, potremmo non avere mai la possibilità di ‘parlare’ con i suoi creatori, e non c’è alcuna garanzia che quella civiltà esista ancora“, spiega Holler.
La buona notizia è che, se davvero trovassimo le prove dell’esistenza di una civiltà aliena, avremmo anche una solida prova che si può sfuggire all’estinzione per autodistruzione, smentendo la teoria del grande filtro.