Il 2 giugno del 2020 il presidente della Russia, Vladimir Putin, firmò un decreto che aggiornava la dottrina di impiego delle armi nucleari presenti negli arsenali russi.
Questo documento, va ad aggiornare uno simile risalente al 2010 alla luce di nuove considerazioni sulle minacce nel campo internazionale derivanti anche, ma non solo, dall’introduzione di nuove tecnologie.
Nel testo viene ridefinito il compito delle forze nucleari strategiche e tattiche resosi necessario dalla fine dei trattati internazionali come l’ABM, l’INF o l’Open Skies, e dalla rinnovata conflittualità con l’Occidente e la NATO, senza dimenticare il dossier Cina, considerata dal Cremlino un vicino ingombrante e un alleato forzato la cui politica di riarmo ed espansione viene guardata con attenzione e sospetto.
Vi abbiamo già spiegato che, da quel momento, Mosca può ricorrere all’impiego di armamento atomico per neutralizzare minacce dirette verso la Russia non solo di tipo strettamente militare, siano esse convenzionali o nucleari, ma anche per eliminare l’impatto di azioni avversarie su strutture statali o militari critiche della Federazione Russa, la cui messa fuori uso comporterebbe l’interruzione delle azioni di ritorsione delle forze nucleari. Questo significa che, per esempio, se venisse portato un devastante attacco cyber contro la griglia di computer della difesa russa, e ne venisse identificato l’autore, la Russia potrebbe reagire adoperando il suo arsenale atomico.
Escalate to de-escalate
La parte che più ci interessa in questo periodo di belligeranza e di aspro confronto tra la Federazione e l’Occidente, è però un’altra: nell’articolo quattro del documento si legge che “la politica statale in materia di deterrenza nucleare è di natura difensiva, volta a mantenere il potenziale delle forze nucleari a un livello sufficiente a garantire la deterrenza nucleare, e garantisce la tutela della sovranità e dell’integrità territoriale dello Stato, dissuadendo un potenziale avversario dall’aggressione contro la Federazione Russa e/o i suoi alleati e, in caso di conflitto militare, impedendo l’escalation delle ostilità e la loro cessazione a condizioni accettabili per la Federazione Russa e/o i suoi alleati”.
In particolare l’ultima frase presuppone che la Russia possa usare armamento atomico di tipo tattico per ottenere la fine vittoriosa di un conflitto di tipo convenzionale che la vede coinvolta, nella classica strategia realista del escalate to de-escalate, ovvero di elevare il livello di scontro quel tanto che basta per far cessare il conflitto senza dover ricorre all’arsenale nucleare strategico, che implicherebbe, detto in altri termini, scatenare un conflitto mondiale.
Atomiche tattiche o strategiche?
Occorre ora chiarire la differenza tra un’arma nucleare tattica e una strategica. Si tratta di una distinzione basata sulla sua modalità di impiego (legata cioè agli obiettivi e ai vettori che la trasportano) e sulla potenza della stessa.
Una bomba nucleare a caduta libera di media potenza può essere utilizzata tatticamente, quindi sul campo di battaglia sganciata da un cacciabombardiere come un Tornado, un F-15, un Rafale o – presto – un F-35 oppure strategicamente, se sganciata da un bombardiere strategico come i B-52H statunitensi o i Tupolev Tu-95MS russi su città, porti, aeroporti, zone industriali.
In questo caso l’utilizzo nucleare è strategico in quanto va a colpire in profondità il territorio avversario per distruggerne il potenziale industriale, economico e demografico.
Lo stesso concetto si applica anche per alcuni tipi di missili da crociera che possono montare testate nucleari: se impiegati nel teatro bellico, cioè sul fronte, e se di basso potenziale, il loro utilizzo è definito come tattico, mentre se usati per colpire molto addentro al territorio nemico, è definito strategico.
Esistono armamenti prettamente strategici: gli ICBM (Intercontinental Ballistic Missile) i missili balistici intercontinentali (o quelli a raggio medio e intermedio), insieme a quelli lanciati da sottomarini (SLBM – Submarine Launched Ballistic Missile) sono armi nucleari strategiche anche se usate per colpire obiettivi militari come basi aeree o silos di lancio di ICBM, appunto per la loro grandissima gittata.
Anche alcuni missili da crociera sono considerabili armi prettamente strategiche: il famoso Tomahawk, lanciabile dagli incrociatori classe Ticonderoga o dai cacciatorpediniere classe Arleigh Burke, ha una gittata – a seconda dei modelli – compresa tra i 1250 e i 2500 chilometri, e può anche avere una testata nucleare oltre quella convenzionale. Allo stesso modo il nuovo missile da crociera russo 9M729, montato su piattaforma di lancio ruotata Iskander-K, avendo una gittata di circa 2500 chilometri e la possibilità di montare un ordigno nucleare di medio potenziale, rientra nei sistemi nucleari strategici, ma può comunque avere un uso tattico, al pari dei Tomahawk.
Non solo questione di potenza
In effetti la distinzione tra i due tipi di impiego non è mai stata molto netta, e anche le potenze delle testate non hanno mai rappresentato uno spartiacque per distinguerli. Generalmente, però, un’arma nucleare tattica, dovendo essere impiegata sul campo di battaglia, ha una potenza minore rispetto a una strategica.
Le potenze degli ordigni nucleari vengono espresse in chilotoni (Kt), pari a mille tonnellate di tritolo, e in megatoni (Mt), pari a un milione di tonnellate di tritolo. Le atomiche di Hiroshima e Nagasaki, per esempio, avevano una potenza che si aggirava intorno ai 20 chilotoni, mentre la tipica bomba nucleare tattica presente negli arsenali della NATO, la B61-12 che sta recentemente sostituendo i modelli precedenti, ha una potenza selezionabile – prima dell’uso – su quattro opzioni: 0.3 Kt, 1.5 Kt, 10 Kt, e 50 Kt.
Il missile di teatro di fabbricazione sovietica, ancora utilizzato da Russia e Ucraina, Tochka-U può montare una testata atomica di 100 Kt. Invece un missile da crociera aviolanciabile tipico russo, come il Kh-101 (utilizzato dai bombardieri Tupolev Tu-160) ha una testata di 250 Kt ma per la sua portata – tra i 2500 e i 2800 chilometri – è considerata un’arma strategica.
Quante sono le armi nucleari tattiche?
È difficile quantificare quante armi nucleari tattiche siano a disposizione negli arsenali di Stati Uniti e Russia: dopo il 1991, secondo accordi bilaterali, è stato avviato un processo di distruzione della maggior parte di questo particolare tipo di munizionamento che ha eliminato, ad esempio, i proiettili di artiglieria atomici, le mine terrestri e le testate per missili campali, ma ha lasciato un serie di altri sistemi utilizzati da velivoli e unità navali per rispettare i trattati che vigevano (come ad esempio il già citato INF).
L’ultimo rapporto statunitense (marzo 2022), stima che la Russia abbia una varietà di sistemi di consegna che possono trasportare testate nucleari non strategiche utilizzabili dalla sua componente navale (sottomarini e unità di superficie), dalle forze aeree tattiche (Su-24 e Tu-22M) nonché su missili balistici a corto raggio. Si valuta che il numero di testate definibili come armi nucleari non strategiche presenti nell’arsenale russo ammonti a circa 1900. Per fare un paragone, in quello statunitense, è di circa 600.
Il numero di vettori è ancora di più difficile quantificazione, dato che molto sistemi moderni hanno capacità duale (nucleare e convenzionale): molti dei sistemi missilistici a raggio medio e intermedio della Russia, tra cui il missile da crociera Kalibr lanciabile da unità navali, i missili balistici a corto raggio Iskander-M, e si suppone anche i nuovi ALBM (Air Launched Ballistic Missile) Kh-47M2 Kinzhal e l’ipersonico 3M22 Zircon, possono infatti trasportare testate nucleari o convenzionali.
Gli Stati Uniti, per bilanciare la disparità numerica tra NATO e Russia delle forze convenzionali e nucleari tattiche, nonostante la fine della Guerra Fredda hanno lasciato in Europa un certo numero di bombe nucleari tattiche a caduta libera tipo B61: tra le 50 e le 100 sono stoccate presso la base aerea di Lakenheath (UK), tra le 10 e le 20 a Kleine Brogel (Belgio), altrettante a Volkel (Olanda) e a Buchel (Germania), mentre sarebbero 50 quelle in Italia ad Aviano che si vanno a sommare alle circa 40 di Ghedi, infine a Incirlik (Turchia) ce ne potrebbero essere tra le 50 e le 90.
Questi ordigni sono utilizzabili secondo il meccanismo definito “a doppia chiave” (ovvero previa autorizzazione da parte statunitense) dagli Stati che li hanno immagazzinati.
Oltre a questo, e sulla scorta della fine del Trattato INF, nella recente Nuclear Posture Review, pubblicata nel gennaio 2018, Washington ha stabilito di espandere le forze nucleari non strategiche sviluppando e schierando un nuovo missile da crociera (SLCM) con possibilità di avere carica nucleare. Sempre in quel documento gli Stati Uniti hanno deciso di dotarsi di testate di basso potenziale e missili balistici lanciati da sottomarini con carica convenzionale, andando a minare la stabilità strategica e la capacità di deterrenza degli arsenali nucleari.