Quante volte abbiamo pensato che navigando in incognito su Google Chrome i nostri dati risultassero protetti e le nostre ricerche al sicuro? A quanto pare non è proprio così.
Un gruppo di consumatori, nell’estate dello scorso anno, ha chiesto un cospicuo risarcimento danni per l’attività di tracciamento effettuata dal browser Google Chrome mentre utilizzavano la modalità in incognito. Venerdì scorso un giudice federale della California ha confermato che Google dovrà affrontare la causa.
Ma andiamo per ordine: per prima cosa è importante chiarire cosa si intende per navigazione in incognito.
La navigazione in incognito di Google Chrome serve a non lasciare tracce sul dispositivo in uso. Quando si naviga in incognito, sui nostri computer o dispositivi mobili non vengono salvati: cookie, cronologia della navigazione, file temporanei. Per essere precisi, i cookie e i dati dei siti vengono salvati, ma vengono eliminati automaticamente quando si esce dalla modalità in incognito.
La navigazione in incognito permette quindi il monitoraggio dell’attività sul web da parte degli amministratori di rete e dei fornitori di servizi internet, inoltre rende rintracciabile il nostro indirizzo IP.
La Class Action intentata nei confronti del colosso di Mountain View, presso il tribunale di San Josè, in California, si basa sulle affermazioni di un numeroso gruppo di utenti in base alle quali Google raccoglie i dati personali degli utenti anche quando questi ultimi stanno utilizzando la modalità in incognito della navigazione, con conseguente archiviazione di informazioni personali.
La causa potrebbe costare a Google almeno 5 miliardi di dollari di risarcimento danni, cioè 5mila dollari per utente.
L’accusa sostiene che la navigazione in incognito di Google Chrome dia una falsa impressione di anonimato; in particolare risultano sotto accusa alcuni servizi di tracking come Google Analytics e Google Ad Manager usate da Google.
Si tratterebbe di tracking estremamente invasivo: verrebbero infatti raccolte informazioni riguardanti gli amici, i passatempi e le preferenze, i brand per creare un profilo dettagliato dell’utente: “dati molto intimi e riservati”.
In pratica l’accusa sostiene che Google stia ingannando gli utenti facendo loro credere di avere il totale controllo sulle informazioni quando è in uso la modalità di navigazione in incognito.
Naturalmente il colosso del web, con il fine di far archiviare la causa, ha spiegato che “navigare in incognito” non equivale ad essere invisibili sul web, ai servizi di analisi o pubblicità di terze parti utilizzate da quei siti.
Un portavoce di Google ha evidenziato che “La modalità in incognito di Google Chrome dà all’utente la scelta di navigare in Internet senza che la sua attività venga salvata nel browser o nel dispositivo da cui si accede a Internet. Come spiegato chiaramente, ogni volta che si apre una scheda in navigazione privata, i siti web potrebbero essere comunque in grado di raccogliere informazioni sull’attività di navigazione dell’utente durante la sessione”.
Le spiegazioni fornite non hanno però convinto il giudice federale Lucy Koh della corte distrettuale di San Jose, la quale ha affermato che Google non ha informato gli utenti che Google chrome si impegna nella presunta raccolta di dati mentre l’utente è in modalità di navigazione privata, pertanto ora Mountain View andrà a processo.
Non è la prima volta che Google è al centro di una bufera riguardante la tutela della privacy: nell’estate del 2020, Google è stata accusata di tracciare gli utenti attraverso le app anche dopo che gli utenti seguono le impostazioni consigliate dall’azienda per interrompere tale monitoraggio.
In questo caso l’accusa sostiene che attraverso Firebase SDK, Google può controllare le interazioni dell’utente con l’app, tra cui la visualizzazione di contenuti, la creazione di nuovi contenuti o la condivisione di contenuti.
In altre parole, Google terrebbe traccia di tutto ciò che “gli utenti vedono, creano e condividono online quando usano le app installate sui loro dispositivi mobili”.