Secondo un team di ricercatori di Mosca e Princeton, un gruppo di nematodi vitali è stato rinvenuto in un campione di nucleo glaciale prelevato con un carotaggio effettuato a 30 metri di profondità, nel permafrost vicino alle rive del fiume Kolyma.
Da alcuni anni, si vanno diffondendo allarmi relativi al fatto che, con il riscaldamento globale e lo scioglimento dei ghiacci, potrebbero tornare in vita microorganismi rimasti congelati migliaia se non milioni di anni fa. All’Accademia delle Scienze russa, diversi nematodi recuperati dal permafrost nella Siberia nord-orientale si muovono e mangiano.
Finora si era pensato che il pericolo fosse costituito solo da alcuni tipi di batteri, virus e spore fungine, sostanzialmente, si parlava di microrganismi. Il risveglio di questi nematodi ibernati sembrerebbe una notizia non particolarmente importante, se non fosse che questi piccoli organismi multicellulari erano rimasti congelati in uno strato di ghiaccio formatosi nel Pleistocene.
I nematodi rappresentano il phylum più ampio degli pseudocelomati o aschelminti, possono essere trovati in mare, nelle acque dolci e nel terreno; molte specie sono parassite.
Da un punto di vista ecologico i nematodi sono ubiquitari, infatti sono presenti nelle regioni polari, nei tropici, nei deserti, sulle montagne, e a grandi profondità marine, occupando anche habitat acquatici molto particolari, che comprendono sorgenti calde (nelle quali la temperatura può raggiungere 53° Celsius) e grandi laghi.
Benché i nematodi siano presenti in numeri enormi nello strato superiore del suolo, la loro densità decresce rapidamente a maggiori profondità.
Secondo quanto riportato dal team di ricercatori di Mosca e Princeton, un gruppo di nematodi vitali è stato rinvenuto in un campione di nucleo glaciale prelevato con un carotaggio effettuato a 30 metri di profondità nel permafrost, vicino alle rive del fiume Kolyma.
La datazione al radiocarbonio mostra che il terreno ed i residui di piante rimasti all’interno del campione risalgono a 32.000 anni fa. Un secondo gruppo di questi vermi è stato isolato nel campione di un deposito di permafrost prelevato a 3,5 metri di profondità vicino al fiume Alazeya, datato tra i 39 mila ed i 41 mila anni.
Secondo i ricercatori, considerando che lo strato di terreno nell’area dei ritrovamenti subisce congelamenti e scongelamenti solitamente fino a circa 80 centimetri di profondità e che, in centomila anni, lo scongelmento è arrivato al massimo ad 1,5 metri, non è possibile che gli organismi scoperti siano moderni nematodi penetrati negli strati profondi del permafrost che sono soggetti a forte congelamento.
“I nostri dati dimostrano la capacità di questi organismi pluricellulari di sopravvivere a una criobiosi a lungo termine (anche di decine di migliaia di anni) nelle condizioni di crioconservazione naturale“, è scritto in un articolo pubblicato sulla rivista Doklady Biological Sciences.
“È chiaro, quindi, che questa capacità suggerisce che i nematodi del Pleistocene avessero alcuni meccanismi adattativi che potranno essere di importanza scientifica e pratica per i campi della scienza correlati, come la criomedicina, la criobiologia e l’astrobiologia“.
Come spiegano gli autori, precedenti ricerche hanno dimostrato che i nematodi possono resistere a condizioni estreme che ucciderebbero rapidamente molti altri organismi. Sono in corso studi atti a cercare di capire come fanno diverse specie di nematodi native dell’Artico e dell’Antartico a sopravvivere ai cicli di congelamento e scongelamento di queste aree.
Nei primi anni 2000 furono scoperti alcuni tipi di nematodi dotati di un particolare adattamento climatico grazie al quale sono in grado di espellere rapidamente tutta l’acqua dalle proprie cellule quando le temperature si avvicinano al congelamento.
Questo processo, chiamato disidratazione crioprotettiva, impedisce la distruzione del tessuto che si verifica quando le molecole d’acqua all’interno delle cellule si espandono durante la cristallizzazione provocando la rottura delle pareti cellulari.
Esperimenti di laboratorio hanno dimostrato che i nematodi sono in grado di riprendersi da lunghi periodi di congelamento, durati fino a 39 anni. Nessuno, però, fino ad oggi era riuscito ad isolare esemplari antichi di millenni facendoli tornare in vita.
Dopo aver estratto i vermi dai campioni prelevati dai carotaggi, i nematodi sono stati posti in coltura a 20° in agar e nutriti con batteri E. coli. I nematodi hanno cominciato subito a dare segni di vita, muovendosi e cominciando a nutrirsi dei batteri posti nella coltura.
Esami successivi hanno rivelato che i vermi estratti nell’area del fiume Kolyma appartengono al genere Panagrolaimus, mentre quelli estratti nei pressi del fiume Alazeya appartengono al genere Plectus.
Tutti i nematodi tornati alla vita sono di sesso femminile.