Una leggenda risalente al Medioevo racconta che Archimede utilizzò degli specchi ustori per concentrare il calore del Sole sulle navi romane durante l’assedio di Siracusa, che divenne in seguito una colonia greca, dal 214 al 212 a.C.
L’episodio degli specchi ustori non è ricordato da Polibio, né da Livio né da Plutarco, ma è riferito da varie fonti tarde. Ne parla per primo Galeno e poi Cassio Dione Cocceiano e vari altri autori, tra i quali i bizantini Giovanni Zonara e Giovanni Tzetzes, ma anche il barone von Riedesel.
Questi ultimi aggiungono particolari ai racconti più antichi, descrivendo gli specchi ustori come composti da una serie di specchi piani opportunamente orientati. I raggi del Sole, concentrati dagli specchi in un unico punto, sarebbero stati in grado di bruciare il legno delle navi romane.
Ma l’antico uso bellico degli specchi ustori potrebbe essere poco credibile per diversi motivi. Il fatto che ne parlino solo autori tardi rende l’episodio piuttosto fantasioso.
Alcuni ritengono impossibile ottenere, con l’uso di specchi ustori, temperature sufficientemente elevate da bruciare il legno che ha una temperatura di autoignizione superiore ai 300 °C.
Altri hanno messo in evidenza la difficoltà di costruire uno specchio parabolico con un fuoco così distante come dovevano essere le navi dalle mura di Siracusa.
Poiché Archimede riuscì realmente a incendiare le navi romane perfezionando armi da getto in grado di lanciare sostanze incendiarie, si è sostenuto che alla base della leggenda degli specchi ustori vi sia un’errata traduzione di una voce greca, che si sarebbe riferita a “sostanze incendiarie” e sarebbe stata interpretata erroneamente come “specchi ustori”.
Nessun racconto romano o greco contemporaneo quindi fa menzione degli specchi ustori, infatti una ricerca suggerisce che potrebbe aver usato dei cannoni a vapore che sparavano palle incendiarie.
Lo studio che accantona gli specchi ustori
Come ha spiegato Cesare Rossi, ingegnere meccanico dell’Università di Napoli “Federico II”, calcoli ingegneristici e prove storiche fanno pensare che l’utilizzo di cannoni a vapore sia “molto più ragionevole dell’uso di specchi ustori”. Rossi insieme ai colleghi ha analizzato le prove di entrambe le potenziali armi.
I cannoni a vapore avrebbero potuto sparare sfere di argilla cave riempite con qualcosa di simile a una miscela chimica incendiaria, nota come fuoco greco, per incendiare le navi romane.
Una canna di cannone riscaldata avrebbe convertito poco più di un decimo di tazza d’acqua (circa 30 grammi) in una quantità di vapore sufficiente a scagliare i proiettili verso le navi degli invasori.
L’inventore italiano Leonardo da Vinci, verso la fine del XV secolo, disegnò un cannone a vapore che attribuì ad Archimede, inoltre molti altri resoconti storici menzionano il dispositivo attribuendolo ad Archimede.
Ulteriori testimonianze indirette del cannone a vapore giungono anche dallo storico greco-romano Plutarco, che racconta di un dispositivo a forma di palo che costrinse i soldati romani a fuggire dalle mura di Siracusa.
Il medico e filosofo greco-romano Galeno parlò in modo simile di un dispositivo incendiario usato contro le navi romane, ma usò parole che non si potevano tradurre in specchio ustorio.
Secondo i calcoli eseguiti da Rossi, i cannoni avrebbero potuto sparare una palla di cannone del peso di circa 6 chilogrammi a una velocità di circa 60 metri al secondo. I cannoni, in questo modo, potevano colpire truppe o navi avversarie a una distanza di circa 150 metri, lanciando i proiettili con una traiettoria abbastanza piatta per facilitarne la mira.
“Per quanto ne so, è il primo articolo sull’uso di un cannone a vapore da parte di Archimede”, ha detto Rossi a WordsSideKick.com.
Indagini svolte precedentemente dall’ingegnere greco Joannis Stakas e dallo storico Evanghelos Stamatis hanno dimostrato che uno specchio parabolico può incendiare piccole navi di legno immobili. I ricercatori del MIT hanno effettuato una dimostrazione utilizzando gli specchi ustori attribuiti ad Archimede più di tre decenni dopo, nel 2005.
Ma se gli specchi ustori avrebbero potuto mantenere una curvatura in costante cambiamento per mantenere la giusta focalizzazione sulle navi in movimento rimane nel dubbio, ha osservato Rossi, aggiungendo che gli antichi marinai avrebbero potuto facilmente spegnere qualsiasi fuoco che partisse da uno specchio a lenta combustione.
Al contrario, il fuoco greco è presente in molti resoconti storici come una minaccia mortale per le antiche navi da guerra. Secondo i resoconti, una miscela chimica sconosciuta bruciava sott’acqua e veniva utilizzata dall’Impero bizantino che dominava il Mediterraneo orientale dal 330 dC.
Rossi è stato coautore del libro “Antiche invenzioni degli ingegneri: precursori del presente” (Springer, 2009), insieme agli storici militari Flavio Russo e Ferruccio Russo.