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Nerone, l’imperatore rivalutato dalla critica moderna

Gli storici moderni ritengono che Nerone non fosse né pazzo, né particolarmente crudele per l'epoca, ma che i suoi comportamenti autoritari fossero simili a quelli di altri imperatori, non ugualmente giudicati

Nato il 15 dicembre del 37 d.C.,  ad Anzio, da madre Agrippina Minore, e padre Gneo Domizio Enobarbo, con il nome di Lucio Domizio Enobarbo, Nerone viene ricordato come quinto ed ultimo imperatore della dinastia Giulio-Claudia. Dinastia sprofondata con gli anni nel delirio e in un crescendo di omicidi. Regnò circa quattordici anni, dal 54 al 68, anno in cui si suicidò, a Roma.

Nerone fu un imperatore molto controverso nella sua epoca. A lui si devono innegabili meriti, soprattutto nella prima parte del suo impero, quando governava con la madre Agrippina, e con l’aiuto di Seneca, filosofo stoico, e di Afranio Burro, prefetto del pretorio, ma fu anche responsabile di delitti e atteggiamenti dispotici.

Infatti questo imperatore romano è passato alla storia come un tiranno crudele. L’immagine che si è creata su di lui, si deve in gran parte alle sue scelte politiche. Nerone infatti attuò, accanto a misure molto discutibili e spregiudicate, anche provvedimenti coraggiosi, che però gli alienarono quelle classi sociali che ne avrebbero poi tramandato il ritratto di uomo crudele. Ma vediamo la sua storia.

La famiglia di Nerone

Nell’anno 39 Agrippina Minore, amante del potere e assai ambiziosa, rimase coinvolta in una congiura contro il fratello, l’imperatore Caligola, che per questo motivo la mandò in esilio sull’isola di Pandataria, l’attuale Ventotene, affidando il piccolo Lucio alla zia Domizia Lepida. Nerone amò la zia più della madre, fu da Lepida che apprese l’amore per lo spettacolo e per la danza. 

L’anno seguente il padre di Lucio, Gneo Domizio, morì, ed il suo patrimonio venne confiscato da Caligola. Quando nel 41 Caligola venne assassinato, divenne imperatore Claudio Tiberio Cesare Augusto Germanico, zio di Agrippina Minore, alla quale fu concesso di tornare a Roma per occuparsi del figlio. 

Nel 49, con la morte della moglie Messalina, Claudio sposò Agrippina. Fu in quel momento che Lucio assunse il nome di Nerone Claudio Cesare, dopo la sua adozione da parte dell’Imperatore Claudio. L’intento della madre era di fare di Nerone il successore del patrigno Claudio. 

Il nome completo di Nerone era Nero Claudius Caesar Augustus Germanicus, dove Nero nell’antica lingua sabina, stava per ardito, coraggioso. Divenne questo il nome personale della famiglia Claudia che era, appunto, di origine sabina. Da non confondere col termine Niger, nero in lingua latina.

L’ascesa al potere

Nell’anno 54 l’imperatore Claudio morì per avvelenamento da funghi, probabilmente ordinato da Agrippina stessa. Con la morte del patrigno Claudio, Nerone prese, a soli 17 anni, la guida dell’Impero. I suoi primi cinque anni di governo sono descritti come anni felici.

Consigliato dal maestro, grande filosofo, Lucio Anneo Seneca, e dal prefetto del pretorio, Afranio Burro, Nerone seguì una politica favorevole al Senato. Seneca con i suoi insegnamenti influenzava l’imperatore verso la cultura greca, portando così il regnante ad assumere poi manifestazioni eccessive e maniacali, nella seconda parte del suo regno.

Data la giovane età di 17 anni, il principato di Nerone, per alcuni anni, fu, appunto, di fatto nelle mani dei suoi tre tutori: la madre Agrippina e i suoi due maestri, Seneca e Burro. Essi attuarono una politica moderata e rispettosa dell’autorità senatoria.

Che l’impero all’inizio rimase nelle mani di Agrippina, è evidenziato dalla prima emissione monetaria. Infatti si vedono i profili contrapposti di Nerone e di Agrippina. Ma l’autorità della madre durò poco.

Già nel 55 sulle monete il figlio fu anteposto alla madre, e nelle coniazioni successive, il ritratto ed il nome di Agrippina scomparvero del tutto. Il primo scandalo dell’Imperatore Nerone coincise col suo matrimonio con la sorellastra Claudia Ottavia, figlia di Claudio e Messalina. Matrimonio incestuoso voluto fortemente dalla madre.

Ma la figura dell’imperatore Nerone emerse autonomamente sempre di più, e in modo inaspettato. Fece infatti uccidere Britannico, figlio di Claudio (e dunque legittimo erede al principato) e Messalina, la prima moglie dell’imperatore Claudio.

L’uccisione della madre Agrippina

Nel 59 avvenne il grave episodio dell’assassinio di Agrippina, avvenuto presso Baia (una frazione del comune di Bacoli, in provincia di Napoli), sin dall’inizio e da tutti attribuito a Nerone, che si liberava così da una soggezione politicamente dannosa, ma soprattutto eliminava l’unico ostacolo che gli impediva di unirsi con Poppea Sabina. La madre infatti aveva in tutti i modi ostacolato questa unione. Non voleva si separasse dalla sorellastra Ottavia. 
Nel 62 Nerone, dopo aver ripudiato Claudia Ottavia per sterilità ed averla relegata sull’isola di Pandataria, sposò Poppea, dalla quale ebbe anche una figlia, Claudia Augusta, che però morì ancora in fasce.

L’incendio di Roma

Nel 64 Roma fu colpita da un violento incendio che iniziò al Circo Massimo, estendendosi al Celio, al Palatino e a quasi tutta la città. I rioni tra il Circo e l’Esquilino furono totalmente distrutti, tutti gli altri gravemente danneggiati. Nerone fu avvertito mentre era ad Anzio e accorse subito, ma non poté salvare neppure la sua reggia.

L’incendio durò 10 giorni, dal 19 al 28 luglio. Incalcolabile fu il numero dei morti, specialmente nelle zone popolari della Suburra. Il popolo, ovvero gli stessi che fino a pochi giorni prima lo avevano osannato ed applaudito, gli si rivoltò contro, accusandolo apertamente di aver incendiato Roma, richiamando alla mente quel suo disegno megalomane di rifondare Roma e chiamarla Neropoli.

Tacito scrisse così: “Sembrava che Nerone ambisse la gloria di fondare una nuova città e di darle il proprio nome, perché delle 14 regioni in cui Roma era divisa, quattro soltanto restavano integre, 4 erano abbattute al suolo e delle altre 7 restavano pochi avanzi di tetti laceri e semi consunti dal fuoco“.

Tuttavia, Tacito scrisse anche che l’imperatore si dette molto da fare per i soccorsi, ricoverando i senza tetto nel mausoleo di Agrippa e nei giardini imperiali, con capanne e baracche costruite per l’occasione, e istituendo un calmiere per il prezzo del frumento.

Quanto poi all’accusa di aver fatto ricadere la colpa sui cristiani, per mettere a tacere le voci che lo volevano come mandante del misfatto, sembra di intuire dalle parole di Tacito che non si trattò di una persecuzione: a essere condannati furono dei rei confessi o comunque imputati considerati colpevoli in seguito a processo.

La congiura di Pisone

Nel 65, scoperta una congiura contro di lui organizzata dal senatore Gaio Calpurnio Pisone, Nerone avviò un vera e propria politica di terrore, con l’uso indiscriminato e generalizzato dall’accusa di lesa maestà. Caddero vittime della sua crudeltà molte vittime illustri, come Seneca, il maestro prima tanto amato e Petronio, l’autore del Satyricon, costretti a suicidarsi nel 65.

Tra la classe dirigente romana si diffuse il terrore. Le condanne a morte erano spesso eseguite senza alcuna prova, per futili motivi, o per confiscare le ricchezze dei giustiziati. Nerone imperatore di Roma si era trasformato in un tiranno crudele.

Dalla parte della Plebe

Eppure Nerone fu un monarca assoluto che usò il proprio potere in senso democratico: non governò solo in nome del popolo, ma per il popolo, contro le oligarchie che lo opprimevano e lo sfruttavano. E per avere il consenso del popolo, progettò e attuò misure molto concrete.

Fin dal 58 aveva avviato una vera rottura col Senato, colpevole di non aver approvato la sua proposta di riforma tributaria. Ovvero  l’eliminazione delle imposte indirette, i dazi doganali, cioè del protezionismo sui prodotti di produzione occidentale, e in seconda battuta un incremento delle tasse sui ceti più abbienti, al fine di compensare le inevitabili perdite finanziarie.

Come si nota da questa proposta, mai approvata, Nerone tendeva a un impoverimento dei privilegi economici dell’Occidente, e contemporaneamente a colpire l’economia dei latifondisti e dei ceti più ricchi occidentali. Stava infatti dalla parte della Plebe, da cui era inizialmente amato. Per il popolo sosteneva  larghe spese per spettacoli pubblici e donazioni. 

Prima dello scoppio dell’incendio aveva  inaugurato una consistente attività di monetazione, al fine di rendere allo stato più facile, grazie al maggior numero di monete circolanti, il pagamento dei debiti, e migliorando, sempre secondo lo stesso principio, le condizioni di vita del popolo. 

Per compiacere il popolo Nerone istituì i giochi neroniani, nei quali si esibiva nelle vesti di poeta o di musico. Faceva questo per umiliare l’aristocrazia e ottenere il consenso della plebe, dimostrando al tempo stesso che l’imperatore era al di sopra di ogni regola e di ogni convenzione. Analogo significato ebbe la Domus Aurea, la sfarzosa villa sull’Esquilino che Nerone si fece costruire dopo l’incendio di Roma.

Nel 66 morì Poppea: secondo le fonti sarebbe stata uccisa da un calcio al ventre dello stesso Nerone durante una lite, mentre la moglie era in attesa del suo secondogenito. 

Morte di Nerone

Da più parti dell’Impero iniziarono a giungere notizie di proteste e sollevazioni contro Nerone. Il senato, tuttavia, non osava intervenire, temendo nuove repressioni. La rivolta decisiva fu quella della Spagna, da dove il legato imperiale Servio Sulpicio Galba mosse nel 68 d.C. verso Roma. Solo allora il senato trovò il coraggio per dichiarare Nerone “nemico dello stato“, significava che chiunque poteva ucciderlo, mentre la guardia pretoriana si affrettava a riconoscere Galba come successore di Nerone.

Quando il Senato lo depose ufficialmente, Nerone fuggì da Roma e si rifugiò nella villa suburbana del liberto Faonte, dove si suicidò il 9 giugno dell’anno 68, probabilmente aiutato dal liberto Epafrodito. Prima di morire, secondo Svetonio, pronunciò la frase “Qualis artifex pereo”, “Quale artista muore con me“.

Il Senato decretò per lui la “damnatio memoriae“, ovvero la “condanna della memoria“, un provvedimento che prevedeva la cancellazione di tutti quegli elementi, come iscrizioni, immagini e ritratti, in grado di rievocare un personaggio resosi responsabile di atti gravissimi e imperdonabili, ma permise comunque le esequie private, alla presenza di pochi fedelissimi rimasti. La sua salma venne deposta in un’urna di porfido, sormontata da un altare di marmo lunense e collocata nel Sepolcro dei Domizi, probabilmente sotto l’attuale basilica di S.Maria del Popolo. 

La critica moderna rivaluta Nerone 

L’immagine di tiranno sanguinario e folle che per secoli ha perseguitato la sua persona appare oggi immeritata per un principe che fu clemente con molti, soprattutto nei primi anni, che non amava particolarmente gli spettacoli gladiatori e promosse opere sociali e pubbliche di grande valore, come l’interrotta riforma fiscale che avrebbe colpito i ceti abbienti in favore della plebe. 

Gli storici ritengono che non fosse né pazzo, come lo descrissero alcune fonti, né particolarmente crudele per l’epoca, ma che i suoi comportamenti autoritari fossero simili a quelli di altri imperatori non ugualmente giudicati. Sicuramente negli ultimi anni la sua paranoia si accentuò ed egli si rinchiuse in sé stesso e nei suoi palazzi dedicandosi all’arte e alla musica, in pratica lasciando il governo nelle mani del prefetto del pretorio, il sanguinario Tigellino.

Nerone godette sempre di ottima fama tra la plebe urbana, spesso gratificata con donazioni ed elargizioni di grano, oltre che principale destinataria degli intrattenimenti organizzati. Oltre che grande appassionato di poesia, Nerone aveva sviluppato un interesse quasi fanatico per le corse dei carri, nelle quali spesso si cimentava direttamente. Il gusto per le competizioni letterarie e sportive lo indusse anche a istituire dei giochi, ad imitazione delle Olimpiadi greche, che chiamò Neronia, e che dovevano avere cadenza quinquennale.

Nerone avviò il processo di ricostruzione premettendo innanzitutto un lungimirante piano regolatore, che imponeva il rispetto di alcuni principi fondamentali nella realizzazione di tutti gli edifici: una pianta più regolare e ortogonale dell’assetto viario, larghezza minima più ampia per le strade, distanziamento tra un edificio e l’altro e divieto di pareti comuni, riduzione del numero di piani (fino a un massimo di quattro), vincolo di inserimento di portici per ogni isolato al fine di evitare l’eccessiva esposizione solare, utilizzo di materiali da costruzione non infiammabili

Tali stringenti regole lo resero ancor più impopolare tra le classi agiate, da cui provenivano con tutta probabilità gli speculatori edilizi che erano stati indirettamente responsabili della rapidissima propagazione dell’incendio e che, secondo alcuni storici, avrebbero addirittura potuto esserne i mandanti diretti. 

Molto importante fu la sua riforma monetaria del 64 d.C., che rappresentò per molti successori un modello di riferimento e che fu destinata ad avere un impatto duraturo sulla politica dell’emissione e in generale sull’economia dell’impero. Vennero diminuiti il peso della moneta d’oro (da 1/42 a 1/45 di libbra) e di quella d’argento (da 1/84 a 1/96).

Anche in questo caso si discute su quale sia stata la motivazione del provvedimento e quali le sue finalità; non è improbabile che abbia avuto un peso nella decisione imperiale la volontà di far sì che il rapporto di valore tra la moneta aurea e la moneta argentea (di 1 a 25) fosse meglio corrispondente al rapporto di valore tra i metalli sul mercato, in modo da evitare le speculazioni dei privati, garantendo nel contempo un più cospicuo e regolare rifornimento di mezzi monetari all’economia dell’impero.

Riferimenti
https://www.romanoimpero.com/2009/06/nerone-54-68.html?m=1
https://www.studiarapido.it/nerone-ultimo-imperatore-della-dinastia-giulio-claudia/
https://www.romasegreta.it/rubriche/personaggi-di-roma/nerone.html
https://biografieonline.it/biografia-nerone
https://m-library.weschool.com/lezione/riassunto-imperatore-nerone-incendio-di-roma-seneca-agrippina-storia-romana-17663.html

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