I nostri attuali computer, sebbene molto innovativi, potrebbero non essere in grado di gestire efficacemente un grande afflusso di dati. I nostri sistemi sono infatti, sempre più saturi di informazioni, provenienti dall’uso crescente delle tecnologie digitali. Per tale motivi, gli scienziati stanno escogitando soluzioni creative per sfruttare questi grandi volumi di dati in modo sempre più efficiente.
Per archiviare tutta la mole di dati che abbiamo nel mondo, dovremmo disporre di computer nuovi e più potenti o comunque di metodi migliori per elaborare i dati. Una proposta innovativa in questo campo, è stata recentemente sviluppata presso l’Università di Harvard, da un team di ricercatori che ha utilizzato il DNA come materiale di archiviazione per i dati digitali.
Il DNA (sigla usata per indicare l’acido desossiribonucleico) è l’elemento costitutivo della vita, rappresenta l’impronta genetica di ciascuno di noi, e costituisce quindi la base della trasmissione ereditaria. Trasporta il materiale genetico di tutta la vita su questo pianeta. Pertanto, il DNA è un materiale di archiviazione eccezionalmente potente, che è stato ottimizzato per archiviare un grande volume di informazioni in un arco di decine di migliaia di anni. Da qui l’idea geniale: “E se potessimo sfruttare il DNA per archiviare tutti i dati digitali“? Questa è precisamente la domanda che i ricercatori, guidati da George Church, si sono fatti da diverso tempo.
Il primo esperimento pubblicato sulla rivista “Nature Communications“
Usare il DNA come archivio per i dati digitali può sembrare surreale, ma il lavoro pubblicato sulla rivista “Nature Communications“, mostra che invece è la realtà. In questa ricerca gli scienziati hanno dimostrato di aver trovato un modo per codificare la musica del popolare gioco “Super Mario Brothers“, in 12 filamenti sintetici di DNA e riprodurla sul computer.
Per fare ciò, i ricercatori hanno utilizzato un ingegnoso trucco, utilizzando un metodo ben noto dall’industria di produzione di chip per computer, e adattarlo al sequenziamento del DNA. Il metodo è noto come “approccio fotolitografico“, utilizza la luce per indurre un cambiamento chimico, trasferendo così le immagini su un substrato, o sulla superficie di un materiale. È molto simile a lavorare con la pellicola in una stanza buia, dove un fotografo usa la luce per esporre l’immagine. In questo caso possiamo pensare a un’immagine come a un’informazione catturata su pellicola. Il vantaggio di questo metodo è la sua alta precisione in quanto la luce può essere controllata, consentendo così la codifica delle informazioni a livello della base nucleotidica o dei mattoni del DNA.
Questo processo può essere ripetuto molte volte, il che a sua volta consente la creazione di sequenziamento del DNA personalizzato con alta precisione. In altre parole, se pensiamo al DNA come composto da lego, possiamo quindi immaginare l’infinita potenzialità di questo sistema di stoccaggio delle informazioni. Questa ricerca potrebbe rivoluzionare l’informatica, intrecciando appunto questa disciplina con la natura. Inoltre mette in luce l’elevata complessità ed eleganza della natura, che può essere utilizzata per costruire sistemi più efficienti.
È anche attraverso questo esempio che possiamo vedere più chiaramente come la scienza sia il linguaggio dell’universo. Sono indispensabili ingegnosità e creatività per intuire come i principi di una disciplina possono essere trasferiti ad un’altra, magari prendendo spunto dalla straordinaria sofisticazione della natura.
Fonte: https://www.forbes.com/sites/annapowers/2020/10/31/scientist-use-dna-to-store-digital-data/?sh=53c27676221f