Gli effetti della variazione della forza di gravità sugli astronauti impegnati nelle diverse missioni spaziali sono sempre stati oggetto di interesse e di studio, al fine di rilevare eventuali conseguenze sul corpo umano rispetto ad una eventuale permanenza dell’uomo stesso al di fuori del pianeta Terra.
Una delle ultime ricerche in tal senso, condotta da Steven Jillings, dottore di ricerca al LEIA, Lab for Equilibrium Investigations and Aerospace, ha portato alla luce un dato alquanto curioso: sembra infatti che il liquido cerebrospinale degli astronauti si ridistribuisca in modo inusuale nel cranio proprio a causa delle variazioni della gravità nello spazio.
Lo studio, iniziato nel 2017, è stato condotto su 11 astronauti che hanno lavorato nella Stazione Spaziale Internazionale (ISS), i quali sono stati oggetto di analisi prima dell’inizio della missione spaziale, 9 giorni dopo il ritorno, e infine a distanza di 6 o 7 mesi, attraverso l’utilizzo di una risonanza magnetica particolarmente avanzata, chiamata dMRI, capace di fornire agli studiosi una visione più dettagliata del loro cervello. Questo importantissimo organo è “progettato” e funziona nel migliore dei modi sul nostro pianeta e con la nostra forza di gravità, grazie a un’evoluzione perfezionatasi nel corso del tempo. Tutto però cambia quando la gravità viene meno una volta che siamo in orbita.
Nella parte più interna del nostro orecchio infatti, ci sono gli organi otolitici, che svolgono la fondamentale funzione di comunicare al cervello la posizione della testa, favorendone l’equilibrio e l’orientamento. Se incliniamo la testa, i piccoli cristalli presenti all’interno dell’orecchio vengono spinti verso il basso dalla forza di gravità, e immediatamente al cervello arriva l’informazione.
E nello spazio invece cosa accade? La spinta gravitazionale non è sufficiente per dire al cervello che la testa ha cambiato posizione. Per questo motivo nello spazio inizialmente gli astronauti si sentono disorientati e quando tornano sulla Terra, impiegano diversi giorni per riabituarsi alla nostra gravità.
Ciò accade, come scoperto da Jillings e dal suo team, perché durante le missioni nello spazio il liquido attorno al cervello e alla colonna si muove in modo inusuale, o comunque diverso rispetto alla Terra. Questo liquido è fondamentale per ripulire il cervello dalle scorie, e negli astronauti tende ad accumularsi nella parte bassa del cranio. Questo fa pensare che l’organo in assenza di gravità, si sollevi, sebbene temporaneamente e in modo del tutto reversibile.
Lo studio ha inoltre mostrato come nello spazio i ventricoli, ossia la parte dove viene prodotto il liquido cerebrospinale, si dilatino, ma soprattutto che anche a distanza di mesi dal ritorno sulla Terra, vi sia una quantità maggiore di questo liquido nei ventricoli degli astronauti. Sebbene ciò non alteri la pressione intracranica, spesso gli astronauti vedono in modo sfocato durante e dopo la missione.
Lo studio dunque rappresenta un importante passo verso una più approfondita comprensione degli effetti della permanenza nello spazio sul cervello, in vista delle future missioni e – perché no? – di una colonizzazione e da parte dell’uomo della Luna prima, e di altri pianeti poi.