I progettisti di celle solari sono consapevoli che i loro prodotti devono affrontare un ampio range di temperature, oltre che ogni tipo di condizione atmosferica – condizioni che possono avere delle influenze rilevanti in termini di efficienza e di durata delle celle solari.
Lea Nienhaus e Sarah Wieghold, della Florida State University, stanno sviluppando uno studio per cercare di comprendere i processi fondamentali nella perovskite; un lavoro che potrebbe portare a celle solari non solo più efficienti, ma anche più resistenti al degrado. Le ricercatrici hanno scoperto che piccole modifiche nella composizione chimica dei materiali, così come l’ampiezza del campo elettrico cui il materiale è soggetto, possono influire notevolmente sulla stabilità complessiva del materiale.
La loro ricerca, i cui risultati sono stati pubblicati sul Journal of Material Chemistry C e sul Journal of Applied Physics, è orientata al miglioramento delle potenzialità della perovskite, un materiale con una struttura cristallina costituita da ioni di piombo caricati positivamente, detti cationi, e anioni alogenuri, caricati negativamente. In una struttura cristallina cubica di perovskite, gli ottaedri formati dagli ioni di piombo e degli alogenuri sono circondati da cationi aggiuntivi con carica positiva.
Le prime celle solari costituite da perovskite, sviluppate nel 2006, avevano un’efficienza di conversione della potenza di energia solare di circa il 3%, mentre nelle celle progettate nel 2020, il tasso di conversione raggiunge un’efficienza maggiore del 25%. Questa rapida crescita dell’efficienza, rende la perovskite un materiale molto promettente per la ricerca futura, anche se, a causa della veloce tendenza al degrado, presenta degli inconvenienti di carattere commerciale.
Ci si chiede quindi in che modo si possa rendere più stabile la perovskite, nelle condizioni reali nelle quali viene utilizzata. Si cerca di comprendere quali siano le cause che determinano il rapido deterioramento, anche perché la riduzione dei tempi di degrado del materiale potrebbe essere un valido strumento per ottenere maggiore energia dalle celle solari.
La perovskite è chiamata anche materiale soft, a dispetto dei legami ionici che reticolo cristallino che ne forma la struttura. Gli alogenuri e i cationi all’interno del materiale, possono muoversi attraverso il reticolo, con la conseguente crescita del loro tasso di deterioramento, e quindi con una perdita di stabilità nel tempo.
Nello studio del materiale sono state effettuate indagini sull’influenza combinata della luce e delle alte temperature sulla prestazione della perovskite a composizione cationica e con alogenuri.
È stato scoperto che, l’aggiunta di una piccola quantità di cesio sulla superficie della perovskite, aumenta la stabilità del materiale soggetto a fasci di luce e alle alte temperature. Aggiungendo rubidio, invece, la prestazione del materiale si riduce.
Quindi, è stato osservato che, a seconda della scelta del catione, si hanno due modalità di deterioramento del materiale, che ovviamente sono correlati a conseguenti riduzioni delle prestazioni.
Le ricercatrici hanno anche scoperto che, la formazione del composto piombo bromuro/ioduro e un incremento delle interazioni elettrone-fonone, conducono a una diminuzione delle prestazioni del materiale per le miscele di perovskite meno stabili. La formazione del composto piombo bromuro/ioduro è generata da un involontario meccanismo di degrado, che ovviamente dovrà essere evitato per garantire una maggiore stabilità a lungo termine e una migliore prestazione di queste celle solari a perovskite.
Sono stati studiati anche i collegamenti tra la tensione applicata e le prestazioni dei materiale di perovskite ed è stato dimostrato che il movimento degli ioni all’interno del materiale modifica la risposta elettrica di base, il che potrebbe essere un fattore critico per le prestazioni della perovskite.
Fonte: phys.org