Per farla davvero bisognerebbe passare da un modello lineare di crescita (estrarre, produrre, smaltire) ad un’alternativa sostenibile (riciclare, riutilizzare, rifare, condividere). I rifiuti diventano così una risorsa.
L’emergenza rifiuti ed inquinamento sono tematiche attuali e palesi. E con la comparsa del covid-19, soprattutto nel periodo del lockdown, sono diventate questioni lampanti per ogni cittadino. A tal proposito, da svariato tempo, gli studenti di tutto il mondo hanno iniziato una serie di scioperi per sensibilizzare l’umanità sull’emergenza climatica. Infatti il nostro sistema economico globale è diventato insostenibile.
Assistiamo ad una crescita economica continua e a consumi infiniti, e questo significa sprechi sempre maggiori. Rifiuti interrati, scaricati in mare o trasformati in cenere, inquinano l’ambiente e creano la necessità di estrarre ulteriori materie prime.
E’ proprio da tutta questa serie di problematiche che nasce l’idea, nonché l’ambizione, da parte dell’Unione Europea, di passare ad una economia circolare, dove i rifiuti stessi rappresenterebbero una ricchezza. In questo modello di produzione e consumo, le parole chiave sono condivisione, prestito, riutilizzo, riparazione, e riciclo dei materiali. Inoltre, prodotti esistenti il più a lungo possibile.
Estendendo il ciclo di vita dei prodotti, si contribuisce automaticamente a ridurre i rifiuti al minimo. Una volta che il prodotto ha terminato la sua funzione, i materiali di cui è composto vengono appunto reintrodotti nuovamente nel ciclo economico, generando ulteriore valore.
Uno dei tasti dolenti però riguarda i lavoratori. I dipendenti delle società, che dovrebbero garantire a tutti un corretto smaltimento dei rifiuti. Questi ultimi hanno una paga spesso bassa, e devono sottostare a condizioni di lavoro dure e sgradevoli e, per di più, vedono la loro salute, e la loro sicurezza, troppo spesso ignorate.
La società deve invece entrare nell’ottica che sono proprio questi lavoratori a gestire servizi essenziali per i rifiuti ed è grazie a loro se si mantiene un ambiente sostenibile.
Su questo argomento riecheggiano attuali le memorabili parole di Martin Luther King che, nel non troppo lontano 1968, disse agli operatori sanitari in sciopero a Memphis: “Un giorno, la nostra società arriverà a rispettare l’operatore sanitario se vuole sopravvivere, perché la persona che raccoglie i nostri rifiuti, è significativo come un medico, perché se non fa il suo lavoro, le malattie dilagano“. E mai parole furono più lungimiranti.
Noi oggi ci troviamo a vivere proprio questa situazione.
Ma in che consiste esattamente questa economia circolare? E soprattutto è applicabile al cento per cento? Come dovrebbero comportarsi comuni e cittadini?
L’economia circolare mira a mantenere prodotti, materiali e risorse nel ciclo del prodotto il più a lungo possibile, riducendo così al minimo gli sprechi. Più un prodotto viene riutilizzato e meno scartato, meno materie prime saranno estratte. Questo modello promette di mantenere alta la produzione e il consumo, pur essendo efficiente in termini di risorse, consumando e producendo entro i mezzi del pianeta.
E’ quindi una strategia di “crescita verde“.
Ci sono però alcune contraddizioni. Innanzitutto i rifiuti sono una caratteristica intrinseca e inevitabile delle economie capitaliste. Per produrre e consumare entro i mezzi del nostro pianeta, la produzione e il consumo, e quindi gli sprechi, devono essere ridotti.
Economia circolare vs obsolescenza programmata
L’economia circolare offre alle aziende un’opportunità per stimolare i consumi. Aziende come Apple ottengono la certificazione come società “circolari” per etichettarsi come rispettose dell’ambiente, in modo che i consumatori possano godere di acquisti senza sensi di colpa pur essendo incoraggiati a consumare di più.
Tutto ciò va’ di pari passo con un’altra strategia per aumentare i consumi, ovvero l'”obsolescenza pianificata” che consiste nel progettare prodotti con una breve durata, così da garantire che le persone acquistino frequentemente nuovi prodotti. Sono le stesse aziende elettroniche che si definiscono circolari ad essere diventate famose per aver progettato deliberatamente la durata artificiale dei prodotti con lo scopo di incrementare i consumi. In questo modo le aziende possono guadagnare due volte.
Trattando i rifiuti come una risorsa le aziende traggano doppio profitto dallo stesso materiale: smaltendolo e vendendolo. Di conseguenza, c’è una crescente concorrenza sul valore dei rifiuti a livello locale, nazionale e internazionale. .
I rifiuti in Europa stanno appunto aumentando. Nel 2016, la quantità totale generata nell’UE è stata di 2.538 milioni di tonnellate, più del 3% in più rispetto al 2010. I rifiuti urbani, derivati principalmente dalle famiglie, sono in costante calo, ma rappresentano solo l’8% circa del totale. La maggior parte dei rifiuti viene prodotta nell’edilizia (36%), seguita dall’estrazione mineraria e dall’estrazione (oltre il 25%). La produzione contribuisce per il 10% e un altro 10% proviene dalle stesse attività di gestione dei rifiuti e dell’acqua.
Finora il successo dell’economia circolare dell’Europa è stato ottenuto esportando rifiuti in altri paesi, per lo più con costi di manodopera inferiori e normative ambientali più deboli. Fino a poco tempo fa, la Cina era la principale destinazione per il riciclaggio, il riutilizzo e lo smaltimento di rifiuti solidi provenienti da tutto il mondo. Ma nel gennaio 2018 la Cina ha vietato l’importazione di rifiuti di plastica che non soddisfacevano i nuovi standard di purezza. Le spedizioni di rifiuti di plastica in Cina sono diminuite così del 99%.
Anche prima che la Cina rafforzasse le regole per l’importazione di rifiuti riciclabili, solo il 10 per cento dei rifiuti di plastica del mondo veniva riciclato. Quindi, la capacità di riciclaggio dell’Europa deve essere aumentata: non possiamo semplicemente esportare il nostro problema dei rifiuti.
L’Europa deve investire di più in impianti di riciclaggio locali e regionali, per evitare lunghi periodi di stoccaggio che aumentano la contaminazione. Questi impianti devono essere costruiti e gestiti tenendo presente la salute e la sicurezza dei lavoratori.
L’economia circolare dovrebbe essere costruita privilegiando la prevenzione rispetto al riciclaggio.
Tuttavia non vi è alcun profitto nell’evitare i rifiuti: costa ai governi nazionali e locali sovvenzionare e attuare la prevenzione e il riutilizzo dei rifiuti. Ad esempio, gli impianti di termovalorizzazione richiedono investimenti elevati e quindi gli operatori privati di solito obbligano i comuni a impegnarsi in flussi di rifiuti continui per diversi decenni, spesso fino a 50 anni.
Come tale, il Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente ha avvertito che la termovalorizzazione può creare un effetto lock-in: una certa quantità di rifiuti è necessaria per far funzionare gli impianti, ostacolando la prevenzione dei rifiuti.
Un esempio di città con riciclo di rifiuti ed energia rinnovabile può essere trovato a Lubiana, in Slovenia, la capitale più circolare d’Europa. Qui troviamo un impianto di trattamento dei rifiuti finanziato e gestito pubblicamente, che include la termovalorizzazione.
A Lubiana il sistema pubblico di gestione dei rifiuti garantisce che il trattamento dei rifiuti vada di pari passo con le iniziative di prevenzione dei rifiuti e un sistema di raccolta dei rifiuti municipale che incentivi un’accurata selezione dei rifiuti per il riciclaggio a casa. Lubiana dimostra come sia possibile un’economia circolare sicura e sostenibile.