Uno spietato serial killer

I gatti sono corresponsabili di vere e proprie estinzioni di massa di numerose specie di piccoli animali. Quali strategie applicare per evitarle?

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Se contempliamo il nostro gatto che dorme placidamente sulla sua poltrona preferita o ci scodinzola tra le gambe mentre ci apprestiamo a riempire dei suoi croccantini preferiti la ciotola, non siamo certamente attraversati dal pensiero che questo piccolo felino sia uno dei maggiori responsabili di vere e proprie estinzioni di massa di specie viventi.

Esistono profonde differenze tra la domesticazione dei cani e quella dei gatti, tanto che tra un gatto di casa ed un gatto selvatico ci sono meno differenze genetiche che tra cani e lupi. Eppure i gatti convivono con gli esseri umani da circa 10.000 anni. E’ probabile che la prima fase di domesticazione sia avvenuta con lo sviluppo dell’agricoltura, l’accumularsi di granaglie da parte dell’uomo attraeva i roditori ed i roditori, a loro volta, attraevano questi piccoli predatori.

I gatti sono animali estremamente prolifici, una gatta può iniziare a riprodursi già a meno di un anno di età ed è in grado di partorire una nidiata di 4 o 5 cuccioli, due volte l’anno e per tutta la durata della sua vita. Per questo motivo questi felini hanno una popolazione mondiale tra le 10 e le 100 volte superiori a quelle di altre popolazioni di predatori dalle dimensioni simili come serpenti, procioni e rapaci.

Ormai è accertato che i gatti sono tra i maggiori responsabili di veri e propri processi di estinzione di altri animali. Soprattutto nelle isole i danni possono essere incalcolabili. Storicamente il “controllo sulla proliferazione felina” era costituito dalla cattura e uccisione dei gatti selvatici. Queste campagne occasionali erano però di fatto frustrate dalla grande fertilità dei piccoli felini. Le uccisioni di massa oltre ad essere crudeli sono state di fatto inefficaci se pensiamo che nei soli Stati Uniti i gatti selvatici oscillano tra i 70 ed i 100 milioni.

Su pressione degli animalisti tra la metà degli anni Ottanta e la decade successiva venne attuata la meno cruenta tecnica della sterilizzazione di massa, ovvero i gatti randagi venivano catturati, sterilizzati e poi liberati nuovamente, magari in aree dove il loro istinto da serial killer potesse essere meno distruttivo.

Nonostante i progressi di questa strategia, la TNR dall’inglese trap-neuter-return, non è facile sterilizzare un elevato numero di gatti tale da innescare una costante diminuzione della popolazione felina. Alcuni modelli matematici indicano che per ottenere questo risultato occorrerebbe catturare circa il 90% delle varie colonie feline e questo è letteralmente impossibile.

Secondo altri modelli presentati da Christopher Lepczyk, ecologo della Auburn University in prospettiva la strategia più “dolce”, la TNR è meno efficace di quella più brutale della soppressione di massa dei piccoli felini. La mancanza di dati certi mette però in discussione entrambi i modelli. Un punto fermo è la corresponsabilità dei gatti selvatici rispetto al rischio di estinzione di alcune specie così come provata indiscutibilmente da vari studi.

In particolare uno studio sui woodrat una specie di roditore della famiglia Cricetidae che vive nel Canada e negli Stati Uniti dimostra che la popolazione di questo animaletto è inversamente proporzionale al numero di gatti selvatici che popolano il loro territorio. Un contributo in tal senso fu fornito da una ricerca condotta da Sonia Hernandez, ecologa dell’Università della Georgia che tra il 2014 e il 2015 monitorò le abitudini di caccia dei gatti dell’isola di Jekill.

La Hernandez dotò di un collare corredato da una mini telecamera 31 gatti inselvatichiti che erano nutriti quotidianamente e poi li liberò. Le mini telecamere documentarono che 18 dei 31 gatti uccidevano una media di 6,15 prede al giorno e che solo una minima parte delle prede era divorata dai piccoli serial killer. In altre parole i gatti non uccidevano per mangiare (se non in minima parte) ma soltanto perché erano… gatti.

Per i conservazionisti il controllo del numero dei gatti selvatici è un problema urgente quanto di non facile soluzione. Nessuna delle strategie fin qui applicate (uccisioni o sterilizzazioni di massa) si è dimostrata efficace, perlomeno sul medio-lungo periodo. Probabilmente occorrerà utilizzare un mix tra le due, integrandole con altre soluzioni attualmente allo studio che prevedono, ad esempio, la costruzione (con l’aiuto umano) di rifugi, dove alcune specie, come i buffi woodrat possano trovare un riparo più sicuro dalle aggressione dei serial killer felini.

fonte: Le Scienze, giugno 2020, edizione cartacea

NOTA DELLA DIREZIONE DI RECCOM MAGAZINE

I contenuti di questo articolo possono essere da taluni ritenuti controversi a causa della crudezza con la quale vengono espressi certi concetti. È però un dato di fatto che le numerose colonie di gatti selvatici o inselvatichiti costituiscano un serio problema per la sopravvivenza di tutti quegli animaletti normalmente predati dai gatti. Qualcuno potrebbe opporre, con qualche ragione, il fatto che in natura predatori e prede finiscono in qualche modo per trovare equilibrio, dove le prede scarseggiano, i predatori inevitabilmente diminuiscono di numero finché l’equilibrio non si ristabilisce, Purtroppo nel caso dei gatti non è così, in particolare nelle zone abitate da esseri umani dove si stabiliscono numerose colonie di gatti che, prede o no, trovano sostentamento sia nella massa enorme di rifiuti  prodotti dagli esseri umani sia grazie al fenomeno cosiddetto delle “gattare” che, nutrendoli, impediscono che venga ristabilito l’equilibrio tra predatori e prede. 

L’articolo riprende un servizio pubblicato sull’edizione cartace italiana di “Le Scienze”, notoriamente propagazione della prestigiosa rivista “Science” basato su più studi usciti ormai parecchi mesi fa, per esempio questo ripreso anche da ABC, oppure questo, riportato su Wikipedia, ma ci sono numerosi altri esempi, l’Indipendent e il The New York Times      hanno pubblicato servizi analoghi, così come le riviste italiane Focus e Riserva Magazine. Insomma, gli ecologi e gli stessi ambientalisti sono preoccupati per i danni provocati dalla moltitudine di gatti inselvatichiti e si cerca una soluzione per arginarli.

La redazione di Reccom Magazine è impegnata da tempo nel tentativo di fare informazione corretta ed obiettiva e non può certo essere ritenuta responsabile di quanto asserito in studi scientifici qualificati che vengono da noi riportati asetticamente, senza inserire opinioni in merito. Io personalmente ho due gatti in casa e, abitando in campagna, posso testimoniare che, pur abbondantemente nutriti, i gatti non rinunciano al loro istinto predatorio che spesso si consuma anche con una certa crudeltà. Non dobbiamo mai confondere i nostri gattini domestici che vivono chiusi in appartamento,che fanno le fusa, cercano le coccole e sono tanto teneri, con gatti lasciati liberi di muoversi nell’ambiente.

Questo articolo ha scatenato una ridda di proteste, in alcuni casi anche di insulti, a tutti su tutti i mezzi di comunicazione possibili, dai commenti sul sito, ai gruppi facebook e perfino sugli account di posta riferibili al sito.

Reccom Magazine non ha espresso alcuna opinione in merito al problema e l’articolista si è limitato a riportare i fatti. In molte grandi città da anni si tenta di arginare il problema attraverso la sterilizzazione di massa ma catturare tutti i gatti liberi, o almeno la maggior parte, è pressoché impossibile e i gatti non hanno praticamente nemici naturali e competitori in città, rendendo il problema di difficilissima soluzione. Noi, ovviamente, siamo incondizionatamente contro qualsiasi soluzione che preveda l’uccisione anche di un solo gatto ma molta gente dovrebbe mettersi una mano sulla coscienza e invece di nutrire colonie sempre più numerose dovrebbe adottare e sterilizzare invece di prendersela con chi si limita a fare presente che esiste un problema.

Da parte nostra siamo disponibilissimi ad un confronto con qualunque parte, siano enti di salvaguardia o privati e a lasciare spazio e visibilità a proposte e possibili soluzioni.

Massimo Zito – Direttore Reccom Magazine