Tra il 1600 ed il 1800 la comunità scientifica cercava di venire a capo di un mistero: come faceva la forza di gravità a trasmettersi da un corpo ad un’altro, magari a grande distanza l’uno dall’altro. Lo stesso Newton ci aveva battuto la testa dovendo alla fine arrendersi al mistero.
Come faceva la terra a sentire l’attrazione del Sole che distava 150 milioni di chilometri? Il primo ad aprire uno squarcio di luce sull’attrazione a distanza fu Micheal Faraday (1791-1867) che avanzò l’ipotesi del campo elettromagnetico.
Faraday era di umili origini e per campare faceva il rilegatore di libri, questo gli permetteva di leggere molto e la sua innata curiosità lo spinse a focalizzare il suo interesse di autodidatta sui testi scientifici.
Grazie ad una mente intuitiva e brillante, ancorché privo di solide basi formali di studio, Faraday ipotizzò che ogni particella elettricamente carica creasse intorno a se un’entità chiamata campo elettrico, una specie di maglia presente in tutto lo spazio che agisce su tutte le cariche che trova con un’intensità che diminuisce al crescere della distanza dalla fonte.
L’esistenza dei campi fu oggetto di un intenso dibattito scientifico e di speculazioni filosofiche altrettanto accese e divisive. A fine ottocento gli studiosi si convinsero che esistevano i campi elettrici (creati dalle particelle cariche), quelli magnetici (creati dai magneti o dalle correnti elettriche) e quelli gravitazionali (creati da tutti gli oggetti dotati di massa).
Faraday, intorno al 1820 condusse una serie di esperimenti che misero in forte connessione i campi elettrici con quelli magnetici. Già si sapeva che la corrente elettrica poteva generare la forza magnetica. Faraday si chiese se poteva essere possibile anche l’inverso.
La risposta era semplice quanto sorprendente: bastava variare il secondo per generare il primo.
Faraday che aveva riscattato un’infanzia ed una giovinezza di stenti e priva di un’adeguato livello di istruzione (riusci’ soltanto nel 1812 a frequentare regolarmente gli studi universitari) darà un contributo fondamentale all’elettromagnetismo ed all’elettrochimica.
Inventore del becco Bunsen e della gabbia che porta il suo nome, scoprì le leggi che portano il suo nome note anche come legge dell’induzione elettromagnetica.
Grande scienziato sperimentale, Faraday aveva basi matematiche estremamente deboli, e questo permise a Maxwell di sviluppare le equazioni che stanno alla base di tutte le moderne teorie sui fenomeni elettromagnetici.
Faraday, comunque, fu un abile divulgatore scientifico dell’epoca, riuscendo a comunicare le sue idee in un linguaggio chiaro e semplice anche per i non addetti ai lavori. Durante la sua vita, Faraday rifiutò il titolo di cavaliere e rifiutò due volte di divenire Presidente della Royal Society, così come si oppose alla partecipazione nella produzione di armi chimiche per la Guerra di Crimea, citando ragioni etiche e religiose.
Faraday fu infatti per tutta la vita un fervente credente di una setta protestante cristiana, la sandemaniana che interpreta letteralmente la Bibbia (ci sono rimasti alcuni sermoni da lui tenuti).
Ha scritto l’astrofisico Amedeo Balbi: «Faraday si era da tempo convinto che dietro la molteplicità dei fenomeni naturali dovesse esserci una fondamentale unità. L’idea gli derivava da personali convinzioni filosofiche (era un uomo profondamente religioso), ma il vero banco di prova delle ipotesi, come sempre, doveva essere il confronto con i fatti concreti»
Morì nella sua abitazione ad Hampton Court il 25 agosto 1867.