Gli esseri umani sono una delle specie più cooperative del pianeta, e sono parte di un enorme ecosistema interconnesso. Abbiamo costruito grandi città, collegate da un sistema nervoso globale di strade, rotte aeree e di navigazione e fibre ottiche. Abbiamo inviato migliaia di satelliti che ruotano intorno al pianeta. Anche oggetti apparentemente semplici come una matita di grafite sono opera di migliaia di mani da tutto il mondo, come descrive il meraviglioso saggio I-Pencil di Leonard Read.
Eppure possiamo anche essere sorprendentemente intolleranti l’uno con l’altro. Se siamo completamente onesti, c’è forse un po’ di xenofobia, razzismo, sessismo e bigottismo dentro ognuno di noi. Fortunatamente, possiamo scegliere di controllare e sopprimere queste inclinazioni ancestrali, per il nostro benessere e il bene della società.
La maggior parte delle tendenze umane hanno radici nella genetica ed sono profondamente influenzate dall’ambiente in cui si vive.
Questo influenza la nostra inclinazione alla paura degli altri e, in particolar modo, dello “straniero” – la xenofobia – e l’intolleranza nei confronti dei loro punti di vista – il bigottismo. Cablato nella regione dell’amigdala del cervello c’è il riflesso della paura che viene innescato da incontri con tutto quello che non conosciamo.
In epoca premoderna, aveva senso temere i gruppi estranei: si aveva il timore che potessero essere aggressivi, interessati alle risorse di sostentamento della comunità, portatori di malattie sconosciute. Al contrario, era più semplice avere un atteggiamento conciliante con soggetti simili a noi, per il semplice fatto che familiarizzare con loro predisponeva alla conservazione del corredo genetico.
Al di là di tali considerazioni genetiche, la cultura umana influenza fortemente i nostri atteggiamenti e comportamenti, modificando le pulsioni umane innate – o sopprimendole o incoraggiandole ulteriormente. Se tolleriamo e ci fidiamo di qualcuno o temiamo e lo rifiutiamo dipende molto da questa cultura.
La civiltà moderna, in generale, incoraggia l’estensione di atteggiamenti come il rispetto e la tolleranza oltre quelli che ci assomigliano, a quelli con cui non abbiamo alcuna relazione. Rafforziamo e codifichiamo questi valori, insegnandoli ai nostri figli, mentre i leader spirituali religiosi e secolari li promuovono nei loro insegnamenti. Questo perché generalmente portano a una società più armoniosa e reciprocamente vantaggiosa.
Razzismo e bigottismo: il problema del tribalismo
Bisogna partire dal presupposto che essere circondati da persone che stigmatizzano la diversità altrui incoraggia la sfiducia o l’aggressività che risiede in noi. Questo stimola i pulsanti di alcuni atteggiamenti xenofobi profondamente radicati nell’essere umano e scoraggia le risposte inibitorie apprese nella corteccia prefrontale del cervello che si accumulano in contesti più progressivi.
Movimenti come il nazismo hanno apertamente promosso il razzismo e bigottismo. Incoraggiano una forte lealtà tribale verso il gruppo di appartenenza, mentre stigmatizzano tutto ciò che è al di fuori da esso ed è irriconoscibile. Se estremizzato, un sentimento patriottico può volgere in un nazionalismo malsano, dove si interpone un senso di identificazione che compromette l’inclusione dell’altro.
Oggi tutto sembra avvalorare queste teorie: il presidente degli Stati Uniti Donald Trump, il presidente brasiliano Jair Bolsonaro e il primo ministro indiano Narendra Modi, sono l’esempio di una predisposizione al nazionalismo più becero. Nel Regno Unito, figure come Nigel Farage, sostenitore della Brexit, utilizzano piattaforme multimediali per promuovere visioni ingenue e bigotte – un esempio è questo tweet sulla pandemia da covid19: “È davvero giunto il momento di dirlo tutti. La Cina ha causato questo incubo“.
Quando i media, e in particolare quelli di riferimento, parlano in questo modo, si vanno a toccare inclinazioni profonde del nostro essere. Possono arrivare ad influenzare il nostro sistema di credenze e convincerci che si tratti di pure questioni razionali.
Questo perché tendiamo ad adottare una posizione comune su un argomento per promuovere la nostra identità di soggetti facenti parte di una determinata comunità, proprio come gli appassionati di calcio indossano determinati colori o hanno tatuaggi per mostrare la loro lealtà tribale. Persino individui forti che resistono a regimi oppressivi in genere hanno ideali e norme condivisi con altri membri di un movimento di resistenza.
Il tribalismo attiva le parti primarie del nostro cervello, progettate per dare tali risposte. Tuttavia, ci sono altri atteggiamenti naturali, come la compassione e la considerazione per gli altri, che addirittura possono essere soppresse in tali circostanze. Le culture squilibrate producono cervelli squilibrati.
Razzismo e bigottismo: il ruolo dei cambiamenti climatici
Le crescenti crisi ecologiche – i cambiamenti climatici, l’inquinamento e la perdita di biodiversità – possono effettivamente portare ad atteggiamenti più bigotti e xenofobi.
Lo psicologo culturale Michele Gelfand ha dimostrato in che modo gli shock ambientali fanno sì che le società diventino più “strette”, il che significa che la tendenza ad essere fedele alla comunità diventa più forte. Tali società hanno maggiori probabilità di eleggere leader autoritari e di mostrare pregiudizio verso gli estranei.
Ciò è stato osservato in passato con minacce ecologiche come la scarsità di risorse e le epidemie e in scenari di cambiamento climatico ci aspettiamo che queste minacce, in particolare eventi meteorologici estremi e insicurezza alimentare, peggiorino la situazione. Lo stesso vale per la pandemia da COVID-19: mentre molti sperano che possa portare a un mondo migliore, potrebbe succedere (e forse sta già succedendo) anche il contrario.
Questa maggiore lealtà verso la nostra tribù è un meccanismo di difesa che, in passato, ha aiutato i gruppi umani a riunirsi per superare le difficoltà. Ma non è vantaggioso in un mondo globalizzato, dove le questioni ecologiche e le nostre economie trascendono i confini nazionali. In risposta alle questioni globali, diventare bigotti, xenofobi e ridurre la cooperazione con altri paesi non farà che peggiorare gli impatti sulle proprie nazioni.
Razzismo e bigottismo: come ricablare il cervello
Per fortuna, possiamo usare il pensiero razionale per sviluppare strategie idonne a superare questi atteggiamenti. Possiamo rafforzare i valori positivi, costruendo fiducia e compassione, riducendo la distinzione tra il nostro gruppo e “l’altro“.
Un primo passo importante è apprezzare la nostra connessione con le altre persone. Ci siamo evoluti tutti dallo stesso antenato e condividiamo oltre il 99% del nostro DNA con tutti gli altri esseri umani del pianeta. Le nostre menti sono strettamente collegate attraverso i social network e le cose che creiamo sono spesso l’inevitabile passo successivo in una serie di innovazioni interdipendenti.
L’innovazione è parte di un grande sforzo creativo umano collegato senza distinzione per la razza o i confini nazionali. Di fronte alle prove schiaccianti di molteplici discipline scientifiche (biologia, psicologia, neuroscienze) ci si può anche chiedere se esistiamo come individui chiusi in sé stessi o se questo senso di individualità è un’illusione.
Ci siamo evoluti per credere di essere individui indipendenti perché questo garantiva la sopravvivenza (come la formazione della memoria e la capacità di tracciare interazioni sociali complesse). Alla lunga, però, l’individualismo egocentrico può impedirci di risolvere i problemi collettivi.
Al di là della teoria, la pratica è anche necessaria per ricollegare letteralmente il nostro cervello, rafforzando le reti neurali attraverso le quali nasce il comportamento compassionevole. È stato dimostrato che le attività della comunità all’aperto aumentano la nostra connessione psicologica con gli altri.
Allo stesso modo, gli approcci alla meditazione alterano le reti neurali nel cervello e riducono il nostro senso di auto-identità isolata, promuovendo invece la compassione verso gli altri. Anche giochi e libri per computer possono essere progettati per aumentare l’empatia.
Infine, a livello sociale, abbiamo bisogno di un dibattito franco e aperto sui cambiamenti ambientali e sui suoi impatti umani attuali e futuri – soprattutto, su come i nostri atteggiamenti e valori possono influenzare chi verrà dopo di noi. Abbiamo bisogno di un dialogo pubblico sulla migrazione umana guidata dal clima e su come rispondere a questa problematica come società, permettendoci di mitigare la reazione istintiva di svalutare gli altri.
Disinneschiamo questa bomba a orologeria etica e biasimiamo coloro che alimentano le fiamme del bigottismo sotto di essa. Invece, possiamo aprirci ad un atteggiamento più espansivo di connessione, dandoci il potere di lavorare insieme in collaborazione con i nostri simili parenti umani.
È possibile guidare le nostre culture e ricollegare i nostri cervelli in modo che razzismo e bigottismo scompaiano.