Chi, nei primi anni 2000, seguiva l’emittente francese Antenne2 (a quei tempi trasmessa anche in Italia) ricorderà sicuramente la bellissima trasmissione Fort Boyard, un’appassionante caccia al tesoro ambientata in un fortino costruito nell’800 al largo della costa atlantica francese.
L’idea del programma (uno dei successi televisivi più longevi di Francia) venne a Jacques Antoine, un autore di Antenne2, in seguito ad un’impresa che quasi costò la vita a Philippe de Dieuleveult, reporter, esploratore e avventuriero, che cercò di raggiungere il forte a nuoto malgrado il maltempo restando bloccato su di uno scoglio per più di tre ore prima di venire salvato in elicottero.
Philippe de Dieuleveult, nato nel 1951, apparteneva ad un’antica famiglia nobile della Bretagna. Amante dell’avventura, dopo il servizio militare nei paracadutisti aveva iniziato l’attività di reporter in giro per il mondo, e dal 1981 era diventato uno dei presentatori del programma La Chasse aux trésors, una trasmissione di enorme successo per quattro anni successivi. Registrando il programma ogni settimana in un paese diverso in tutto il mondo, era diventato il preferito degli spettatori con la sua simpatia, il suo umorismo e il suo sprezzo del pericolo (lancio da un elicottero, immersioni subacquee, salto con il paracadute, ecc.). Nel 1984 la sua autobiografia, J’ai un ciel bleu dans mon passeport, nel giro di cinque settimane diventò un best seller con oltre 300.000 copie vendute; appassionato di avventure in Africa, prevedeva anche di partecipare alla Parigi-Dakar 1985/1986 come cronista.
Nel 1985, Philippe de Dieuleveult prese parte alla spedizione “Africa Raft”, la discesa in gommone del fiume Zaire, il secondo fiume più grande del mondo come flusso dopo il Rio delle Amazzoni.
La mattina del 6 agosto, dopo aver pernottato in tenda su di un’isola, gli esploratori iniziarono la discesa su due gommoni, il Godelieve con a bordo quattro uomini e il Francoise con tre persone, tra cui de Dieuleveult. Altri due membri della spedizione, Laurenceau e Amblard, saputo che l’intenzione era di attraversare le rapide di Inga (ritenute impraticabili) si rifiutarono di proseguire via fiume e affrontarono una marcia di sette ore fino alla omonima diga idroelettrica, dove trovarono i gendarmi locali in allerta.
Siccome in quel periodo la zona era molto pericolosa, percorsa da bande di mercenari e di ribelli al regime del presidente Mobutu, era stato inviato un telex da Kinshasa per avvertire la gendarmeria del passaggio degli esploratori. Secondo Laurenceau e Amblard il telex era effettivamente arrivato, ma il responsabile del posto di polizia della diga lo aveva tenuto nascosto mandando degli uomini a pattugliare le rive del fiume.
Sei dei sette esploratori non furono mai ritrovati; soltanto un corpo, quello di Guy Collette, fu recuperato.
Dopo qualche tempo furono rinvenuti i due gommoni: il Francoise era intatto, arenato in una piccola spiaggia, mentre del Godelieve non si ritrovarono che dei relitti.
Si sono fatte varie ipotesi sulla fine di Philippe de Dieuleveult e dei suoi compagni: le più accreditate sono quella dell’assassinio volontario, dell’errore da parte di soldati zairesi e dell’incidente.
La prima ipotesi apparve per la prima volta nel 1994 in un libro scritto da Okito Bene-Bene, un ex ufficiale dei servizi segreti zairesi, intitolato Ho visto morire Philippe de Dieuleveult. L’autore, rifugiato in Belgio nel 1990 e ora deceduto, affermava di aver assistito all’esecuzione di Philippe de Dieuleveult, che dopo essere stato catturato e sottoposto a ore di interrogatorio in un campo militare, era stato giustiziato con quattro suoi compagni nella notte del 9 agosto 1985.
In seguito a queste rivelazioni, la famiglia de Dieuleveult chiese e ottenne dalla Polizia Giudiziaria l’apertura di un’indagine, che però concluse che la tesi di assassinio non poteva reggere; inoltre l’unico corpo ritrovato, riesumato, non mostrava tracce di colpi d’arma da fuoco.
Questa ipotesi, basata solamente sulla parola di Bene-Bene, fu tuttavia ripresa in un’indagine pubblicata dal giornale XXI nell’ottobre 2008 e intitolata I coccodrilli dello Zaire scritta dalla giornalista Anna Miquel, che dai suoi numerosi soggiorni nel Paese riportò elementi volti a dimostrare che Philippe de Dieuleveult era stato giustiziato. Miquel affermò che l’8 agosto 1985 (due giorni dopo la scomparsa ufficiale dei membri della spedizione Africa Raft nelle rapide di Inga), de Dieuleveult fu interrogato a Kinshasa da un ufficiale della Divisione Speciale presidenziale, la guardia personale dell’ex presidente Mobutu Sese Seko.
Il verbale di questo interrogatorio, che la giornalista afferma di aver trovato, inizia L’anno millenovecentottantacinque, l’ottavo giorno di agosto, è stato ascoltato l’imputato Philippe Dieuleveult. Questo documento non è mai stato autenticato, ma secondo la giornalista reca due firme: quella del maggiore K., “capo delle operazioni” e quella dell’imputato Philippe de Dieuleveult.
In seguito all’indagine Jean de Dieuleveult, fratello di Philippe, presentò una denuncia per complicità nell’assassinio contro l’agenzia di intelligence francese. Tuttavia, secondo gli investigatori della Brigata Criminale, il rapporto sarebbe un falso su cui la firma di Philippe de Dieuleveult sarebbe apocrifa.
Nel 2006, un documentario-inchiesta condotto da Tugdual de Dieuleveult (il figlio maggiore di Philippe, che all’epoca della morte di suo padre aveva quattro anni) presentò un altro punto di vista.
Secondo il documentario, la versione più credibile è quella sostenuta da Jean-Louis Amblard, ovvero un fatale errore di soldati zairesi che avrebbero sparato sui tre partecipanti a bordo del Francoise mentre i quattro sul Godelieve sarebbero annegati nel fiume. Nel filmato questa versione è supportata anche dall’ammiraglio Pierre Lacoste, all’epoca capo della direzione generale della Sicurezza esterna (DGSE), ma l’assenza di indizi sull’errore lascia la cosa in sospeso.
Le autorità zairesi e francesi avrebbero accreditato la tesi dell’incidente senza approfondire oltre, per ragioni diplomatiche legate alle presunta appartenenza di de Dieuleveult ai servizi segreti, cosa che a detta dei familiari era nota ma mai ufficialmente confermata; allo stesso tempo risulterebbe la presenza di Laurent Désiré Kabila, principale oppositore politico di Mobutu Sese Seko, in un campo militare allestito lungo il fiume dove erano presenti consiglieri militari cubani e sovietici, con molti ribelli angolani e zairesi.
Infine, la tesi dell’incidente.
In un articolo sul quotidiano belga Le Soir del 20 agosto 1985, viene riportato che diversi impiegati della diga di Inga avrebbero visto i gommoni sfrecciare lungo le rapide.
Ken Selman, un americano che lavorava in quel luogo, raccontò che il gommone di Philippe de Dieuleveult era stato catturato dalle correnti di fronte alla diga; l’uomo vide l’imbarcazione affondare per cinque secondi, saltare in aria, girarsi e affondare di nuovo. Secondo Selman un equipaggio come quello di Philippe de Dieuleveult, che sedeva nel gommone senza cinture di sicurezza, non avrebbe potuto assolutamente riuscire a restare a bordo. Il secondo gommone si sarebbe probabilmente capovolto nei primi metri delle terribili rapide.
Tuttavia, alcuni elementi sembravano dubbi: il 12 agosto 1985 un ingegnere zairese, Tunasi Atanga, affermò a Le Soir di aver visto il giorno dopo la tragedia tre uomini bianchi andare e venire intorno alla barca intatta. “Sembrava che caricassero borse gialle sulla barca”. Le borse della spedizione erano infatti di un giallo brillante.
Una settimana dopo, però, Atanga non fu più così sicuro sul colore della pelle dei tre uomini, dicendo che siccome li aveva visti da circa un chilometro e mezzo con il binocolo, non era riuscito a distinguerli bene.
Può sembrare curioso che solo uno dei corpi dei sette membri della spedizione sia stato recuperato ma questo potrebbe essere spiegato dai vortici che possono portare un corpo a fondo e incastrarlo sotto una roccia e dalla presenza di predatori (coccodrilli lunghi tre metri e pesci carnivori).
La fine di Philippe de Dieuleveult rimane, quindi, ancora misteriosa: e forse, per un personaggio da romanzo quale egli era, è meglio che sia così.
Il documentario di Tugdual de Dieuleveult si può vedere su Youtube:
La misteriosa fine dell’esploratore e avventuriero Philippe De Dieuleveult
Chi, nei primi anni 2000, seguiva l’emittente francese Antenne2 (a quei tempi trasmessa anche in Italia) ricorderà sicuramente la bellissima trasmissione Fort Boyard, un’appassionante caccia al tesoro ambientata in un fortino costruito nell’800 al largo della costa atlantica francese.
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