I ricercatori della Washington University School of Medicine di St. Louis hanno messo in discussione una convinzione consolidata su come le connessioni tra le cellule cerebrali si modificano durante stati di elevata vigilanza o attenzione.
La ricerca ha rivelato che una sostanza chimica cerebrale, cruciale per la prontezza, l’attenzione e l’apprendimento, influenza la connettività e la funzione cerebrale in modo indiretto. Contrariamente a quanto si pensava, questa azione non avviene direttamente sui neuroni, le cellule notoriamente rapide nella trasmissione di informazioni.
Il meccanismo chiave risiede invece nell’attività degli astrociti, un tipo di cellula cerebrale con un’azione più lenta e spesso sottovalutato nel campo delle neuroscienze.

Il ruolo degli astrociti
Questa scoperta trasforma radicalmente la nostra attuale comprensione dei fattori che determinano la comunicazione e l’attività all’interno delle reti cerebrali. Inoltre, questa ricerca sottolinea la necessità di dedicare maggiore attenzione agli astrociti come potenziali bersagli terapeutici per il trattamento di disturbi legati all’attenzione, alla memoria e alle emozioni.
Come ha affermato il Dr. Thomas Papouin, autore principale dello studio: “Sembra che gran parte del cablaggio e dell’attività cerebrale siano probabilmente orchestrati dagli astrociti, su scale temporali più lente. Questo è il tipo di scoperta che rimodella profondamente la nostra comprensione del funzionamento del cervello“.
La scoperta che gli astrociti svolgono un ruolo cruciale nella modulazione della connettività e della funzione cerebrale durante stati di elevata vigilanza e attenzione apre orizzonti terapeutici precedentemente inesplorati. Tradizionalmente, la ricerca farmacologica nel campo delle neuroscienze si è concentrata prevalentemente sui neuroni e sui loro sistemi di neurotrasmissione per affrontare disturbi legati all’attenzione, alla memoria e alle emozioni. La nuova luce proiettata sul ruolo attivo e dinamico degli astrociti suggerisce un cambio di paradigma necessario e potenzialmente fruttuoso.
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📘 Leggi la guida su AmazonConsiderando la loro influenza sulla comunicazione e sull’organizzazione delle reti neurali su scale temporali più lente, gli astrociti potrebbero rappresentare bersagli terapeutici innovativi per modulare l’attività cerebrale in modo più sottile e potenzialmente più efficace rispetto agli approcci attuali. Ad esempio, in condizioni caratterizzate da deficit di attenzione, come il disturbo da deficit di attenzione e iperattività (ADHD), o da compromissioni della memoria, come nella malattia di Alzheimer e in altre forme di demenza, intervenire sulla funzionalità degli astrociti potrebbe ripristinare o compensare squilibri nella connettività sinaptica e nella plasticità cerebrale.
Allo stesso modo, nei disturbi dell’umore e nelle patologie psichiatriche, dove le alterazioni nella regolazione delle emozioni e nei circuiti neurali sono centrali, la modulazione dell’attività astrocitaria potrebbe offrire nuove strategie terapeutiche. Gli astrociti, infatti, non sono semplici cellule di supporto, ma partecipano attivamente alla neurotrasmissione, al metabolismo energetico e al mantenimento dell’omeostasi cerebrale, processi intimamente legati alla sfera emotiva e cognitiva.
La riprogrammazione cerebrale in stati di vigilanza e attenzione
Per poter affrontare compiti che richiedono un elevato livello di attenzione o per rispondere prontamente a stimoli inattesi, come un segnale di allarme, il cervello necessita di una notevole capacità di riorganizzazione. Questo processo dinamico si attua attraverso la modulazione delle modalità con cui le cellule cerebrali, i neuroni, interagiscono tra loro. Il meccanismo chiave alla base di questa riprogrammazione è il rilascio nel cervello di specifiche sostanze chimiche, denominate neuromodulatori, tra cui spicca la noradrenalina.
Nonostante la riconosciuta importanza dei neuromodulatori in questi processi cognitivi fondamentali, i meccanismi precisi attraverso i quali essi rimodellano la comunicazione cerebrale rimangono ancora oggetto di intensa indagine. Per circa ottant’anni, il paradigma dominante nella neuroscienza ha postulato che l’azione di queste sostanze chimiche neuromodulatrici si esercitasse direttamente sui neuroni, le unità fondamentali dell’elaborazione dell’informazione nel cervello.
Da almeno trent’anni evidenze scientifiche hanno dimostrato che un altro tipo di cellula cerebrale, l’astrocite, stabilisce contatti e interagisce attivamente con le sinapsi. Le sinapsi rappresentano le giunzioni specializzate attraverso le quali i neuroni scambiano segnali e informazioni. La morfologia peculiare degli astrociti, caratterizzata da una forma sottile ed estesa, suggerisce che queste cellule si trovino in una posizione strategica per monitorare e rilevare la presenza di neuromodulatori come la noradrenalina nell’ambiente circostante.
Proprio in virtù di questa loro posizione anatomica e delle loro capacità di interazione sinaptica, i ricercatori hanno da tempo coltivato il sospetto che gli astrociti possiedano il potenziale per influenzare e riorganizzare la comunicazione tra i neuroni e, di conseguenza, il flusso di informazioni all’interno dei circuiti cerebrali. Come ha concisamente espresso il Dr. Papouin, l’obiettivo della loro ricerca era quello di “testare l’idea che forse la neuromodulazione delle sinapsi da parte della noradrenalina fosse un affare degli astrociti“. Questa prospettiva apre nuove ed entusiasmanti vie di indagine per comprendere appieno la complessità dei meccanismi che sottendono alla plasticità e alla funzionalità del cervello.
L’attivazione astrocitaria innescata dalla noradrenalina
Per verificare la loro ipotesi, il team guidato dal Dr. Papouin ha condotto esperimenti in vitro e in vivo su modelli murini. In particolare, hanno stimolato il rilascio di noradrenalina dalle cellule cerebrali dei topi e hanno esposto sezioni di tessuto cerebrale murino a questa stessa sostanza chimica. Coerentemente con quanto osservato in precedenti ricerche, i risultati hanno confermato che la noradrenalina induce un indebolimento delle connessioni sinaptiche tra i neuroni.
L’aspetto cruciale e innovativo dello studio è emerso dall’osservazione che la noradrenalina non agiva isolatamente sui neuroni. Al contrario, la sua presenza innescava anche una significativa attività negli astrociti circostanti. Una volta attivati dalla noradrenalina, gli astrociti si rivelavano capaci di produrre e rilasciare una seconda sostanza chimica direttamente all’interno delle sinapsi. Questa sostanza secondaria, a sua volta, era responsabile dell’attenuazione dell’attività sinaptica osservata.
Per corroborare ulteriormente il ruolo degli astrociti, i ricercatori hanno manipolato la capacità dei neuroni e degli astrociti di rispondere alla noradrenalina. Hanno scoperto che, anche in condizioni in cui i neuroni non erano più in grado di percepire direttamente il segnale della noradrenalina, quest’ultima conservava la sua capacità di riorganizzare le connessioni neuronali. Al contrario, quando veniva compromessa la capacità degli astrociti di percepire o di rispondere alla noradrenalina, quest’ultima perdeva la sua efficacia nel modulare la connettività neuronale.
Questi risultati convergenti forniscono una solida evidenza a sostegno dell’ipotesi che i neuromodulatori come la noradrenalina esercitino la loro azione di riorganizzazione delle connessioni neuronali nel cervello non attraverso un’azione diretta sui neuroni, bensì inviando segnali che vengono processati e mediati dagli astrociti.
Le implicazioni di questa scoperta per lo sviluppo di nuove terapie per i disturbi cerebrali sono significative. I risultati suggeriscono che modulare l’attività degli astrociti potrebbe rappresentare una strategia efficace per rimodellare l’attività cerebrale patologica e potenzialmente trattare diverse condizioni neurologiche e psichiatriche.
Il team del Dr. Papouin ha già intrapreso una nuova linea di ricerca, focalizzata sull’analisi di farmaci attualmente utilizzati e ritenuti agire direttamente sui neuroni. L’obiettivo è verificare se la loro efficacia terapeutica dipenda in realtà dall’azione intermediaria degli astrociti. In tal caso, si aprirebbe la prospettiva di sviluppare farmaci che prendano di mira direttamente gli astrociti per ottenere effetti terapeutici più precisi ed efficaci.
Come ha sottolineato il Dr. Papouin: “Esistono così tanti farmaci che interferiscono con la segnalazione della noradrenalina nel cervello, in particolare nel trattamento dell’ADHD o della depressione. Mi chiedo quanti di questi richiedano l’intervento degli astrociti per modificare l’attività cerebrale“. Questa riflessione apre scenari inediti per la comprensione dei meccanismi d’azione dei farmaci esistenti e per la progettazione di nuove strategie terapeutiche incentrate sul ruolo dinamico e cruciale degli astrociti nel funzionamento del cervello.
Lo studio è stato pubblicato su Science.