Utilizzando i dati della sonda spaziale Gaia dell’ESA, una recente ricerca ha portato alla conferma di due corpi celesti alquanto singolari: un esopianeta di tipo “Super-Giove”, denominato Gaia-4b, e una nana bruna, chiamata Gaia-5b. L’aspetto più sorprendente di Gaia-4b e Gaia-5b risiede nel fatto che entrambi questi oggetti orbitano attorno a stelle di massa ridotta, una condizione che mette in discussione le attuali teorie relative alla formazione dei pianeti. In altre parole, la presenza di oggetti così massicci attorno a stelle piccole rappresenta una sfida per i modelli cosmologici oggi accettati.
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Gaia-4b e Gaia-5b: un gigante gassoso inaspettato e una nana bruna enigmatica
Gaia-4b, circa dodici volte più massiccio di Giove, è un gigante gassoso con un periodo orbitale di 570 giorni. La sua temperatura relativamente bassa suggerisce che si tratti di un pianeta “freddo“. La sua stella ospite, Gaia-4, è una stella precedentemente poco studiata situata a circa 244 anni luce dalla Terra.
Gaia-5b, con una massa di circa 21 volte quella di Giove, è una nana bruna. Questi oggetti celesti sono più massicci dei pianeti ma non abbastanza massicci da innescare la fusione nucleare, il processo che alimenta le stelle. Gaia-5b orbita attorno alla stella Gaia-5, situata a circa 134 anni luce di distanza.
La scoperta di Gaia-4b e Gaia-5b è sorprendente perché le attuali teorie sulla formazione planetaria prevedono che oggetti così massicci si formino attorno a stelle più grandi. La presenza di questi oggetti giganti attorno a stelle di piccola massa solleva interrogativi fondamentali sui meccanismi di formazione planetaria e sulla nostra comprensione dell’Universo.
La sonda spaziale dell’ESA ha rivoluzionato la nostra conoscenza della Via Lattea. Lanciata nel 2013, ha creato la mappa tridimensionale più grande e precisa della nostra galassia, osservando miliardi di oggetti celesti con una precisione senza precedenti.
Gaia utilizza una tecnica chiamata astrometria per individuare oggetti celesti. Misurando con precisione il moto delle stelle, è in grado di rilevare le piccole “oscillazioni” causate dalla presenza di pianeti o altri oggetti massicci in orbita. Questa tecnica è particolarmente efficace per scoprire oggetti massicci con orbite distanti dalle loro stelle.
La missione è ancora in corso e si prevede che rivelerà migliaia di nuovi oggetti celestiboltre a Gaia-4b e Gaia-5b. I dati raccolti saranno fondamentali per studiare in dettaglio gli oggetti rinvenuti, nonché molti altri sistemi planetari, aiutandoci a comprendere meglio la formazione e l’evoluzione dei pianeti e delle nane brune.
Le scoperte di Gaia-4b e Gaia-5b rappresentano un importante passo avanti nella nostra esplorazione del Cosmo. Questi oggetti misteriosi ci offrono uno sguardo interessante sulla diversità e sulla complessità dell’universo, aprendo nuove frontiere nella ricerca astronomica.
le caratteristiche delle stelle di piccola massa
“Gaia ha osservato ripetutamente Gaia-4b e Gaia-5b, accumulando dati sempre più dettagliati nel corso del tempo“,ha affermato Guðmundur: “Nel 2022, il terzo rilascio di dati di Gaia includeva un elenco di stelle che mostravano movimenti anomali, come se fossero influenzate dalla gravità di un esopianeta. Attraverso osservazioni spettroscopiche da terra e la tecnica della velocità radiale, siamo riusciti a confermare la presenza del nostro primo pianeta e della nostra prima nana bruna tra questi oggetti”.
La combinazione di dati astrometrici (relativi alla posizione e al movimento degli astri) e dati sulla velocità radiale (che misurano la velocità di un oggetto lungo la linea di vista) permette agli astronomi di determinare con precisione tutti i dettagli orbitali e la massa dell’oggetto in orbita attorno a una stella. Questa sinergia di metodi osservativi offre un’opportunità unica per ricostruire la struttura tridimensionale di questi sistemi planetari.
“Circa il 75% delle stelle presenti nella Via Lattea sono stelle di piccola massa, con masse comprese tra il 10% e il 60-65% della massa del Sole. Data la loro abbondanza, queste stelle sono anche le più vicine a noi“, ha spiegato Guðmundur: “I pianeti massicci che orbitano attorno a stelle di piccola massa sono noti per essere eventi rari. Tuttavia, quando si verificano, questi pianeti esercitano un’influenza gravitazionale maggiore sulla stella madre, producendo un’oscillazione più ampia e quindi una firma astrometrica più facilmente rilevabile”.
Sebbene un esopianeta fosse stato precedentemente scoperto dalle missioni combinate di Gaia e Hipparcos, la scoperta di Gaia-4b e Gaia-5b è un’esclusiva di Gaia. Il prossimo rilascio di dati di Gaia, previsto per il 2026, conterrà 5,5 anni di osservazioni, con la potenzialità di rivelare centinaia, se non migliaia, di nuovi pianeti e nane brune attorno a stelle vicine. Questo fornirà nuove, preziose informazioni sulla formazione di questi corpi celesti, così diversi tra loro. Gaia sta aprendo una nuova frontiera nell’astrometria, approfondendo la nostra comprensione dei sistemi planetari che popolano la nostra galassia.
Matthew Standing, ricercatore associato dell’ESA ed esperto di esopianeti, ha spiegato: “Questa scoperta è un’entusiasmante anticipazione di ciò che Gaia ci riserverà in futuro nel campo degli esopianeti“, e ha aggiunto: “La scoperta di Gaia-4b e Gaia-5b è una pietra miliare nell’utilizzo dell’astrometria di Gaia per la ricerca di esopianeti, una tecnica che si affianca ad altri metodi di rilevamento, come quelli utilizzati da Cheops dell’ESA e dalla futura missione Plato”.
Conclusioni
Johannes Sahlmann, Gaia Project Scientist presso l’ESA, ha osservato: “Gaia aveva già intercettato segnali rivelatori di esopianeti già noti, ma questa volta ha portato alla luce un mondo extrasolare del tutto nuovo“. E concluso: “La scoperta di Gaia-4b e Gaia-5b dimostra come le misurazioni di alta precisione di Gaia integrino le tecniche consolidate di scoperta di esopianeti, aprendo nuove prospettive alla ricerca in questo campo. La quarta pubblicazione di dati di Gaia sarà una vera miniera d’oro per i cacciatori di pianeti“.
La ricerca è stata pubblicata sul The Astronomical Journal.