Un team di ricercatori ha confermato che una donna che stava facendo un’escursione sulle Alpi italiane ha scoperto un frammento di un ecosistema risalente a 280 milioni di anni fa, completo di impronte, fossili di piante e persino impronte di gocce di pioggia.
Scoperto un ecosistema risalente al periodo Permiano
Claudia Steffensen stava camminando con ul marito nel Parco delle Orobie Valtellinesi in Lombardia nel 2023 quando ha calpestato una roccia che sembrava una lastra di cemento: “Ho notato questi strani disegni circolari con linee ondulate”, ha detto Steffensen: “Ho guardato più da vicino e ho capito che erano impronte“.
Un team di scienziati ha analizzato la roccia e ha scoperto che le impronte appartengono a un rettile preistorico, sollevando interrogativi su quali altri indizi, oltre alla “roccia zero” di Steffensen, si nascondessero in questo ecosistema di 280 milioni di anni fa.
Lo studio
Gli esperti hanno visitato il resto del sito più volte e hanno trovato prove di un intero ecosistema risalente al periodo Permiano che è stato caratterizzato da un clima in rapido riscaldamento e ha culminati in un evento di estinzione noto come “Grande Morìa”, che ha eliminato il 90% delle specie della Terra.
Le tracce di questo ecosistema consistono in impronte fossilizzate di rettili, anfibi, insetti e artropodi. Accanto a queste tracce, i ricercatori hanno trovato antiche fossili di semi, foglie e steli, così come impronte di gocce di pioggia e onde che lambivano le rive di un lago preistorico. Le prove di questo antico sito sono state trovate fino a 3.000 metri di altezza sulle montagne e giù nel fondo delle valli, dove le frane hanno depositato rocce fossili nel corso di eoni.
L’ecosistema, che è incastonato in arenaria a grana fine, deve la sua straordinaria conservazione alla sua passata vicinanza all’acqua: “Le impronte sono state lasciate quando queste arenarie e scisti erano ancora sabbia e fango imbevuti d’acqua ai margini di fiumi e laghi, che periodicamente, a seconda delle stagioni, si prosciugavano“, ha affermato Ausonio Ronchi, paleontologo dell’Università di Pavia che ha esaminato i fossili: “Il Sole estivo, asciugando quelle superfici, le ha indurite al punto che il ritorno di nuova acqua non ha cancellato le impronte ma, al contrario, le ha ricoperte di nuova argilla, formando uno strato protettivo”.
La grana fine di questa sabbia e fango ha preservato i dettagli più sottili, tra cui segni di artigli e motivi del ventre inferiore degli animali. I ricercatori hanno affermato che le impronte provengono da almeno cinque specie animali diverse, alcune delle quali potrebbero aver raggiunto le dimensioni dei moderni draghi di Komodo ( Varanus komodoensis ), che crescono fino a una lunghezza compresa da 2 a 3 m.
“A quel tempo i dinosauri non esistevano ancora, ma gli animali responsabili delle impronte più grandi trovate nell’ecosistema dovevano comunque avere dimensioni considerevoli“, ha spiegato Cristiano Dal Sasso, paleontologo dei vertebrati del Museo di Storia Naturale di Milano, il primo esperto contattato in merito alla scoperta.
I fossili offrono una finestra su un mondo affascinante e scomparso da tempo, i cui abitanti si sono estinti alla fine del Permiano, ma possono anche insegnarci qualcosa sui tempi in cui viviamo ora.
Conclusioni
Molte delle impronte preistoriche scoperte sarebbero rimaste nascoste se non fosse stato per il cambiamento climatico, che sta rapidamente riducendo la copertura di ghiaccio e neve nelle Alpi. “Questi fossili testimoniano un lontano periodo geologico, ma con una tendenza al riscaldamento globale del tutto simile a quella odierna”, hanno concluso i ricercatori nel comunicato stampa.