La ricerca di civiltà tecnologiche nello spazio (SETI) è stata sempre afflitta dall’incertezza. Con un solo pianeta riconosciuto come effettivamente abitato (la Terra) e una sola specie civilizzata (quella umana) bisogna comprendere se la ricerca di altre vite evolute nell’universo ha ancora senso e semmai porterà a risultati concreti.
Finora solo teorie, sogni e immaginazione. Siamo soli nell’universo? Gli alieni esistono? Se sì come sono fatti? Come ragionano? Come parlano? Interrogativi che ben difficilmente avranno risposta nel futuro prossimo. Certo, suona un po’ di sconfitta il fatto che dopo 60 anni la famosa domanda di Fermi “Dove sono tutti?” non abbia ancora una soluzione.
La ricerca di vita nello spazio prosegue
Nonostante non esistano ancora prove effettive circa l’esistenza di vita extraterrestre, proprio questa incognita che permane ci offre molte opportunità per ipotizzare possibili luoghi, attività e tecnofirme che le osservazioni future potranno testare. Una possibilità è che la crescita delle civiltà sia limitata dalle leggi della fisica e dalla capacità di carico degli ambienti planetari.
In uno studio recente, un team dell’Università delle Filippine Los Banos ha guardato oltre la tradizionale teoria della percolazione per considerare come le civiltà potrebbero crescere in tre diversi tipi di universi (statico, dominato dall’energia oscura e dominato dalla materia). I loro risultati indicano che, a seconda del contesto, la vita intelligente ha una quantità finita di tempo per popolare l’Universo ed è probabile che lo faccia in modo esponenziale.
Il nuovo studio
Lo studio è stato condotto da Allan L. Alinea e Cedrix Jake C. Jadrin, rispettivamente professore assistente di fisica e docente associato presso l’Istituto di scienze matematiche e fisica dell’Università delle Filippine Los Banos. La prestampa del loro articolo, “Percolation of ‘Civilization’ in a Homogeneous Isotropic Universe”, è recentemente apparsa online.
Per lo studio, il team ha considerato come la tradizionale teoria della percolazione potrebbe essere interpretata in termini di una funzione di crescita logistica (LGF), in cui il tasso di crescita pro capite di una popolazione diminuisce man mano che la dimensione della popolazione si avvicina al massimo imposto dai limiti delle risorse locali.
Cosa dice la teoria della percolazione
In breve, la teoria della percolazione descrive come si comportano le reti quando i nodi o i collegamenti vengono rimossi. Il primo esempio conosciuto di questa teoria applicata al paradosso di Fermi fu forse fatto da Carl Sagan e William I. Newman nel 1981. In un articolo intitolato “Civiltà galattiche: dinamiche di popolazione e diffusione interstellare”, sostenevano che la ragione per cui l’umanità non ha incontrate civiltà extraterrestri (ETC) è perché l’esplorazione e l’insediamento interstellare non sono fenomeni lineari.
Coloni provenienti da altri pianeti?
In contrasto con la congettura di Hart-Tipler, che sostiene che le CET avanzate avrebbero colonizzato la nostra galassia molto tempo fa, Sagan e Newman hanno postulato che l’esplorazione interstellare è una questione di diffusione. Geoffrey A. Landis ha sostenuto questo stesso pensiero nel suo articolo del 1993, “Il paradosso di Fermi: un approccio basato sulla teoria della percolazione”, dove ha sostenuto che le leggi della fisica impongono limiti alla crescita interstellare.
Landis ha spiegato tramite alcune dichiarazioni riportate da Science Alert: “Poiché è possibile, dato un numero sufficientemente elevato di civiltà extraterrestri, una o più si sarebbero certamente impegnate a farlo, forse per motivi a noi sconosciuti. La colonizzazione richiederà un tempo estremamente lungo e sarà molto costosa. È abbastanza ragionevole supporre che non tutte le civiltà saranno interessate a sostenere una spesa così elevata per ottenere profitti in un lontano futuro. La società umana consiste di un miscuglio di culture che esplorano e colonizzano, a volte su distanze estremamente grandi, e culture che non hanno alcun interesse a farlo”.