Il mistero della coscienza che nei secoli ha tormentato i filosofi almeno dai tempi di Aristotele, ha iniziato ad insinuarsi nella curiosità e nel desiderio di sapere di scienziati e neuroscienziati. Essa riguarda tutto ciò che assorbiamo attraverso l’esperienza: il sapore del cioccolato, l’amarezza di una delusione, l’amore per la musica, il mal di schiena che non ti ha fatto dormire la notte.
Come nascono tutte queste esperienze? È un mistero che accompagna l’uomo dall’origine della sua esistenza nel mondo sino ai giorni nostri. Alcuni filosofi analitici, come Daniel Dennett della Tufts University, ritengono la coscienza un’illusione, nega do che i qualia possano essere studiati dalla scienza.
Coscienza: un’illusione o una realtà insondabile?
Se quanto sostiene il Professor Dennet fosse vero, dovremmo persuaderci che tutto ciò che riguarda l’esperienza sia una nostra convinzione. Questo può bastare per far passare il mal di schiena? No. Infatti per la maggior parte degli studiosi la coscienza è un dato di fatto che può essere analizzato anche attraverso la scienza.
Gli scienziati però si sono spostati verso un concetto fisico: la materia cerebrale, che attraverso la ricezione ed elaborazione di determinati impulsi dà origine alla coscienza. Cosa accade nel cervello affinché si senta l’amarezza di una delusione, il sapore del cioccolato, il detestatissimo mal di schiena?
Secondo i neuroscienziati, è necessario rintracciare i correlati neuronali della coscienza (NCC), definiti come i meccanismi neuronali minimi congiuntamente sufficienti per qualsiasi specifica esperienza cosciente. E in quale regione del tessuto cerebrale essi albergano? Ogni giorno, il nostro cervello dà vita a migliaia di esperienze.
Un individuo che ha subito un incidente con conseguenze severe, che rimane paralizzato dal busto in giù, continuerà a sentire gli impulsi di un individuo ancora padrone del suo corpo, sentirà come la sua vita è cambiata dopo l’incidente. Questo esempio drastico serve per delimitare l”area fisica che interessa la coscienza, escludendo così il midollo spinale.
Analizzando invece il cervelletto, situato sotto la parte posteriore del cervello. Si tratta di uno dei circuiti cerebrali più antichi in termini evolutivi e il suo compito è quello di controllare l’attività motoria, che vada dal chinare la schiena per raccogliere una posata alla nuotata estiva. Grazie alle cellule di Purkinje, riesce ad ospitare dinamiche elettriche complesse e possiede circa 69 miliardi di neuroni.
Se una parte del cervelletto venisse rimossa o alcune aree di esso si spegneranno a causa di un ictus, si perderà la fluidità di determinati movimenti ma non perderanno nessuna caratteristica della coscienza.
Diventa importante dunque analizzare la corteccia cerebrale che interessa la superficie esterna del tessuto. Diversi studi e alcune attività chirurgiche svolte su pazienti neurologici della prima metà del XX secolo che condistevano nel rimuovere un’ampia fascia di corteccia prefrontale per estirpare tumori o alleviare le crisi epilettiche, hanno dimostrato che sì i pazienti manifestarono alcuni deficit, tuttavia, la loro personalità e il loro QI migliorarono, e continuarono a vivere per molti altri anni, senza alcuna prova che la drastica rimozione del tessuto frontale influenzasse significativamente la loro esperienza cosciente.
La rimozione anche di piccole regioni della corteccia posteriore invece, può causare la perdita di intere classi di contenuti consci: i pazienti non sono in grado di riconoscere i volti o di vedere il movimento, il colore o lo spazio. Secondo le conoscenze a disposizione delle neuroscienze oggi, quasi tutte le esperienze coscienti albergano nella corteccia posteriore.
il ricercatore sulla coscienza Anil Seth studia quello che lui stesso definisce “un miracolo quotidiano” che si concretizza con le esperienze che il corpo assorbe interagendo con il mondo, dove non basta spiegare le meccaniche biologiche ma riconoscere che esiste un’esperienza soggettiva che definisce ogni individuo e la sua personale percezione del mondo.
Seth afferma che la coscienza ha a che fare con la purezza dell’atto in sé che la genera, ed è fondamentale che scirnza e filosofia collaborino per svelarne i misteri. Una non può fare a meno dell’altra e insieme si compensano.
David Chalmers che ha dato un importante contributo alla scienza contemporanea e la filosofia della coscienza, ha dichiarato: “È ampiamente riconosciuto che l’esperienza nasce da una base fisica, ma non abbiamo una buona spiegazione del perché e come nasce. Perché l’elaborazione fisica dovrebbe dare origine a una ricca vita interiore? Sembra oggettivamente irragionevole che ciò accada, eppure è così”.
Si tratta di una questione annosa che anche se non venisse risolta, potrebbe comunque dissolversi accettando che la coscienza esista e sia intimamente correlata col corpo. Prendendo come esempio un’esperienza visiva, alcuni neuroni nella corteccia visiva si illuminano in un determinato modo.
Quando invece si annusa una rosa, i neuroni della corteccia olfattiva si attivano in un altro determinato modo. Si possonoquindi stabilire diverse correlazioni tra le cose che accadono nella personale esperienza di ognuno di noi e le cose che accadono nel cervello. Queste correlazioni però, non spiegano la loro origine.
La sfida infatti sta proprio nell’andare oltre la correlazione, per mostrare perché questi neuroni si comportano in questo modo particolare? Perché questo ci dà le proprietà particolari che caratterizzano un’esperienza visiva, che è estesa nello spazio, dove esistono colori o oggetti, distinti da un’esperienza emotiva?
Per spiegare meglio questa teoria, Seth ha dichiarato: ” Faccio un esempio. Ad esempio, nella visione – ho una tazza di tè davanti a me – se la tengo davanti a me, la mia esperienza di questa tazza è che è un oggetto tridimensionale, che ha una parte posteriore, anche se la parte posteriore non è direttamente visibile ai miei occhi. Sai, c’è qualcosa di oggettivo in questo.
E questa è una proprietà fenomenologica interessante; non si applica a tutto. Se guardi un cielo blu senza caratteristiche, non sembra un oggetto. Se guardi il sole e poi distogli lo sguardo, c’è un’immagine residua, che non sembra un oggetto. E le emozioni non sembrano oggetti. Quindi è una proprietà interessante dell’esperienza visiva. Come potremmo spiegare come ciò accade?”.
“In questo caso, l’idea è che percepiamo il retro della tazza anche se non la vediamo direttamente perché il cervello sta facendo previsioni sulle informazioni sensoriali che otterrebbe se ruotassimo la tazza, quello che i filosofi Alva Noë e Kevin O’Regan chiamavano le contingenze sensomotorie. Il cervello sa cosa accadrebbe se ruotassi la tazza“.
In buona sostanza, le nostre esperienze dirette non sono letture materiali di ciò che stiamo osservando ma comprendono una parte percettiva che il nostro cervello attraverso determinati impulsi elettrici ha già elaborato senza necessariamente fare un’esperienza diretta. Ed è proprio il cervello che cerca di elaborare l’ipotesi migliore partendo dalle informazioni che riceve.
Come riesce a farlo? Si tratta di una teoria chiamata elaborazione predittiva o codifica predittiva, o inferenza attiva in un’altra veste recente: il cervello genera continuamente previsioni su come è il mondo o su come è il corpo. E utilizza i segnali sensoriali semplicemente per aggiornare, calibrare queste previsioni per mantenerle legate al mondo stesso, in modi che non sono necessariamente titolati in base all’accuratezza, ma in base alla loro utilità per l’organismo. Quindi vediamo il mondo non così com’è, ma come lo percepiamo noi.
Questo è quello che si può ottenere grazie al prezioso connubio tra scienza e filosofia, ed è soltanto l’inizio: la coscienza ha una sua natura misteriosa intrinseca che forse verrà decodificata nei tempi avvenire, ma quello che conta è il viaggio. Quello che importa qui e ora, è appunto, l’esperienza.