Venere non è un paradiso

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di Oliver Melis

Il pianeta Venere  è stato fonte di ispirazione nelle opere fantastiche fin dal XIX secolo e allo stesso modo ha ispirato scrittori di fantascienza comparendo in romanzi, fumetti e film. Questo interesse per Venere lo dobbiamo alla sua vicinanza alla Terra, infatti Venere è l’astro più brillante del nostro cielo; 

Venere ha la superficie perennemente coperta da una spessa coltre di nubi che hanno fatto si che la fertile fantasia di tanti scrittori, già dagli anni venti del XX secolo, abbiano immaginato un pianeta ricco di acqua e vegetazione, adatto ad ospitare la vita come noi la conosciamo, un pianeta piovoso e dotato di un clima tropicale o a volte immaginato come coperto da un grande oceano.

Laplace, con la sua ipotesi nebulare, immaginava che i pianeti più esterni fossero stati i primi ad aggregarsi e, di conseguenza, Venere veniva, dagli scrittori di fantascienza, ritenuto un pianeta più giovane della Terra con forme di vita meno evolute nella scala temporale.

Arrhenius, chimico e fisico, postulò che le nubi che ricoprono Venere eranofossero formate d’acqua, quindi ne trasse, per lui ovvia conclusione, che il pianeta fosse ricoperto da paludi paragonandolo alle foreste tropicali del Congo.



Gli scienziati nutrivano non poco scetticismo e nonostante nessuno di loro riuscisse a stabilire con la spettroscopia se su Venere ci fossero ossigeno e acqua, la paragonarono a un immenso deserto arido e polveroso, comunque ipotesi abbastanza ottimistiche che furono completamente e definitivamente accantonate quando vennero inviate le prime sonde spaziali.

Nel dicembre del 1962 il Mariner 2 sorvola Venere e i dati che invia indicano un pianeta caldo e secco. I sovietici, nonostante questo, progettavano ancora delle sonde in grado di ammarare almeno fino al 1964, ritenendo Venere ricca di acqua. Ci vollero ancora alcuni anni per capire veramente le condizioni della superficie di Venere. Nel 1967, grazie alla Mariner 5 e alla Venera 4, si ebbe la conferma che il pianeta era un inferno caldissimo, ricoperto di nubi di acido solforico e con un’atmosfera composta quasi interamente da anidride carbonica. La pressione a un livello dato, paragonabile al nostro livello del mare equivaleva a oltre 90 atmosfere (sulla Terra è di un’atmosfera al livello del mare), una pressione schiacciate con una temperatura cosi elevata da liquefare metalli come il piombo, che ha una temperatura di fusione di 327,5 °C.

Venere era un pianeta morto, un inferno invivibile al di la delle più nere previsioni.

In passato, alcuni scienziati hanno proposto dei metodi per “terraformare” Venere. Carl Sagan propose nel 1961 di utilizzare delle alghe che convertissero l’anidride carbonica del pianeta in ossigeno. Oggi sappiamo che l’acqua sul pianeta è così rara che anche con i migliori risultati della fotosintesi si produrrebbe una quantità trascurabile di ossigeno.

Robert Zubrin, attingendo a uno studio di Paul Birch, del 1991 propose l’utilizzo di un grande scudo solare, progettato per difendere Venere dalle radiazioni del Sole e raffreddarlo in modo da permettere la liquefazione dei gas atmosferici. L’anidride carbonica dell’atmosfera si depositerebbe al suolo sotto forma di ghiaccio secco e potrebbe essere sepolta oppure raccolta e spedita fuori dal pianeta.

La mancanza di acqua sul pianeta, però, rimane un problema che alcuni hanno proposto di risolvere bombardando con le comete. Come scrisse Clarke ne “3001 Odissea finale” o disintegrando una luna ghiacciata di Saturno e bombardando Venere con i frammenti, come propose Birch, con lo scopo di creare dei mari di acqua salata. Questi però sono progetti oggi tecnologicamente irrealizzabili che rimarranno tali per chissà quanto tempo.

Altri hanno cercato soluzioni diverse, forse più in linea con quanto si può fare con la tecnologia che abbiamo a disposizione; Landis ad esempio, ha proposto che una certa quantità di città galleggianti nell’atmosfera potrebbero costituire uno scudo solare attorno al pianeta e potrebbero quindi essere utilizzate per la terraformazione, fornendo allo stesso tempo un mezzo per poter abitare nell’atmosfera venusiana. Utilizzando il carbonio dell’atmosfera si potrebbero realizzare strutture in nanotubi di carbonio che andrebbero a costituire gli involucri degli scudi e fungerebbero da compartimenti abitabili.

Non sappiamo se un giorno sarà possibile terraformare Venere, le sfide sono enormi, nonostante il pianeta sia una copia della Terra sotto certi aspetti, con una gravità molto simile a quella che sperimentiamo sul nostro pianeta.

Purtroppo, la lenta rotazione del pianeta è un problema, infatti una giornata solare su Venere corrisponde a 116 giorni terrestri. Si potrebbe accelerare la sua rotazione con passaggi ravvicinati di asteroidi ma è una soluzione al di là della nostra portata e non abbiamo la più pallida idea se sarà mai possibile farlo.

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