Di Simone di Paolo
PREFAZIONE
Mi chiamo Di Paolo Simone e provengo da Fossacesia,
una piccola cittadina sulla costa Abruzzese, in
provincia di Chieti. Ho conseguito la laurea triennale
in biologia e successivamente quella magistrale in
neuroscienze internazionali presso l’Università degli
Studi di Trieste. Inoltre, ho acquisito più di un anno di
esperienza presso l’Università di Maastricht nel campo
delle neuroscienze fondamentali. Ho svolto, nel corso
degli anni, tre tirocini formativi: il primo tirocinio
triennale presso l’Università degli Studi di Trieste nel
campo dei bio-polimeri, hydrogels e nanoparticelle; il
secondo tirocinio magistrale presso l’Università di
Maastricht nel campo dei micro-RNA nella sindrome
di stress post-traumatico; il terzo tirocinio magistrale
presso l’Università degli Studi “G. D’annunzio” di
Chieti-Pescara nel campo dell’Imaging termico e
dell’ingegneria biomedica applicati alle neuroscienze.
“Sono una girella, una meraviglia eterna”. La
girandola… il DNA, che ruota e dà origine alla mente.
Mi affascina paragonare il DNA alla girandola che,
come discusso nel libro, tramite un preciso ed
architettato movimento nello spazio, dà origine alla
mente. E da qui il titolo del libro. Ad oggi, le
neuroscienze e la fisica non sono ancora in grado di
dare una risposta sulla natura dei suoni, dei colori e,
più in generale, della mente. Eppure essa fa parte della
nostra realtà a pari merito del mondo fisico. Cosa sono
i colori? Cosa li lega al DNA? Quale connubio tra
colori e anima? Questi interrogativi, a cui tento di dare
una risposta nel mio libro, legano nell’intreccio storico
del presente i confini delle neuroscienze con quelli
della fisica. Vedremo insieme come, nella teoria della
mente, mondo e mente coincidano, come la realtà sia
lo specchio della propria misurazione quantistica
effettuata dal cervello. Un libro che sorge sul filo
conduttore che unisce le strade del cervello, per
sbocciare nel mondo fisico, fatto di colori.
PRE-INTRODUZIONE AL PROBLEMA
“Il progresso della conoscenza avviene perché noi possiamo
basarci sul lavoro dei grandi geni che ci hanno preceduto.” –
Margherita Hack
Accadeva cinque anni fa, dal momento in cui scrivo
queste parole, nel 2019, che, di notte, non riuscivo a
prendere sonno. Il motivo? Un’idea, che mi tenne per
lungo tempo compagnia, fino al momento in cui scrissi
la bozza di questa teoria. Esso riguardava il dualismo
mente-cervello, perché, finalmente, ero riuscito a
coglierne l’essenza più profonda.
Per spiegare al lettore cosa si intenda per dualismo
mente-cervello, supponiamo che un fotone stia
viaggiando nello spaziotempo Einsteiniano, prima di
colpire il nostro occhio. Ad un certo punto, nel punto
che segna la fine del suo lungo viaggio, esso viene
assorbito dal retinale dei fotorecettori della retina, che
trasducono il segnale in segnale elettrico. L’attività
elettrica risultante passa da neurone a neurone, prima
di raggiungere la corteccia visiva primaria
(denominata dai neuroscienziati area V1), responsabile
della percezione dei colori. Ed è proprio qui che viene
originato il colore. Il pensiero che mi assaliva era
questo: da un lato, è presente dell’attività elettrica nella
corteccia visiva, dall’altra, a quest’attività elettrica
corrispondono dei colori, che sono tutt’altra cosa che
attività elettrica. E pensavo: come sono in grado di
andare oltre la materia e rappresentare il mondo con
dei colori? Le riflessioni che calmarono (si fa per dire)
il mio sonno furono: come l’attività elettrica assume
colore? Di cosa sono fatti i colori? Se la fisica
insegnava che il mondo era costituito da atomi, d’altro
canto, in quanto non costituiti da particelle elementari,
i colori sfuggivano a questa rappresentazione.
Questo significava, per me, capire l’essenza più
nascosta del dualismo mente-cervello: da un lato
mettere l’attività elettrica dei neuroni, fatta di materia
e dall’altra, i suoni, gli odori, i colori, le memorie e i
pensieri, non fatti di materia.
Per riassumere la natura di questo problema millenario,
cito alcune parole di Erwin Schrodinger: “La fisica ci
dà una quantità di informazioni concrete, conferisce un
meraviglioso ordine sistematico a tutta la nostra
esperienza, ma è d’un silenzio spettrale su tutti i
problemi generali e particolari vicini al nostro cuore,
che hanno veramente importanza per noi. Non ci può
dire una parola sul rosso e l’azzurro, l’amaro e il dolce,
il dolore e la gioia fisica; non sa nulla della bellezza e
bruttezza, del bene e del male, di Dio e dell’eternità.
[…] Per costruire l’immagine del mondo esterno ci
siamo serviti dell’artificio fortemente semplificatore di
tagliarne fuori la nostra personalità, di rimuoverla; e
allora essa se n’è andata, è svaporata, è apparsa
superflua”. [Erwin Schrodinger, L’immagine del
mondo, Bollati Boringhieri, 2017]
Nei giorni seguenti quella notte iniziai a chiedermi
dello spazio in cui potesse esistere la mente. Mi
chiedevo se la mente facesse parte del mondo fisico o
se essa fosse una dimensione diversa, di per sé a parte.
Arrivai ad ipotizzare che la mente potesse esistere
anche a chilometri di distanza dal mondo fisico o
magari, in un’altra dimensione. Chiamai questo
“principio di non località”, che disaccoppiava
l’esistenza fisica della mente da quella del cervello, sia
nel tempo, che nello spazio. Ciò non permetteva alla
mente di occupare lo stesso spazio fisico del mondo.
Arrivai a chiedermi se mente e cervello fossero due
mondi distinti e paralleli che semplicemente
coincidevano, come due film lasciati scorrere allo
stesso tempo, oppure se ci fosse una relazione del tipo
dove fosse il cervello a generare la mente.
Arrivai perfino a dubitare dell’esistenza del mondo
fisico e a credere nella sola ed inspiegabile esistenza
della mente. Un approccio che, nei miei pensieri, non
si risolveva con il semplice fatto che la mente avesse
bisogno di recettori per funzionare e che questi
recettori necessitassero, per essere attivati, di un
intervento dall’esterno.
Mi incasinai, così, in un mare di idee, alcune assurde
ed altre non convenzionali, fino a quando non scrissi la
bozza di questa teoria. Feci, per me stesso, luce su
quella che per me era la risposta più semplice al
problema: il mondo era fatto di colori e mondo e mente
coincidevano.
Da allora, il lavoro che ho portato avanti, similmente a
quello di Galileo, è stato di osservare la mente e di
descrivere con illustrazioni quello che osservavo.
Similmente a quanto accade per la matematica, ma con
le parole, ho fatto derivare una serie di ragionamenti e
riflessioni, tentando di incastrarli gli uni con gli altri ed
essi con le conoscenze della scienza, per descrivere
una teoria che spiegasse la mente.
II – INTRODUZIONE
“Trascino tutto quanto con me e vado avanti. È il movimento
della pittura che mi interessa.” – Pablo Picasso
Il dualismo mente cervello è mettere da un lato
l’attività elettrica del cervello, fatta di materia e
particelle quantistiche e a questa far corrispondere
colori, suoni e pensieri, che non sono fatti di materia e
particelle quantistiche. Come siamo in grado di andare
oltre la materia e rappresentare il mondo con dei
colori? Se la fisica mi insegnava che il mondo era
costituito da atomi, d’altro canto, in quanto non
costituiti da particelle elementari, i colori sfuggivano a
questa rappresentazione.
Nella teoria della mente, io sostengo che il colore sia
una proprietà del mondo fisico e che il mondo fisico
sia costituito da colori. Questo riduce la complessità
del dualismo mente-cervello, utilizzando la stessa
sostanza per spiegare i due fenomeni. Sostengo,
inoltre, che la mente coincida con il mondo e che mente
e mondo siano lo stesso ente. La mente è generata dalla
ripetizione, tratto distintivo e caratteristico del
cervello, quando l’informazione esce da un neurone
per rientrare nella stessa struttura. Quando da un primo
neurone, l’informazione passa al neurone successivo,
il secondo neurone – io suppongo il suo DNA quando
viene investito dal potenziale d’azione, ma, secondo
Penrose, il suo microstato di microtubuli – non può
misurare lo stesso stato quantico due volte, per il
principio del collasso della funzione d’onda di
Heisenberg. Allora, esso misura il valore che porta il
fotone, ovvero il valore del colore del mondo,
riportandoci o, meglio, riproiettandoci al mondo
stesso, fatto di colori. Noi saremmo il mondo,
coincidendo noi stessi con esso, misurando i suoi stessi
valori.
I colori potrebbero essere definiti, analogamente alla
teoria quantistica dei campi in fisica, come entità
fisiche irriducibili, fatte di sé stesse. Credo che sia la
mutuale relazione tra quark ed elettroni all’interno
dell’atomo a determinare il colore e che la geometria
dell’atomo e, dunque, la disposizione degli elettroni
attorno al nucleo determini il colore definitivo della
materia.
Sono una girella – la geometria della mente
Autore: Simone Di Paolo.
Foto copertina realizzata da Melissa Di Paolo e Rita Di
Genni.
Edito da Passione Scrittore Selfpublishing nel 2024.
© 2024 Tutti i diritti sono riservati all’autore.