venerdì, Giugno 6, 2025
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Sviluppata una proteina che potenzia la memoria

I ricercatori della Facoltà di Medicina e Chirurgia dell'Università Cattolica di Roma e della Fondazione Policlinico Universitario A.Gemelli IRCCS hanno sviluppato una proteina ingegnerizzata che potenzia la memoria

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I ricercatori della Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università Cattolica di Roma e della Fondazione Policlinico Universitario A.Gemelli IRCCS hanno sviluppato una proteina ingegnerizzata che potenzia la memoria.

Neuroscienziati della Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università Cattolica di Roma e della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS hanno modificato geneticamente una molecola, la proteina LIMK1, normalmente attiva nel cervello, con un ruolo chiave nella memoria.

Hanno aggiunto un “interruttore molecolare” che viene attivato somministrando un farmaco, la rapamicina, noto per i suoi numerosi effetti antietà sul cervello.

Studio collaborativo con implicazioni significative

È il risultato di uno studio pubblicato sulla rivista Science Advances, che coinvolge l’Università Cattolica di Roma e la Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS. Lo studio è stato coordinato da Claudio Grassi, Professore Ordinario di Fisiologia e Direttore del Dipartimento di Neuroscienze.

La ricerca, sostenuta dal Ministero italiano dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, dalla Fondazione American Alzheimer’s Association e dal Ministero della Salute italiano, ha grandi potenziali applicazioni, migliorando la nostra comprensione della funzione della memoria e facilitando l’identificazione di soluzioni innovative per le malattie neuropsichiatriche come la demenza.

Il ruolo di LIMK1 nei processi di memoria

La proteina LIMK1 svolge un ruolo cruciale nel determinare i cambiamenti strutturali nei neuroni, vale a dire la formazione di spine dendritiche, che migliorano la trasmissione delle informazioni nelle reti neurali e sono cruciali nei processi di apprendimento e memoria.

Il prof. Claudio Grassi, autore senior dello studio, ha spiegato: “La memoria è un processo complesso che comporta modifiche nelle sinapsi, che sono le connessioni tra i neuroni, in aree specifiche del cervello come l’ippocampo, che è una struttura neurale che gioca un ruolo fondamentale nella formazione della memoria.

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Questo fenomeno, noto come plasticità sinaptica, comporta cambiamenti nella struttura e nella funzione delle sinapsi che si verificano quando un circuito neurale viene attivato, ad esempio, da esperienze sensoriali. Queste esperienze promuovono l’attivazione di complesse vie di segnalazione che coinvolgono numerose proteine”.

“Alcune di queste proteine ​​sono particolarmente importanti per la memoria, infatti una ridotta espressione o modificazioni di queste proteine ​​sono associate ad alterazioni delle funzioni cognitive. Una di queste proteine ​​è LIMK1. L’obiettivo del nostro studio era regolare l’attività di questa proteina, poiché svolge un ruolo chiave nella maturazione delle spine dendritiche tra i neuroni. Controllare LIMK1 con un farmaco significa riuscire a favorire la plasticità sinaptica e, quindi, i processi fisiologici che da essa dipendono”, ha sottolineato il prof. Grassi.

Strategia chemogenetica: un nuovo approccio al miglioramento della memoria

Cristian Ripoli, professore associato di Fisiologia all’Università Cattolica e primo autore dello studio, ha aggiunto: “La chiave di questa innovativa strategia ‘chemogenetica’, che unisce genetica e chimica, è proprio legata all’uso della rapamicina, un immunosoppressore farmaco noto per aumentare l’aspettativa di vita e per i suoi effetti benefici sul cervello, in modelli preclinici.

Abbiamo quindi modificato la sequenza della proteina LIMK1 inserendo un interruttore molecolare che permetteva di attivarla, a comando, attraverso la somministrazione di rapamicina”, ha spiegato il prof. Ripoli.

“Negli animali con declino cognitivo legato all’età, l’utilizzo di questa terapia genica per modificare la proteina LIMK1 e attivarla con il farmaco ha prodotto un significativo miglioramento della memoria. Questo approccio ci consente di manipolare i processi di plasticità sinaptica e la memoria in condizioni fisiologiche e patologiche. Inoltre, apre la strada allo sviluppo di ulteriori proteine ​​“ingegnerizzate” che potrebbero rivoluzionare la ricerca e la terapia nel campo della neurologia”, sottolinea l’esperto.

“Il prossimo passo sarà verificare l’efficacia di questo trattamento in modelli sperimentali di malattie neurodegenerative con deficit di memoria, come il morbo di Alzheimer. Saranno necessari ulteriori studi anche per validare l’uso di questa tecnologia sull’uomo”, ha concluso il prof. Grassi.

Fonte: Science Advances

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