Riparata la cornea di una donna utilizzando cellule staminali “riprogrammate”

Tra qualche anno potrebbe non essere più necessario attendere il decesso di un donatore per sostituire le cornee danneggiate.

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Una donna giapponese sulla quarantina è diventata la prima persona al mondo ad aver subito un intervento di riparazione della cornea attraverso l’impianto di celllule staminali riprogrammate.

In una conferenza stampa tenutasi il 29 agosto, l’oftalmologo Kohji Nishida dell’Università di Osaka, in Giappone, ha dichiarato che la donna è affetta da una malattia in cui si perdono le cellule staminali che riparano la cornea, lo strato trasparente che copre e protegge l’occhio. Si tratta di una condizione che rende la vista sfocata e può portare alla cecità.

Per curare la donna, Nishida ha affermato che il suo team ha creato fogli di cellule corneali da cellule staminali pluripotenti indotte (iPS)Questi fogli vengono ottenuti riprogrammando le cellule epiteliali adulte prelevate da un donatore e vengono riportate allo stato embrionale da cui possono trasformarsi in altri tipi di cellule, come le cellule corneali.

Nishida ha dichiarato che la cornea della donna è rimasta chiara e la sua visione è migliorata rispetto a come stava all’epoca del trapianto, avvenuto un mese fa.

Attualmente le persone con cornee danneggiate o malate vengono generalmente trattate con tessuti prelevati da donatori deceduti, ma esiste una lunga lista di attesa per tali tessuti, in Giappone come nel resto del mondo.



Il Giappone è stato all’avanguardia rispetto all’approvazione dell’uso clinico delle cellule iPS, scoperte dal biologo delle cellule staminali Shinya Yamanaka dell’Università di Kyoto, che ha vinto un premio Nobel per il lavoro. I medici giapponesi hanno anche usato le cellule iPS per trattare le lesioni del midollo spinale, il morbo di Parkinson e un’altra malattia agli occhi.

Il ministero della salute giapponese ha concesso a Nishida il permesso di provare la procedura su quattro persone. Sta programmando la prossima operazione entro la fine dell’anno e spera di poter inserire questa procedura come standard clinico entro i prossimi cinque anni.

doi: 10.1038 / d41586-019-02597-2
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