Radioattività e abitabilità dei pianeti rocciosi

Gli elementi radioattivi a emivita lunga contenuti all'interno dei pianeti rocciosi in formazione possono essere determinanti per la loro futura abitabilità

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Dalla metà degli anni novanta la ricerca dei pianeti extrasolari ha fatto notevoli passi in avanti. Oggi oltre 4000 mondi alieni sono stati catalogati e altre migliaia attendono conferma, tra questi mondi lontani alcuni sono piccoli pianeti rocciosi simili alla Terra. Non sappiamo se la vita è presente in questi lontani esopianeti, ma sappiamo che forme di vita come la nostra hanno bisogno di un solvente allo stato liquido per esistere. Sulla Terra questo solvente è l’acqua che può esistere allo stato liquido quando il pianeta si trova in una fascia detta “zona abitabile“, entro la quale l’energia fornita dalla stella mantiene liquide le riserve d’acqua per miliardi di anni. Alla Terra e agli esopianeti abitabili non basta la sola “giusta” distanza dalla stella ospite per essere “abitabili” ma servono altri requisiti come ad esempio, un’atmosfera, un campo magnetico e anche qualcos’altro, la radioattività.
Elementi radioattivi, a emivita lunga, contenuti all’interno dei pianeti rocciosi in formazione possono essere determinanti per la loro futura abitabilità. Il riscaldamento interno dovuto al decadimento di elementi radioattivi come uranio e torio è necessario alla tettonica a placche e alla formazione di un campo magnetico che protegge il pianeta dai venti solari e dalle particelle cariche presenti nei raggi cosmici.
Come afferma Francis Nimmo, professore di scienze della Terra e planetarie presso l’UC Santa Cruz, la convezione nel nucleo metallico fuso del nostro pianeta crea una “geodinamo” che genera il campo magnetico del pianeta. Gli elementi radioattivi presenti nelle rocce terrestri forniscono il calore necessario a mantenere questa dinamo naturale attiva a lungo. Nimmo è il primo autore di un articolo sulle nuove scoperte, pubblicato il 10 novembre su Astrophysical Journal Letters.
Gli scienziati hanno scoperto che se il riscaldamento dovuto al decadimento radioattivo è maggiore di quello che si manifesta sulla Terra, l’esopianeta non è in grado di sostenere una dinamo abbastanza a lungo come ha fatto il nostro pianeta. Questo avviene perché la maggior parte degli elementi radioattivi come il torio e l’uranio vanno a depositarsi nel mantello che si riscalda troppo diventando un isolante che impedisce al nucleo fuso di perdere calore abbastanza velocemente da generare i moti convettivi che producono il campo magnetico.
Con questo tipo di riscaldamento interno, il pianeta presenta inoltre un’attività vulcanica più intensa, che potrebbe produrre frequenti eventi di estinzione di massa. D’altra parte, troppo poco calore radioattivo, dovuto all’assenza di vulcanismo porta a un pianeta geologicamente “morto”.
Come ha spiegato Nimmo:
“Semplicemente cambiando questa variabile, si passa attraverso questi diversi scenari, da morti geologicamente a simili alla Terra a estremamente vulcanici senza dinamo”, aggiungendo che questi risultati giustificano studi più dettagliati.
“Ora che vediamo le importanti implicazioni della variazione della quantità di riscaldamento radiogeno, il modello semplificato che abbiamo usato dovrebbe essere controllato con calcoli più dettagliati”.
Secondo Natala Batalha, professoressa di astronomia e astrofisica la cui Iniziativa di Astrobiologia presso l’UC Santa Cruz ha innescato la collaborazione interdisciplinare che ha portato a questo articolo, ha spiegato che la dinamo planetaria è stata legata all’abitabilità in diversi modi:
“È stato a lungo ipotizzato che il riscaldamento interno spinga la tettonica a placche, che crea il ciclo del carbonio e l’attività geologica come il vulcanismo, che produce un’atmosfera. E la capacità di trattenere un’atmosfera è correlata al campo magnetico, che è guidato dal riscaldamento interno”.
Il coautore Joel Primack, professore emerito di fisica, ha spiegato che i venti stellari, possono erodere costantemente l’atmosfera di un pianeta se non ha campo magnetico:
“La mancanza di un campo magnetico è apparentemente parte del motivo, insieme alla sua bassa gravità, per cui Marte ha un’atmosfera molto sottile. Aveva un’atmosfera più densa, e per un po ‘ha avuto acque superficiali. Senza la protezione di un campo magnetico, molte più radiazioni passano e la superficie del pianeta diventa anche meno abitabile”.
Gli elementi pesanti indispensabili per il riscaldamento radiogeno vengono sintetizzati durante la fusione di stelle di neutroni, eventi estremamente rari nell’universo. La sintetizzazione di questi elementi pesanti è stata al centro della ricerca del coautore Enrico Ramirez-Ruiz, professore di astronomia e astrofisica.
“Ci aspetteremmo una notevole variabilità nella quantità di questi elementi incorporati nelle stelle e nei pianeti, perché dipende da quanto la materia che li ha formati era vicina a dove si sono verificati questi rari eventi nella galassia”, ha aggiunto Primack.
Gli astronomi grazie alla spettroscopia possono misurare l’abbondanza di diversi elementi nelle stelle e ci si aspetta che le composizioni dei pianeti siano simili a quelle delle stelle attorno a cui orbitano. L’elemento delle terre rare europio, che è facilmente osservabile negli spettri stellari, è ottenuto dallo stesso processo che rende i due elementi radioattivi più longevi, torio e uranio, quindi l’europio può essere usato come tracciante per studiare la variabilità di quegli elementi nelle stelle e i pianeti della nostra galassia.
Gli astronomi hanno effettuato le misurazioni dell’europio in molte stelle vicine. Nimmo ha utilizzato queste misurazioni per stabilire una gamma naturale di input per i suoi modelli di riscaldamento radiogeno. La composizione del Sole si trova a metà di quella gamma. Secondo Primack, molte stelle hanno la metà di europio rispetto al magnesio del Sole e molte stelle ne hanno fino a due volte di più del Sole.
L’importanza e la variabilità del riscaldamento radiogeno pone molte nuove domande per gli astrobiologi, ha detto Batalha.
“È una storia complessa, perché entrambi gli estremi hanno implicazioni per l’abitabilità. Hai bisogno di abbastanza riscaldamento radiogeno per sostenere la tettonica a placche, ma non così tanto da spegnere la dinamo magnetica. In definitiva, stiamo cercando le più probabili dimore della vita. L’abbondanza di uranio e torio sembrano essere fattori chiave, forse anche un’altra dimensione per definire un pianeta Riccioli d’oro”.
Utilizzando misurazioni dell’europio delle loro stelle per identificare sistemi planetari con diverse quantità di elementi radiogeni, gli astronomi possono iniziare a cercare le differenze tra i pianeti in quei sistemi, ha spiegato Nimmo, soprattutto una volta che il telescopio spaziale James Webb sarà operativo come ha aggiunto:“Il James Webb Space Telescope sarà un potente strumento per la caratterizzazione delle atmosfere degli esopianeti“.
Oltre a Nimmo, Primack e Ramirez-Ruiz, i coautori dell’articolo includono Sandra Faber, professoressa emerita di astronomia e astrofisica, e lo studioso postdottorato Mohammadtaher Safarzadeh.
Fonte: Phys.org