Un nuovo test per indagare sulle origini dell’universo

Due ricercatori hanno messo a punto un test per indagare sulla struttura dell'universo primordiale, che può essere di natura classica o quantistica

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Molti cosmologi credono che la struttura dell’universo sia il risultato di fluttuazioni quantistiche che si sono verificate nel corso di un processo di espansione primordiale. La conferma di questa ipotesi è stata finora molto ardua, perché, quando si vanno ad analizzare i dati cosmologici in possesso, è difficile discernere tra fluttuazioni primordiali quantistiche e classiche.

Recentemente, due ricercatori, della University of California e del Deutsches Elektronen-Synchrotron DESY in Germania, hanno ideato un test basato sulla nozione di non-gaussianità primordiale, che potrebbe essere di ausilio per accertare l’origine della struttura cosmica. Nel loro lavoro, pubblicato su Physical Review Letters, i ricercatori sostengono che rilevare la non-gaussianità primordiale potrebbe aiutare a determinare se la forma dell’universo sia stata originata da fluttuazioni quantistiche o classiche.

Rafael Porto, uno dei due ricercatori, afferma che una delle idee scientifiche più affascinanti è che la struttura cosmica che noi osserviamo sia il risultato di fluttuazioni quantistiche che si sono realizzate nei primi attimi dell’universo, che sono state successivamente allungate da una rapida espansione accelerata. Il paradigma inflazionario contempla diverse previsioni che sono state avvalorate dai dati; tuttavia è ancora difficile dimostrare direttamente la natura quantistica del seme primordiale.

La ragione principale per cui dimostrare l’origine quantistica della struttura dell’universo è così difficile, sta nel fatto che anche l’inflazione avrebbe dovuto allungare le perturbazioni di natura classica, dando origine a simili distribuzioni di galassie. Nel loro lavoro, Rafael Porto e Daniel Green, hanno ipotizzato che mentre dalle fluttuazioni quantistiche e classiche si sarebbero dovute originare distribuzioni di galassie simili fra loro, alcuni modelli particolari differirebbero nelle strutture di un’origine quantistica. L’osservazione di questi modelli dovrebbe permettere ai ricercatori di testare l’origine della struttura cosmica.

Rafael Porto spiega che gran parte del formalismo utilizzato per studiare le forme delle galassie nel cielo è simile al modo in cui i fisici delle particelle studiano i processi di scattering negli acceleratori. In campo cosmologico si parla di correlazioni, laddove nel campo della fisica delle particelle si parla di ampiezze, ma i due concetti hanno molto in comune. Utilizzando alcuni principi fisici di base e alcune simmetrie, i ricercatori hanno dimostrato che, attraverso dei meccanismi di natura classica si sarebbe generato un elevato numero di particelle che ha dato, come risultato, un’impronta specifica alla forma delle galassie, allo stesso modo degli urti nei dati degli acceleratori.

Porto e Green hanno dimostrato che un’impronta cosmologica simile alla presenza di urti nei dati degli acceleratori può indicare che la struttura dell’universo è stata originata da fluttuazioni classiche. D’altra parte, l’assenza di questi urti potrebbe suggerire che gli agenti chiave che stanno dietro la formazione della struttura cosmica siano le fluttuazioni quantistiche del punto-zero.

Già nel passato è stata condotta una ricerca che desse evidenza di un’impronta quantistica all’origine della struttura, ed è stato trovato che l’effetto è soppresso di 115 ordini di grandezza: cioè da 0 a 115 volte, 1 effetto. Porto e Green hanno dimostrato che, nonostante la difficoltà dell’osservazione, dovuta alla contaminazione da altre sorgenti durante il processo di formazione della struttura, se vi fosse comunque un segnale primordiale, l’effetto delle perturbazioni classiche sarebbe di ordine 1. Ciò significa che è stato raggiunto un miglioramento di 115 ordini di grandezza rispetto alle proposte precedenti.

Negli ultimi decenni, i cosmologi impegnati nella ricerca dell’origine della struttura dell’universo, hanno focalizzato la loro attenzione soprattutto sulla cosiddetta polarizzazione B-mode della radiazione cosmica di fondo, poiché questa polarizzazione potrebbe essere il risultato di effetti quanto-gravitazionali primordiali nel corso l’inflazione. Piuttosto che considerare la polarizzazione B-mode come un indicatore di effetti quanto-gravitazionali, Porto e Green hanno capovolto il problema e hanno trovato che i semi delle fluttuazioni classiche sono portati da un altro modello, noto come configurazione piegata per le funzioni di correlazione.

Green riferisce che vi sono stati diversi tentativi di testare la meccanica quantistica in laboratorio facendo uso delle disuguaglianze di Bell. L’idea di base è che di fronte a un sistema quantistico, potranno essere effettuati alcuni tipi di misurazioni che metteranno in evidenza la reale natura qunantomeccanica dello stato. In ambito cosmologico vi sono due sfide particolari: la prima è che l’universo che noi osserviamo è fondamentalmente classico; la seconda, che non è possibile svolgere degli esperimenti, in quanto non siamo in grado di manipolare lo stato dell’universo. La novità introdotta dallo studio di Porto e Green è che sono riusciti a mostrare che, con riferimento alla fase primordiale, l’universo proviene da uno stato quantomeccanico.

Il recente lavoro di Porto e Green introduce un nuovo metodo per testare l’ipotesi che la struttura dell’universo ha una natura quantistica. Essenzialmente, i ricercatori ipotizzano che se non è possibile osservare un urto nella cosiddetta configurazione piegata delle funzioni di correlazione non-gaussiane, la struttura dell’universo avrebbe avuto origine da zero fluttuazioni quantistiche, come nella fisica classica.

Le intenzioni dei due ricercatori sono quelle di provare ad applicare il loro test anche a esperimenti su sistemi quantistici da svolgere in laboratorio. Essi sono consapevoli dell’importanza che ha un approccio quantistico alla determinazione del seme primordiale e di come esso possa essere di ausilio nell’implementare nuovi e più veloci algoritmi per simulare l’evoluzione dell’universo, anche attraverso l’uso di computer quantistici.

Fonte: phys.org