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La nascita del fulmine: il dettaglio della reazione a catena

La comprensione della genesi del fulmine ha compiuto un passo decisivo. È stata identificata la precisa sequenza di eventi a cascata che innesca questa potente scarica atmosferica, dettagliando come i campi elettrici all'interno delle nubi temporalesche catalizzino la produzione di raggi X e l'amplificazione elettronica necessaria per la formazione del fulmine. Questa scoperta ridefinisce le nostre conoscenze sui fenomeni elettrici atmosferici

Per lungo tempo, sebbene il fenomeno del fulmine fosse noto e studiato, gli esatti meccanismi atmosferici che ne innescano la formazione all’interno delle nubi temporalesche sono rimasti un enigma. Ora, questa persistente incognita potrebbe finalmente essere risolta, grazie al lavoro pionieristico di un team di ricercatori guidato da Victor Pasko, professore di ingegneria elettrica presso la Penn State School of Electrical Engineering and Computer Science. La loro ricerca ha rivelato la potente reazione a catena che porta alla genesi dei fulmini.

La nascita del fulmine: il dettaglio della reazione a catena
La nascita del fulmine: il dettaglio della reazione a catena

La scintilla del fulmine: elettroni e fotoni in azione

Nello studio condotto da Pasko e colleghi, è stata descritta in dettaglio la scoperta cruciale: i forti campi elettrici presenti nelle nubi temporalesche accelerano gli elettroni. Questi elettroni, a loro volta, si scontrano con molecole atmosferiche quali azoto e ossigeno. Questo processo non solo genera raggi X, ma innesca anche una valanga di elettroni aggiuntivi e la produzione di fotoni ad alta energia. Questa sequenza di eventi costituisce la “tempesta perfetta” da cui i fulmini prendono vita.

“I nostri risultati forniscono la prima spiegazione precisa e quantitativa di come si originano i fulmini in natura”, ha affermato Pasko, sottolineando come questa ricerca colleghi in modo inequivocabile i fenomeni dei raggi X, l’azione dei campi elettrici e la fisica delle valanghe di elettroni, portando a una comprensione completa.

Il team di ricerca ha utilizzato modelli matematici sofisticati per convalidare e spiegare le osservazioni sul campo relative ai fenomeni fotoelettrici che avvengono nell’atmosfera terrestre. Questi fenomeni si verificano quando elettroni ad energia relativistica, originati dai raggi cosmici che penetrano l’atmosfera dallo spazio, si moltiplicano all’interno dei campi elettrici dei temporali. In questo processo, emettono brevi ma intensi lampi di fotoni ad alta energia, un fenomeno noto come lampo gamma terrestre, che include emissioni di raggi X invisibili e naturali e le relative emissioni radio.

Pasko ha spiegato che “Simulando le condizioni con il nostro modello che replicava quelle osservate sul campo, abbiamo fornito una spiegazione completa dei raggi X e delle emissioni radio presenti nelle nubi temporalesche”. Questa integrazione tra osservazioni empiriche e modellizzazione teorica ha permesso di gettare nuova luce su uno dei fenomeni naturali più affascinanti e distruttivi del nostro pianeta.

La validazione del modello e le osservazioni sul campo

È stata finalmente dimostrata la sequenza precisa di eventi che porta alla formazione dei fulmini, un processo che coinvolge l’accelerazione degli elettroni all’interno delle nubi temporalesche. Questi elettroni, spinti dai forti campi elettrici presenti, collidono con le molecole d’aria, come l’azoto e l’ossigeno, generando così raggi X. Questa interazione innesca una vera e propria valanga di elettroni che, a loro volta, producono fotoni ad alta energia, elementi essenziali che danno origine ai fulmini.

Zaid Pervez, uno studente di dottorato in ingegneria elettrica, ha giocato un ruolo cruciale in questa scoperta, utilizzando il modello sviluppato per confrontare le osservazioni raccolte da altri gruppi di ricerca con le condizioni simulate nelle nubi temporalesche. Queste osservazioni sul campo provenivano da diverse fonti, inclusi sensori terrestri, satelliti e persino aerei spia ad alta quota, garantendo una vasta gamma di dati.

Pervez ha spiegato in che modo la ricerca ha chiarito gli eventi fotoelettrici, le condizioni specifiche necessarie nelle nubi temporalesche per innescare la cascata di elettroni e la ragione della grande varietà di segnali radio osservati nelle nubi prima che si verifichi un fulmine. Per confermare la validità di questa spiegazione sull’inizio dei fulmini, Pervez ha meticolosamente confrontato i risultati ottenuti con quelli di modelli precedenti, con studi di osservazione e con il suo stesso lavoro su un tipo particolare di fulmine, noto come scariche compatte internuvolose, che si manifestano solitamente in piccole regioni localizzate all’interno delle nubi temporalesche.

Il modello che ha permesso queste importanti scoperte, denominato “Photoelectric Feedback Discharge”, è stato pubblicato da Pasko e dai suoi collaboratori nel 2023. Questo modello è concepito per simulare le precise condizioni fisiche in cui è probabile che un fulmine si generi. Le equazioni fondamentali utilizzate per sviluppare il modello sono state rese pubbliche nell’articolo scientifico, permettendo così ad altri ricercatori di impiegarle e approfondire ulteriormente le loro ricerche in questo affascinante campo.

La reazione a catena silenziosa dei raggi gamma

Oltre ad aver finalmente svelato la genesi dei fulmini, i ricercatori hanno fatto luce su un’altra intrigante questione: perché i lampi gamma terrestri (TGF) vengono spesso prodotti senza i consueti lampi di luce e le emissioni radio, che sono i segni distintivi dei fulmini durante i temporali.

Il team ha scoperto che i raggi X ad alta energia, prodotti dalle valanghe di elettroni relativistici all’interno delle nubi, generano a loro volta nuovi elettroni “seme” attraverso l’effetto fotoelettrico nell’aria. Questo processo amplifica rapidamente le valanghe di elettroni. Come spiegato da Pasko, “Oltre a essere prodotta in volumi molto compatti, questa reazione a catena incontrollata può verificarsi con intensità molto variabile, portando spesso a livelli rilevabili di raggi X, pur essendo accompagnata da emissioni ottiche e radio molto deboli.

Questo spiega perché questi lampi di raggi gamma possono emergere da regioni sorgenti che appaiono otticamente deboli e radio silenti.” In pratica, la reazione che genera i TGF può essere così efficiente e localizzata da produrre un’intensa emissione di raggi gamma senza generare un “flash” visibile o un “tuono” radio nel modo in cui lo fa un fulmine tradizionale.

Questa importante ricerca è frutto della collaborazione di un team internazionale di scienziati. Oltre a Victor Pasko e Zaid Pervez della Penn State, i coautori includono Sebastien Celestin, professore di fisica all’Università di Orléans, Francia; Anne Bourdon, direttrice della ricerca all’École Polytechnique, Francia; Reza Janalizadeh, scienziato della ionosfera al NASA Goddard Space Flight Center ed ex borsista post-dottorato con Pasko; Jaroslav Jansky, professore associato di ingegneria elettrica e comunicazione all’Università di Tecnologia di Brno, Repubblica Ceca; e Pierre Gourbin, borsista post-dottorato di astrofisica e fisica atmosferica all’Università Tecnica della Danimarca.

Lo studio è stato pubblicato sul Journal of Geophysical Research.

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