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Mohenjo Daro: la bufala della guerra atomica nel passato

Nel 1979 Davenport scrisse un libro intitolato ‘Atomic Destruction on 2000 a.C’ per raccontare la presunta scoperta fatta studiando gli scritti Indù e la storia di Mohenjo Daro

Mohenjo daro, recita Wikipedia, è un’antichissima città risalente all’Età del bronzo, situata sulla riva destra del fiume Indo, nell’attuale regione pakistana del Sindh, a 300 km a nord-nord-est di Karachi. Insieme ad Harappa, è una delle più grandi città della civiltà della valle dell’Indo (3300–1300 a.C.).

Mohenjo daro significa letteralmente il monte dei morti, nome che condivide con Lothal.

Si estende per circa 100 ettari. È divisa in due settori: una cittadella e una città bassa. Sulla cittadella si trova una struttura in mattoni cotti a forma di vasca, soprannominata il Grande Bagno, un enorme granaio e uno stupa, nonché un tempio buddista più tardo.

Avendo sofferto poche degradazioni nell’età moderna, il suo stato di conservazione è migliore di quello di Harappa, ed è, di conseguenza, un’importante fonte di informazioni sulla civiltà cui apparteneva.

La città è stata costruita nel corso del III millennio a.C. ed è stata abbandonata alla fine del XVIII secolo a.C., verosimilmente a causa della variazione del corso di un fiume.

Alcuni studiosi “alternativi” vorrebbero rivisitare il passato della Terra perché, secondo loro, la storia, cosi come ci viene raccontata dagli storici e dagli accademici di “regime“, sarebbe sbagliata e molti fatti ci sarebbero tenuti nascosti per non destabilizzare l’ordine attuale. Secondo questi studiosi il passato della nostra storia sarebbe colmo di tracce indiscutibili della presenza aliena e/o civiltà terrestri evolute tecnologicamente che avrebbero esplorato il mondo lasciando innumerevoli vestigia dalle montagne ai fondali marini.

Mohenjo Daro: la storia

Nel 1979 Davenport scrisse un libro intitolato ‘Atomic Destruction on 2000 a.C’ per raccontare la scoperta fatta studiando gli scritti Indù e la storia di Mohenjo Daro. David Davenport, è un inglese nato in India, esperto di letteratura sanscrita e di tradizioni popolari indiane, che racconta la storia di una città, Mohenjo Daro appunto, che significa “collina dei morti” spazzata via da un ordigno nucleare più di 4000 anni fa asserendo che nell’epicentro tutto era fuso e cristallizzato.

Un antico manoscritto Indù, il Mahabharata, custodito da santi uomini, raccontava che “un fumo bianco caldo, mille volte più luminoso del cielo ridusse la città in cenere, l’acqua bolliva, animali e persone furono arse vive“. Il testo, secondo Davenport, sembrava raccontare una esplosione atomica, come quelle avvenute in Giappone che preludevano la fine della seconda guerra mondiale.

I testi racconterebbero che agli abitanti di Mohenjo daro fu concessa una settimana di tempo per abbandonarla, ma non tutti lo fecero, nel 1927 scavi archeologici portarono alla luce 44 scheletri umani. I resti umani erano appiattiti al suolo, fu rinvenuta una famiglia intera che si teneva ancora per mano.

I Mahabharata sono gli stessi testi che per alcuni nascondono, o meglio raccontano, la storia di terribili mezzi volanti, i Vimana, pilotati da esseri extraterrestri, Davenport per molti cultori dei misteri aveva fatto una scoperta sensazionale

I testi antichi, i resti vetrificati, gli scheletri, la loro posizione e il luogo in cui alcuni furono rinvenuti suggeriscono, secondo Davenport, che ci fu una catastrofe improvvisa, nella zona furono riscontrate, sembra, tracce di radiazioni, tutto suggeriva che in un lontano passato era stata combattuta una guerra atomica combattuta da esseri in possesso di una tecnologia pari o forse superiore alla nostra.

Tutto questo è molto affascinante.

Cosa c’è di vero?

Davenport parla, in pratica, di una catastrofe atomica ma allora come mai la città di Mohenjo Daro è intatta, visto che alcuni edifici sono alti 45 metri? Non sarebbero dovuti essere distrutti, inceneriti, evaporati, soprattutto nella zona che lui definisce epicentro? Eppure erano edifici realizzati con fango e un’arma atomica ha un’onda d’urto di potenza notevole.

Gli scheletri in realtà sono solo 37 e secondo gli archeologi che li hanno scoperti non mostrano nessun segno di morte improvvisa e non sono nemmeno morti contemporaneamente, ma alcuni di essi differiscono anche di mille anni l’uno dall’altro; gli scheletri erano sepolti, quindi non ha senso dire che sono rimasti coinvolti in una esplosione, tanto meno atomica.

E le radiazioni? nessuno sa dove sia nata questa storia, nessuno ha mai ammesso di aver misurato radiazioni particolari nella zona di Mohenjo Daro.

E la vetrificazione? Secondo gli archeologi, non c’è nessun epicentro ma solo piccole quantità di cocci dovuti alla produzione di ceramiche che vengono prodotte indurendole al fuoco.

Nei luoghi dove sono state esplose armi atomiche si forma, a causa alle alte temperature, un tipo di materiale chiamato Trinitite, sabbia vetrificata dall’alto calore.

Ancora una volta, se si scava a fondo e si ha pazienza, si trova una semplice spiegazione a presunti misteri, senza interpretare in modo fantasioso resti archeologici o testi sacri. Ma forse non si tratta di pazienza, si tratta di voler sognare ad occhi aperti, ma i sogni al mattino scompaiono e spesso si rimane con un pugno di mosche.

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