Matthew Perry è un nome eccellente sia per la storia occidentale che asiatica. Stiamo parlando, infatti, dell’ammiraglio statunitense che ebbe il potere di interrompere l’isolazionismo dell’impero giapponese. Ma come iniziò tale processo? Ebbene, partiamo dal 1853, quando il commodoro Perry raggiunse la baia di Edo (l’attuale Tokyo) con quattro navi da guerra dall’inquietante colore nero. In realtà, scopo della missione americana era trovare nuove strade per il commercio.
All’epoca, il Sol Levante era governato dagli shogun, che in italiano potremmo tradurre con il termine di “generali”. Gli shogun governavano il Giappone in nome dell’imperatore, l’ “astro splendente” semidivino, che secondo la tradizione era il discendente della dea del sole Amaterasu, sorella del prode guerriero Susanoo. Da 250 anni fino all’arrivo di Perry solo una dinastia poteva fregiarsi del titolo di shogun: quella dei Tokugawa.
Matthew Perry trovò un paese “blindato”
Al suo arrivo in Giappone, l’ammiraglio Matthew Perry trovò un paese costretto a subire la politica del Sakoku, ovvero, del “paese blindato”. Il portale Taka Aikido Bu informa come, a causa di questo sistema isolazionista, i contatti, in primis commerciali, con paesi al di fuori dell’arcipelago, fossero severamente monitorati. All’epoca, lo stato giapponese si limitava a mantenere rapporti commerciali con paesi quali l’Olanda, la Cina la Corea e la popolazione Ainu.
Una minaccia al potere dei Tokugawa
L’arrivo dell’ammiraglio Perry con le sue navi da guerra rappresentava una minaccia al mantenimento del potere della dinastia Tokugawa, a causa dell’apertura dei porti e a un espansionismo che avrebbe potuto gradualmente minimizzare l’autorità della famiglia che governava per conto del tennou (l’imperatore visto nelle sue vesti “celesti”). All’epoca, governava in qualità di shogun Tokugawa Ieyoshi, che venne improvvisamente a mancare. Suo successore fu Iesada, il quale dovette accettare la convenzione di Kanagawa.
La convenzione di Kanagawa
La convenzione di Kanagawa, che abbiamo citato nel precedente paragrafo, fu un trattato tra Giappone e Stati Uniti basato, almeno su carta, sulla pace e l’amicizia. Il patto fu suggellato dall’ammiraglio Matthew Perry e dallo shogun Tokugawa Iesada il 31 marzo 1854. Come informa Wikipedia, il trattato favorì l’apertura dei porti giapponesi di Hakodate e Shimada a rapporti commerciali con gli Usa, previde l’insediamento di un console statunitense nel Sol Levante e, cosa di non poco conto, garantì la sicurezza nei confronti dei naufraghi statunitensi. Tale convenzione fu la porta d’accesso alla fine dell’isolazionismo giapponese durato oltre due secoli.
Conseguenze della convenzione
La convenzione diede luogo, tuttavia, anche a uno schieramento di daimyo (signorotti feudali) del Giappone occidentale che progettarono un passaggio di potere dallo shogun all’imperatore Meiji, che all’epoca aveva solo 15 anni. Questa situazione fu l’origine di un conflitto interno che portò alla fine dello shogunato nel 1869. Con l’arrivo degli americani in Giappone, la popolazione autoctona iniziò gradualmente ad assorbire usi, costumi, tradizioni, mode, religione e filosofia degli occidentali.