La “tempesta” solare perfetta

Si stava per verificare una tempesta geomagnetica pari e forse anche superiore all’Evento di Carrington. Il 1 settembre 1859, mentre Richard C. Carrington effettuava delle osservazioni di routine del Sole e delle sue macchie solari si accorse di insoliti brillamenti in mezzo a un colossale gruppo di macchie scure, che si stima abbiano avuto una dimensione di circa 100.000 chilometri, pari quasi al diametro di Saturno

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1 luglio 2025. Ufficio della dott.ssa Alicia Maxwell, coordinatrice del programma osservativo “Danger Sun“. Brookhaven National Laboratory, Upton, Long Island, USA.
Nonostante l’aria condizionata al massimo le cinque persone intorno al piccolo tavolo ovale sudavano copiosamente. Sguardi preoccupati si incrociavano mentre mani nervose consultavano i tablet personali. Il più giovane del gruppo, il trantaduenne Alex Cross si schiarì la voce e riprese a parlare con un tono piatto che non riusciva a mascherare del tutto l’agitazione che lo scuoteva.
Non ci sono dubbi, abbiamo rifatto le simulazioni più volte. L’attività delle macchie solari nel corso dell’ultimo anno ha avuto un incremento esponenziale. I dati sono confermati anche dal  SILSO (Sunspot Index and Long-term Solar Observations), dai dati della sonda Parker Solar Probe e dai risultati incrociati con almeno venti gruppi di ricerca simili al nostro sparsi per il mondo
La coordinatrice del programma osservativo “Danger Sun” del Brookhaven National Laboratory di Upton, Alicia Maxwell era un’astrofisica prossima ai sessanta anni, magra, con uno sguardo simile a quello di un rapace ed un corto caschetto di capelli sale e pepe.
Cosa dobbiamo aspettarci, secondo te?” chiese inchiodando lo sguardo negli occhi inquieti del giovane ricercatore.
Una tempesta geomagnetica pari e forse anche superiore all’Evento di Carrington. Il 1 settembre 1859, mentre Richard C. Carrington effettuava delle osservazioni di routine del Sole e delle sue macchie solari si accorse di insoliti brillamenti in mezzo a un colossale gruppo di macchie scure, che si stima abbiano avuto una dimensione di circa 100.000 chilometri, pari quasi al diametro di Saturno. Si trattò di un fenomeno spettacolare che però durò pochissimi minuti. Diciotto ore dopo la sua osservazione, alle 4 di mattina del 2 settembre la più grande tempesta geomagnetica fino ad allora nota investì il nostro pianeta. Le aurore boreali si spinsero fino ai Caraibi, a Boston fu possibile leggere il giornale in piena notte. Una luce color sangue vinne vista in quasi tutto il mondo: in Australia, Messico, Italia, Giappone, Cina, persino in Colombia. Le linee telegrafiche subirono danni e mal funzionamenti in mezzo mondo. Gli uomini di allora furono fortunati però, l’umanità si trovava ancora in una società che non dipendeva in tutto dall’elettricità e dalle reti infrastrutturali di energia, come quella odierna“.
Con un piccolo colpo di tosse nervosa, Oberon Merle, il direttore dei Laboratori, invitato alla riunione, interruppe l’esposizione di Cross. Merle, era un uomo dalla corporatura imponente, che vestiva sempre in modo elegante e formale, più bravo nella gestione finanziaria e delle risorse umane che nella ricerca scientifica.
Cosa vorresti dire che fortunatamente la tempesta ha colpito una civiltà per così dire pre tecnologica?” chiese muovendosi a disagio sulla sedia che a stento conteneva la sua persona.
Cross riprese a parlare con il tono e gli argomenti con cui ci si rivolge più ad uno studente che ad un fisico con oltre trenta anni di carriera alle spalle.
Terra e Sole non sono connessi soltanto dalla gravità e dalla luce. Noi siamo letteralmente immersi nel campo magnetico solare, soggetti ad un “vento solare” formato da particelle dotate di carica elettrica. Queste particelle viaggiano a oltre 400 chilometri al secondo, circa 1.500.000 chilometri orari, e sono molto dannose per la vita.
Fortunatamente il campo magnetico terrestre agisce come uno scudo deviando questo flusso di particelle e preservando la vita sulla Terra. Le particelle cariche del vento solare possono entrare nell’atmosfera terrestre solo in due punti: presso i poli magnetici, che agiscono un po’ come un imbuto, incanalando il vento verso la superficie. Questi punti di ingresso sono alla base delle spettacolari aurore polari. Tuttavia se il vento solare è più intenso il nostro campo magnetico cede e sulla superficie terrestre vengono indotte poderose scariche elettriche. Questa in sintesi è quella che chiamiamo tempesta geomagnetica” .
E che sta succedendo di diverso adesso?” interloquì sempre più a disagio Merle.
Come sappiamo il ciclo delle macchie solari dura undici anni, compaiono vicino ai poli, aumentano di numero e intensità mentre migrano verso l’equatore per poi sparire. A quel punto il campo solare si inverte in virtù della rotazione solare. La nostra stella è un enorme sfera di gas incandescente che gira più velocemente all’equatore che ai poli.
Il risultato è che il campo magnetico del Sole, trascinato dal gas incandescente, si attorciglia su se stesso e si deforma in alcuni punti. Dalla superficie della stella fuoriescono quindi degli imponenti pennacchi di plasma ad altissima temperatura, altri centinaia di migliaia di chilometri. Quando questi archi di plasma collassano sulla base di un processo di riconnessione magnetica e come se esplodessero miliardi di bombe atomiche contemporaneamente….Questa è una tempesta solare e quella in arrivo promette di essere anche più intensa dell’evento di Carrington“.
E quando succederà tutto ciò?” mormorò il Direttore del Brookhaven National Laboratory. “Non lo sappiamo esattamente, questione di giorni o di qualche settimana” intervenne Samantha Fox, una biondina che studiava le macchie solari dall’inizio del programma di osservazione.
Sappiamo però – proseguì con il suo inconfondibile accento texano – come accadrà. Per prima cosa vedremo i flare (i brillamenti) intorno al punto in cui avviene la riconnessione dove il gas viene riscaldato a temperatura inimmaginabili. Questa luce arriverà senza preavviso in otto minuti sulla Terra. L’enorme flusso di raggi X ionizzando l’atmosfera danneggerà le comunicazioni radio, fino a produrre dei veri e propri black out. Dopo qualche minuto o al massimo qualche ora il pianeta sarà investito da particelle ad alta energia elettroni e protoni soprattutto. Soprattutto questi ultimi riescono a bucare il campo magnetico terrestre provocando un’ulteriore ionizzazione dell’alta ionosfera, prolungando anche di svariati giorni il blackout radio iniziato dai raggi X. Anche i satelliti in orbita potranno essere seriamente danneggiati. Ed infine arriverà il colpo del knock out l’eruzione coronale di massa o CME. Praticamente materia che viene sparata nello spazio dal Sole ad altissima velocità e che impiegherà al massimo tre giorni per giungere sulla Terra. In questo caso visto la potenza stimata dell’evento la CME investirà il nostro pianeta dopo sette/otto ore dall’inizio dei brillamenti. La massa coronale colpirà il campo magnetico terrestre strizzandolo come un limone provocando gigantesche correnti geomagnetiche.”
E la nostra dipendenza dall’elettricità e dalle infrastrutture informatiche ed energetiche farà il resto. Rischiamo in poche ore di essere sbalzati indietro di due secoli” interloquì quietamente Alicia Maxwell. Un silenzio attonito scese nella stanza.
4 novembre 2025. Appartamento di Alex Cross. Upton, Long Island.
Alex Cross guardava fuori dalla finestra del suo bilocale situato al secondo piano nella zona residenziale a nord di Upton. Guardava ma non vedeva praticamente niente. Erano le 18 e fuori la cittadina era immersa in un buio opprimente. Nessun lampione acceso, nessuna luce che trapelava dalle case. Anche il suo appartamento era immerso in un buio soffocante se si escludeva una fioca luce prodotta da una lampada a gas da campeggio messa al centro di un tavolino quadrato del soggiorno.
Faceva molto freddo ed il giovane si era avvolto una coperta sulle spalle. Il mondo era piombato nel buio poco più di due mesi prima, quando la tempesta di massa coronale aveva investito la Terra. Le reti elettriche nelle aree più prossime ai poli erano state disintegrate all’istante, con un inarrestabile effetto domino erano saltati i trasformatori delle reti vicine. Più del settanta per cento dei satelliti in orbita era stato danneggiato irreversibilmente. Le reti informatiche avevano fatto la stessa fine ed internet si era praticamente “spenta”.
Il blackout aveva mandato a male tonnellate di cibo conservato attraverso la catena del freddo, gli acquedotti non funzionavano più e gli ospedali erano stati catapultati indietro di un secolo e mezzo. Il traffico si era fortemente ridotto e quello aereo praticamente scomparso. Immediatamente erano partiti in tutto il mondo interventi per ripristinare progressivamente le reti danneggiate, ma Cross sapeva che ci sarebbe voluto almeno un decennio per ritornare alla normalità.
Si sedette stancamente sulla sua poltroncina preferita e spense la lampada a gas, precipitando in un’oscurità oppressiva. Respirò lentamente per non cedere al panico. La lunga attesa per il nuovo giorno era iniziata.