Oggi abbiamo moltissima scelta in campo alimentare, ma come si sono sviluppate ed evolute le diverse qualità di cibo vegetale?
Questa è la domanda che si sono posti il genetista delle piante Ive De Smet e lo storico d’arte David Vergauwen guardando i dipinti di natura morta in un museo, durante un loro viaggio insieme.
I due amici, mentre visitavano il Museo dell’Ermitage in Russia, si sono trovati di fronte a un dipinto di frutta del pittore fiammingo Frans Snyders. Nessuno dei due riconosceva i frutti, quindi la domanda che si sono posti era che: erano i frutti ad essere diversi nel 17° secolo, o che Snyders fosse semplicemente un cattivo pittore?
La risposta che hanno trovato si è sviluppata in un’idea brillante, ossia tracciare l’evoluzione visiva dei nostri alimenti vegetali attraverso i quadri, idea da cui è nata un’ampia indagine multidisciplinare.
La frutta, la verdura, i legumi, i cereali, le noci e i semi che utilizziamo in cucina provengono tutti da antenati selvatici che, nel tempo, abbiamo coltivato, selezionato e migliorato. I coltivatori, grazie alle loro tecniche, hanno potuto migliorarne il sapore, l’aspetto e le varietà, caratteristiche che hanno reso gli alimenti più attraenti per il consumo e più efficienti dal punto di vista agricolo.
Ma come appariva il nostro cibo centinaia di anni fa? I genetisti delle piante per molti decenni hanno studiato la composizione genetica storica degli alimenti moderni in svariati modi, evidenziando così diverse mutazioni genetiche responsabili del cambiamento dell’aspetto.
Un articolo pubblicato sulla rivista Trends in Plant Science ha reso noto che gli approcci utilizzati non hanno offerto molte risposte su come fossero realmente gli alimenti vegetali secoli fa. La risposta a tal proposito può venire dalle collezioni d’arte di tutto il mondo, che sono perfettamente equivalenti a vecchie fotografie, utili a poter creare un enorme database storico di come i cibi moderni sono cambiati col passare dei secoli nel loro aspetto.
Ive De Smet, capo del gruppo funzionale di fosfoproteomica del Centro di biologia dei sistemi vegetali VIB-UGent in Belgio e coautore dello studio, ha dichiarato che “le immagini, che in questo caso sono rappresentazioni artistiche, sono un ottimo modo per riuscire a fornire delle informazioni mancanti. La nostra ricerca, ad esempio, si interessa alla storia della moderna carota arancione, nata da erbacce fino a divenire della forma attuale che conosciamo. I genomi degli antichi alimenti a base vegetale possono aiutarci a capire che aspetto aveva una determinata pianta, o che colore e quali caratteristiche, come ad esempio la dolcezza. I dipinti ci aiutano, attraverso le raffigurazioni, a individuare l’aspetto di determinate caratteristiche a livello temporale”.
Le opere d’arte, da quando i due studiosi hanno iniziato la ricerca, hanno fatto scoprire molte informazioni interessanti, come l’addomesticamento delle carote e il loro colore, la produzione di grano moderno, la coltivazione di fragole e le origini dell’anguria.
Purtroppo, non sempre è possibile rimediare il materiale necessario, magari a causa dell’impossibilità di visitare i musei, o di alcuni dipinti posseduti da gallerie private. Esistono dei cataloghi online sui dipinti, ma sono in grado di offrire solo delle brevi descrizioni e piccole foto di alcune opere d’arte, quindi trovare il cibo al loro interno non è sempre fattibile.
De Smet ha spiegato che “i cataloghi non sono sempre utili, poiché un dipinto potrebbe contenere 20 carote dall’aspetto strano, ma nel momento in cui c’è anche una rana, il dipinto sarà etichettato come una natura morta con rana”.
Viste le chiare difficoltà nel reperire un numero adeguato di dipinti per condurre un’ampia ricerca, i due autori hanno pensato di chiedere una collaborazione esterna a chiunque voglia contribuire al loro scopo, semplicemente fornendo qualunque informazione su dipinti contenenti dei vegetali. La partecipazione all’iniziativa comincerà dal 14 luglio, e richiede l’invio di foto tramite e-mail agli autori, che oltre a questa modalità stanno sviluppando un app, per semplificare il processo e rendere pubblico il database, in cui verranno conservate tutte le immagini. La loro campagna crowdsourcing è stata intitolata “#ArtGenetics”, nome ispirato all’unione delle discipline di genetica e della storia dell’arte.
De Smet ha dichiarato che “questa è la bellezza di fare questo tipo di ricerca oggi. Gli strumenti di crowdsourcing consentono di accedere a molti dati in modo molto veloce , molto di più di quanto potremmo fare visitando dal vivo i musei”.
I dipinti consentono di avere delle caratteristiche dettagliate sull’aspetto dei vegetali
Gli autori ritengono che ottenere notizie attraverso i dipinti, su come si sono evoluti gli alimenti vegetali, consente di imparare molte informazioni interessanti, come, ad esempio, quanto fossero comuni certi alimenti, quali associazioni esistessero tra le abitudini di consumo alimentare, le rotte commerciali e le terre appena conquistate.
Secondo De Smet i fattori ambientali influiscono molto sulle relazioni tra le persone e i loro alimenti, creando una certa quotidianità in quello che viene mangiato, legato sopratutto alle risorse disponibili. De Smet per fare un esempio spiega che “il pomodoro era molto conosciuto in Europa già nel 1530, ma fu solo nel 17° secolo che iniziò ad essere coltivato e ancora più tardi, ossia nel 19° secolo e salito alla ribalta come uno dei prodotti più utilizzati nelle cucine italiane. I ritardi avvenuti per questo alimento, e non solo questo, anche la patata inizialmente non era utilizzata, sono avvenuti per motivi di pratiche culturali. In altre parole, sia il pomodoro che la patata erano considerati pericolosi o persino velenosi in alcuni luoghi. Per questo motivo la nostra ricerca non si limita alla studio delle genetica e alla storia dell’arte ma è legata anche al campo dell’antropologia culturale e della storia sociale”.
Mettere a confronto l’arte astratta con quella realistica
Lo studio presenta un ostacolo, ossia che l’arte può essere arbitraria, quindi come possono gli autori ritenere che un dipinto è affidabile?
De Smet spiega che “se guardiamo un’opera di Picasso, ad esempio, per riuscire a capire come una pera potesse comparire nei primi anni del 20° secolo, si rimarrebbe molto delusi”. Le opere del pittore olandese Hieronymus Bosch ad esempio potrebbero mostrare la corretta struttura biologica di una fragola, ma il frutto purtroppo appare nel dipinto molto più alto delle persone al suo fianco.
Esther van der Knaap, professore presso il College of Georgia and Environmental Sciences dell’Università della Georgia, che non è stato coinvolto nello studio, ritiene che “la ricerca effettuata attraverso i dipinti e altre forme d’arte è molto interessante, ed è sicuramente una strada da perseguire. Sebbene presenti delle imperfezioni, l’arte storica offre molti spunti su informazioni avvenute secoli fa”.
De Smet, a tal proposito, ritiene che si debbano affrontare le discrepanze verificando l’affidabilità della fonte, riuscendo così a fidarsi delle prove trovate.
Se gli autori riescono a verificare che un pittore abbia rappresentato correttamente degli abiti o degli strumenti musicali, allora potrebbero essere in grado di presumere che l’artista sia stato altrettanto preciso nel momento in cui ha dipinto frutta e verdura.
Riuscire a trovare una soluzione potrebbe essere anche una questione di numeri, ossia se un alimento è stato raffigurato una volta, allora potrebbe essere una stranezza o il risultato di opere d’arte di scarsa qualità. Se invece è un oggetto comune, potrebbe aver posseduto realmente le caratteristiche rappresentate.
Un fattore molto utilizzato nello studio è la rappresentazione delle rose nei dipinti. Infatti, presentano una lunga storia di riproduzione secolare e possono essere di grande aiuto se l’artista ne ha dipinte per determinarne l’affidabilità.
Michael Gore, professore associato di coltivazione vegetale e genetica alla Cornell University di New York, che non era coinvolto nello studio, ritiene che “sia gli artisti che gli scienziati si sforzano di comprendere e spiegare il loro ambiente, quindi per me le collaborazioni tra scienza e arte sono naturali, ma fin troppo rare. Spero che questo studio possa ispirare nuove strade verso la creatività, in grado di sbloccare altre discipline scientifiche”.
Fonte: CNN