La coscienza “allucinata”

LSD e sostanze affini potrebbero essere utili per curare diversi disturbi psichici

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Nella primavera del 1943, il ricercatore svizzero Albert Hofmann, decise di provare LSD, ovvero la dietilamide dell’acido lisergico, una delle più potenti sostanze allucinogene. Hofmann ne assunse una dose minuscola, circa 250 mg, a fini della ricerca, ma la quantità fu più che sufficiente a farlo “sballare”.

Il viaggio in bicicletta verso casa di Hofmann fu tutto un susseguirsi di caleidoscopici giochi di forme e di colore, di suoni che si trasformavano in lampi di luce. Il giovane ricercatore trascrisse prontamente su un taccuino la progressiva alterazione del proprio stato di coscienza e le sensazioni provate.

Probabilmente questo fu il primo “trip” documentato di LSD ma Hofmann non poteva certo immaginare che nei decenni successivi questa sostanza, grazie anche allo psicologo di Harvard Timothy Leary, guru del movimento hippy, diventasse un consumo di massa tra i giovani degli anni Sessanta e Settanta. Ancora oggi gli attempati figli dei fiori festeggiano il 19 aprile come il “Bycicle Day”, in ricordo del memorabile viaggio in bicicletta di Hofmann.

Già alla fine degli anni Sessanta LSD venne inserito tra le sostanze proibite e questo comportò la fine di numerosi progetti di ricerca correlati. Negli ultimi anni però c’è stata una ripresa di interesse sullo studio delle proprietà del LSD, dal 2014 ad oggi circa 30 studi con le neuroimmagini si sono svolti soprattutto in Gran Bretagna, Svizzera e Spagna.

Il ricercatore più appassionato e che forse ha fatto i maggiori progressi in questo ambito è il trentasettenne neuroscienziato dell’Imperial College, Robin Carhart-Harris.



Il giovane ricercatore intende con le sue ricerche decifrare alcuni enigmi delle neuroscienze: che cosa determina lo stato di veglia di una persona? Qual è il correlato neuronale di quello che chiamiamo “esperienza dell’Io”? E cosa succede nel cervello quando il normale stato di veglia perde il suo equilibrio?

Carhart-Harris distingue due stati dell’Io diversi: la coscienza primaria e la coscienza secondaria. Quest’ultima è la condizione “normale” che viviamo quando percepiamo il mondo che ci circonda così com’ è. La coscienza primaria invece sarebbe contrassegnata da uno stile di pensiero senza alcuna barriera e da una notevole soggezione agli influssi esterni. In questo stato del tutto particolare saremmo inclini al pensiero magico ed alla paranoia ed avremmo una predilezione per il soprannaturale.

Carhart-Harris ritiene che la coscienza primaria sia un atavismo, ovvero il ritorno ad uno stato precedente l’evoluzione. La questione focale però è cosa distingue a livello neuronale la coscienza primaria da quella secondaria? Il ricercatore dell’Imperial College per rispondere a questa domanda si rifà direttamente al concetto di entropia, tratto dalla teoria del calore; in altri termini il disordine di un sistema.

Secondo Carhart-Harris, durante un trip da LSD, ad esempio, il cervello manifesta più entropia rispetto allo stato di veglia normale. Normalmente i meccanismi neuronali reprimono attivamente l’entropia per garantire lo stato di coscienza ordinato : LSD rende questi meccanismi inefficaci.

Un esperimento condotto da Carhart-Harris confermerebbe questa spiegazione.

Sono stati selezionati venticinque volontari maggiori di 21 anni con alle spalle esperienze nell’uso di sostanze psichedeliche. Prima di entrare nello scanner cerebrale ad alcuni è stato iniettato un placebo, ad altri della psilocibina, una sostanza con caratteristiche simili al LSD.

I risultati ottenuti su questi ultimi con la tomografia a risonanza magnetica funzionale hanno evidenziato che particolari regioni del cervello agivano indipendentemente ed anche il disordine del segnale sembrava aumentare sotto l’influsso della psilocibina. Questo esperimento, pubblicato nel 2012, ha costituito il primo indizio concreto sul ruolo dell’entropia nella diversificazione tra coscienza primaria e secondaria.

Da allora altri studi, condotti anche con metodi diversi, hanno sostanzialmente confermato i risultati ottenuti da Carhart-Harris. Secondo il ricercatore dell’Imperial College questo caos temporaneo del sistema nervoso è una diretta conseguenza di sostanze allucinogene come LSD o la psilocibina. Gli effetti andavano da una disconnessione tra aree del cervello che di solito operano congiuntamente ad una fluidità dei confini tra l’IO proprio e il mondo circostante.

In uno studio del 2018 i volontari che soffrivano di depressione resistente all’utilizzo dei normali farmaci manifestavano tre mesi dopo l’assunzione di psilocibina una maggiore apertura a nuove esperienze ed un miglioramento sostanziale del proprio stato depressivo. La teoria di Carhart-Harris, ancora controversa, prevede che quando una persona è nello stato secondario della coscienza il cervello opera in una situazione di “criticità” utile ad un efficiente funzionamento e ad una correlazione con il mondo che ci circonda così com’ è.

Quando invece viviamo in una stadio di coscienza primaria, il cervello opera nello stato di super criticità, condizione che spiegherebbe l’ipersensibilità agli influssi del mondo esterno, cosa che di norma avviene negli individui soggetti a trip psichedelici.

Malgrado la teoria di Carhart-Harris presenti ancora aspetti da chiarire e confermare, diversi ricercatori si impegnano a curare disturbi psichici con LSD o sostanze affini. La via per giungere a conclusioni certe e che limitino gli effetti collaterali di questi trattamenti (ansia, paranoia, mal di testa, nausea), è ancora lunga.

Fonte: I Quaderni de Le Scienze

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