La “cinesizzazione” della Cina

Il paese più popoloso del mondo ed il terzo per estensione presenta una sorprendente unificazione linguistica e culturale

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Gran parte dei paesi del mondo sono il prodotto, più o meno recente, di melting pot. Gli Stati Uniti sono certamente l’esempio più classico, in California, uno degli stati più popolosi, è stato stimato che si parlino quasi 80 lingue diverse. Ed anche precedentemente l’arrivo dei colonizzatori europei nel vastissimo territorio che oggi rappresenta gli Stati Uniti erano presenti centinaia di tribù di nativi che parlavano lingue e dialetti diversi, prima di essere sterminati e forzatamente omologati nel corso degli ultimi 120 anni.
Anche l’India, l’Indonesia e il Brasile sono creazioni (o ri-creazioni nel caso dell’India) politiche recenti, che ospitano rispettivamente 850, 670 e 210 lingue. Non molto dissimile è la situazione russa. C’è tra i grandi paesi un’unica eccezione: la Cina.
La nazione più popolosa del mondo ed una delle più potenti sotto il profilo economico e militare appare quasi monolitica dal punto di vista politico, culturale e linguistico. Presentava questi caratteri di unità già dal 221 a.e.v.
Quando è apparsa la scrittura, contrariamente alla frammentazione di alfabeti presente in Europa, la Cina ha avuto un unico sistema. Anche da un punto di vista linguistico, questo immenso paese, che conta 1,4 miliardi di abitanti possiede la più vasta comunità al mondo di persone che parlano la stessa lingua, circa 900 milioni di individui che si esprimono in mandarino.
Altri 300 milioni utilizzano idiomi cosí simili tra di loro e al mandarino, che la comprensione reciproca è del tipo di quella tra spagnolo e italiano. Insomma la Cina pare che sia sempre stata “cinese” o almeno da 2400 anni a questa parte. Eppure la cosa dovrebbe sorprenderci, almeno dal punto di vista genetico.
Infatti le differenze somatiche sono molto più marcate di quanto si pensi. I cinesi del nord e del sud sono molto diversi: i primi assomigliano ai tibetani e ai nepalesi, e sono in genere piú alti, robusti, chiari di carnagione, e dagli occhi piú «tagliati» (grazie alla cosiddetta plica epicantica); mentre i secondi sono avvicinabili ai vietnamiti e ai filippini.
Così come sono profonde le differenze climatiche e morfologiche tra la Cina del nord e quella del sud. Queste diversità rendono difficilmente comprensibile l’unicità linguistica del paese, soprattutto se confrontata con quanto successo in Europa ed in altre aeree del mondo.
La Cina è abitata da circa 500.000 anni. Che fine hanno fatto le lingue precedenti l’affermazione del mandarino? Come avvenne la “cinesizzazione” di questo grande paese? Partiamo da un’analisi più attenta delle lingue, oltre al mandarino, in Cina esistono 130 lingue minori, alcune delle quali parlate da poche migliaia di persone. Tutte insieme, queste lingue possono essere raggruppate in quattro famiglie, che differiscono molto nella loro distribuzione.
La prima famiglia è costituita dal mandarino e dalle lingue affini, distribuite abbastanza omogeneamente dalla Manciuria al Golfo del Tonchino. Le altre famiglie sono molto frammentate e sono sparse a chiazza di leopardo per l’intero territorio cinese.
Particolarmente dispersi sono i parlanti della famiglia Miao-Yao (o Hmong-Mien), 6 milioni di persone divisi in cinque lingue dai nomi pittoreschi: miao rosso, miao bianco , miao nero, miao verde e yao. Si tratta di piccole enclave circondate da altre lingue, sparse su un territorio di piú di un milione di chilometri quadrati, compreso tra la Cina meridionale e la Thailandia.
Altrettanto frammentate sono il cambogiano e il vietnamita. La quarta famiglia è quella Tai-Kadai, che comprende il thailandese e il laotiano, è parlata da 50 milioni di abitanti ed è diffusa dalla Cina meridionale al Myanmar (l’ex Birmania). La frammentazione estrema di queste lingue fa pensare che essa sia il frutto di invasioni di altri popoli che ne hanno ristretto l’area di diffusione.
I cinesi che diedero vita a queste ondate di occupazione di fatto eliminarono o assimilarono i diversi gruppi etnici. La storia scritta della dinastia Zhou (1100-221 a. C.) racconta questi fatti in dettaglio. Si tratta di un processo non molto dissimile da quello attuato nel Nuovo Mondo dagli spagnoli e dagli inglesi nei confronti dei nativi americani.
Un ruolo fondamentale dell’espansionismo militare e culturale cinese è da ricercarsi nello sviluppo anticipato dell’agricoltura, quasi contemporanea a quello che avvenne nella Mezzaluna fertile e al relativamente rapido formarsi di società complesse ed organizzate.
La scrittura è attestata dal II millennio a.e.v. , già 2.000 anni prima le realtà locali iniziarono ad espandersi, ad interagire e competere tra loro, e a fondersi, favorite in questo processo dai grandi fiumi che percorrono la Cina nell’asse ovest/est. Queste dinamiche militari ed economiche favorirono l’unificazione culturale, fino ad arrivare all’unificazione politica del paese nel 221 a.e.v. sotto la dinastia Qin.
L’assimilazione culturale procedette con feroce determinazione creando i presupposti per quell’uniformità linguistica e culturale che fa della Cina una paese diverso dagli altri.