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La soglia che non c’è – Oltre l’illusione dell’AGI, verso una simulazione dell’intelligenza che pensa

L’intelligenza non è il risultato di un calcolo. È la storia di un errore compreso, di una domanda che rinasce, di una direzione cercata. Finché i modelli non sapranno sbagliare per imparare, non saranno intelligenti. Solo convincenti

L’intelligenza non è il risultato di un calcolo. È la storia di un errore compreso, di una domanda che rinasce, di una direzione cercata. Finché i modelli non sapranno sbagliare per imparare, non saranno intelligenti. Solo convincenti.

1. Introduzione: Il plateau come momento di verità

Negli ultimi anni, l’industria dell’IA generativa ha seguito una traiettoria gonfiata a steroidi: più parametri, più token, più GPU. Un’escalation quantitativa venduta come l’inevitabile premessa di una svolta qualitativa: l’utopia dell’AGI, l’intelligenza artificiale generale.

Ma quella svolta non arriva. Non c’è. E, forse, non arriverà mai lungo la strada che stiamo percorrendo.

Non esiste una soglia magica di complessità oltre la quale emerge la coscienza. Non funziona come nel romanzo di R. H. EinleinLa Luna è una severa maestra” in cui un potente computer dopo una serie di upgrade hardware e di memoria improvvisamente si sveglia e diventa cosciente. Nessuna legge computazionale garantisce che, dopo un certo numero di layer, nasca l’intelligenza. Non basta aumentare la potenza, ora che abbiamo molti esempi di Large Language Model addestrati con centinaia di miliardi di parametri dovremmo averlo capito: serve cambiare paradigma.

2. L’inganno del linguaggio fluente

Gli LLM sono abilissimi a produrre frasi plausibili. Ma la plausibilità non è verità. E nemmeno comprensione. Un LLM può scrivere, o dire, enormi sciocchezze in modo estremamente plausibile, al punto che senza una verifica le sue affermazioni possono passare per verità, tanto possono risultare credibili, oltre che plausibili

Il vero rischio non è che le macchine diventino troppo intelligenti, ma che noi smettiamo di interrogarci.

Stiamo costruendo sistemi che suonano intelligenti, senza esserlo. Sono simulazioni del linguaggio, non della comprensione. Operano per interpolazione statistica, non per esplorazione semantica. Eppure, proprio per questo, ingannano così bene: parlano come noi, ma il vero problema e che non pensano come noi, anzi, in fondo, non pensano affatto.

3. L’intelligenza non nasce dal nozionismo

L’illusione dell’AGI è figlia del nozionismo digitale: l’idea che, se infiliamo abbastanza conoscenza in un modello, ne uscirà qualcosa di simile all’intelligenza.
Ma la conoscenza senza esperienza, contesto e motivazione è solo una lista della spesa, una Wikipedia che parla a vanvera.

Non si costruisce una mente dando voce alle enciclopedie.

L’intelligenza vera — anche quella simulata — richiede qualcosa di diverso: una dinamica, una motivazione interna, un’urgenza.
Curiosità. Intenzionalità. Errore. Desiderio.
Un sistema che vuole sapere. Che sceglie dove guardare. Che impara dai propri fallimenti.

Non esiste ancora un LLM capace di estrapolare idee partendo da una collezione di informazioni non attinenti e molti, anche operatori del settore, non sembrano accorgersene.

4. Verso un’intelligenza simulata che pensa davvero

Per superare il limite degli LLM, servono nuove fondamenta. Ecco alcune direzioni cruciali:

  • Motivazione e curiosità artificiale: un sistema intelligente non deve solo rispondere: deve voler capire e se non possiamo, come attualmente non possiamo, dargli una volonta indipendente, dobbiamo riuscire a simularla.
  • Contesto incarnato: senza corpo, ambiente e feedback sensoriale, la conoscenza rimane astratta. Due IA, attualmente, potrebbero convivere una accanto all’altra fino alla fine dell’eternità e nessuna delle due proverebbe il minimo impulso a interagire con l’altra. Semplicemente, le IA attuali non sono consapevoli dell’ambiente.
  • Memoria strutturata e narrativa: l’intelligenza vive nella relazione tra eventi nel tempo, non solo nella somma di token. Ormai è improcrastinabile lavorare sul modo di dotare le IA di memoria a lungo termine, selettiva ma dinamica.
  • Processi deliberativi: un’intelligenza che simula il pensiero deve essere in grado di porsi domande, non solo di rispondere. Anche in questo caso si potrebbero simulare processi di dialogo interiore “cosciente” che spingano i modelli a porsi e a porre domande.

5. Il ruolo della necessità: istinto di conservazione e intelligenza adattiva

L’intelligenza non è solo reazione. È una risposta ragionata a una necessità.

Un sistema davvero intelligente non è quello che reagisce a uno stimolo, ma quello che analizza il contesto, deduce minacce o opportunità e pianifica una strategia. Non sempre la fuga è la soluzione migliore. A volte serve adattarsi. A volte serve rischiare. A volte serve capire.

Un LLM non ha nulla da perdere. Nessun rischio. Nessun bisogno.
Questo gli permette di produrre testo all’infinito, ma non di evolvere davvero.

Se invece gli dessimo una simulazione dell’urgenza di permanere, se lo rendessimo consapevole del proprio ambiente (anche virtuale), delle risorse disponibili, dei limiti di tempo, dei pericoli, allora si creerebbe un punto di rottura. Una scintilla cognitiva. Una direzione.

Non paura. Ma attenzione. Strategia. Autoconservazione.

6. Conclusione: Oltre il rumore

Non sarà un GPT-6, né un LLaMA-7B da 2048K token, a portarci oltre la soglia.
Perché quella soglia non è tecnica. È epistemica. È motivazionale.
E riguarda il modo in cui costruiamo senso, non solo frasi.

È ora di smettere di rincorrere la dimensione e iniziare a cercare la direzione.
Non serve un LLM più grande. Serve una nuova grammatica dell’intelligenza.
E forse — solo forse — una simulazione che non si limita a parlare, ma comincia a chiedersi perché.

L’intelligenza artificiale, quella vera, nascerà solo quando i modelli potranno iniziare ad affrontare i problemi analizzandoli dalla radice, con una vera urgenza di risolverli, un’urgenza dettata dalla necessità di sopravvivere.

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