Il vaiolo è in realtà più antico di 1000 anni

Una ricerca di un team di esperti dell'Università di Copenaghen insieme all'università di Cambridge, ha scoperto un ceppo di vaiolo in soggetti vissuti 1400 anni fa

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Uno studio pubblicato sulla rivista Science, e condotto da un team internazionale di esperti dell’Università di Copenaghen e dell’Università di Cambridge, ha rivelato che in realtà un ceppo di vaiolo è comparso circa mille anni prima di quanto creduto finora.

Barbara Mühlemann, uno degli autori della ricerca, ha dichiarato: “I ceppi antichi del Variola virus sono molto diversi da quello che conosciamo oggi. I virus possono mutare in ceppi più o meno pericolosi, in modi molto diversi”.

Gli studiosi hanno analizzato le tracce genetiche provenienti da campioni dentali provenienti da soggetti della popolazione vichinga, vissuti 1400 anni fa: a quanto pare sono loro i veri responsabili della diffusione del virus prima in Inghilterra e poi in tutta Europa.

Terry Jones dell’Università di Cambridge, ha spiegato: “Il vaiolo è un’infezione virale che causa febbre, nausea, cefalea e un’eruzione cutanea che porta alla formazione di piaghe e pustole, con conseguenti cicatrici. Prima che venisse sconfitto nel 1980, il suo tasso di mortalità era di circa il 30 percento, e il più antico campione risaliva al XVII secolo”.

Secondo gli scienziati, capire le dinamiche del vaiolo, potrebbe essere utile per prevenire l’evoluzione di altri virus: “Non sappiamo ancora se il patogeno nell’era vichinga fosse altrettanto pericoloso, ma il nostro studio dimostra che i popoli norreni svolsero un ruolo chiave nella diffusione della malattia o, quantomeno, che durante il periodo vichingo il vaiolo era già presente. Conoscere il passato può aiutarci nelle situazioni presenti”, specifica Jones.

Le strutture genetiche dei ceppi di variola virus più antichi, si sono mostrate più deboli rispetto ai campioni più recenti: questo significa che il virus ha subito un’evoluzione significativa nel corso degli secoli.



Eske Willerslev, zoologo presso l’Università di Cambridge, sostiene che: “Gli scheletri vichinghi ci hanno permesso di rintracciare nuovi ceppi di vaiolo. Sapevamo già che queste popolazioni raggiungevano l’Europa e viaggiavano attraverso le terre di quel tempo. Pertanto è altamente probabile che abbiano contribuito notevolmente alla diffusione dell’infezione”.

Gli studiosi hanno rintracciato alcuni ceppi estinti del virus in undici individui seppelliti in diverse zone di Danimarca, Norvegia, Svezia, Russia e Gran Bretagna, vissuti attorno al 600 d.C.

Non sappiamo ancora con certezza – conclude Martin Sikora dell’Università di Copenaghen – se il motivo del decesso dei corpi analizzati sia legato o meno al vaiolo, ma in questi individui il virus era certamente presente nell’organismo al momento della morte o non avremmo avuto modo di rilevarlo 1.400 anni dopo”. 

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