Sono molte le località e le chiese che pretendono di essere le custodi del Sacro Graal ma, tra tutte, la cattedrale di Valencia con il suo Santo Cáliz è una delle più accreditate.
È difficile entrare nella cattedrale di Valencia senza provare un senso di stupore. Attraversando la soglia, vieni accolto dagli echi di un canto gregoriano che riverbera attraverso il soffitto a volta. Davanti al visitatore si dipana una lunga processione di archi che conducono a una singola predella sul lato opposto della cattedrale. Una piccola serie di gradini permete di accedere all’altare, racchiuso da una mezza cupola perfettamente adornata con sculture e dipinti raffiguranti scene di angeli e apostoli.
Appena oltre c’è l’accesso ad una piccola stanza apparentemente anonima all’interno della quale, c’è un’umile cappella, all’interno della quale, racchiuso in una teca di vetro appena oltre l’altare, c’è l’oggetto di cui stiamo parlando: una tazza solitaria, appoggiata su un piedistallo dorato, in piena luce. Secondo la leggenda, questa è la coppa usata da Gesù Cristo durante l’Ultima Cena o, come la coppa è più comunemente conosciuta, il Santo Graal.
Dalle storie dei poemi epici medievali di Re Artù e dei suoi cavalieri, alle gesta di Indiana Jones sul grande schermo, il Santo Graal è rimasto uno dei tesori più suggestivi ricercati dell’umanità, una misteriosa reliquia che sta a cavallo tra la fantasia e la realtà. Sebbene l’idea che un calice usato da Cristo sarebbe riverito e quindi preservato dai primi adoratori è plausibile, il fatto che sia un magico contenitore in grado di garantire la vita eterna a chi vi beve, non è mai menzionato nella Bibbia; è una convenzione della leggenda arturiana, scritta da artisti del calibro di Chrétien de Troyes e Robert de Boron, due poeti francesi che hanno modellato pesantemente lo sviluppo della tradizione arturiana nel 12 ° e 13 ° secolo. La prima menzione scritta del Graal è nel Perceval di de Troyes, in cui viene descritto non come un calice ma come un piatto da portata.
Il Graal potrebbe essere anche solo un tesoro letterario ma non si può fare a meno di sentirsi affascinati dal Santo Cáliz di Valencia (Holy Chalice). Attualmente sono almeno 200 i pretendenti al titolo di luogo di custodia del Santo Graal, dalla Scozia ad Accokeek, nel Maryland. Eppure il calice di Valencia riesce sempre ad attrarre pellegrini da ogni parte del mondo, ed è stato addirittura usato in modo cerimoniale sia da Papa Giovanni Paolo II che da Papa Benedetto XVI. Ma cosa rende questa tazza così speciale tra tante altre?
Il Santo Cáliz di Valencia appare molto più elaborato di quanto si possa pensare. Con due enormi manici dorati e una base intarsiata di perle, smeraldi e rubini, il calice trasmette un vero e proprio senso di incredulità. In effetti, come chiunque abbia visto Indiana Jones e l’Ultima Crociata è consapevole, il Santo Graal dovrebbe essere una cosa semplice, la coppa di un falegname.
In realtà la reliquia reale è solo il pezzo in cima, una coppa ricavata dall’agata e lucidata con mirra. Le maniglie e la base, che recano i tratti distintivi dell’artigianato medievale, furono aggiunti successivamente. Come è arrivato sulla costa orientale spagnola un oggetto usato duemila anni fa a Gerusalemme, dove si ritiene che l’Ultima Cena abbia avuto luogo?
Si tratta di una storia è contorta. Pare che San Pietro, il primo papa, portò la coppa a Roma. I papi erano le uniche persone che potevano dare messa, così San Pietro e il resto dei papi usavano il graal per l’Eucaristia, considerandolo quello usato da Cristo. Quando l’imperatore Valeriano iniziò a perseguitare i cristiani (257 d.C.), il calice fu inviato a Huesca, in Spagna, perché non era più sicuro a Roma.
Si suppone che il calice sia rimasto a Huesca per alcune centinaia di anni, prima di essere spostato di nuovo durante le conquiste degli Omayyadi del VIII secolo, e messo al sicuro nel monastero sul lato della scogliera di San Juan de la Peña, nel nord della Spagna.
Le registrazioni più attendibili di questo calice appaiono nel 1399, quando divenne parte del reliquiario reale del re Martin d’Aragona. Secondo i registri della cattedrale, dopo che Alfonso il Magnanimo salì al trono nel 1416, il reliquiario fu trasferito a Valencia e successivamente concesso alla cattedrale come pagamento per un debito. Sebbene il calice sia stato portato via più volte in occasione della guerra, è inevitabilmente ritornato alla cattedrale di Valencia nel 1939, dove è rimasto.
Il dettaglio principale che distingue il calice di Valencia è lo stile e l’arte della coppa di agata, che l’archeologo spagnolo Antonio Beltrán, che ha studiato il calice nel 1960, afferma risalga al medio oriente nel periodo che va dal 2 ° secolo aC e al 1 ° secolo dC. La valutazione archeologica suggerisce che questa tazza potrebbe essere il Graal, almeno geograficamente e cronologicamente. Benché lontana dalla prova definitiva, i risultati certamente rafforzano la pretesa della cattedrale di Valencia.
Sia come sia, finché continueranno ad esserci centinaia di pretendenti al ruolo di custodi del Graal e di tazze cui assegnare il titolo di unica vera tazza di Gesù, il mistero durerà, la leggenda sopravviverà e la ricerca del Sacro Graal continuerà, perchè, si sa, fin dai tempi del ciclo Bretone, il vero tesoro non è tanto il calice in sè stesso quanto la ricerca stessa di esso.
Fonte: BBC