Il primo esopianeta

Nel 1995 è stato attribuito il Nobel per la Fisica a due astronomi per la scoperta di un esopianeta, ma individuare chi ha scoperto il primo pianeta extrasolare è tutt'altro che facile

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Nel 2019 Michel Meyer e Didier Queloz hanno vinto il Premio Nobel per la Fisica per la scoperta di un esopianeta nel 1995. La motivazione addotta però ad una prima osservazione poteva sembrare alquanto sibillina: “per la scoperta di un esopianeta che orbita intorno ad una stella di tipo solare”.
La scoperta del “primo” pianeta extra solare è una faccenda piuttosto ingarbugliata e che ha generato una discreta fibrillazione nell’ambiente scientifico. All’inizio della caccia ai pianeti di altri sistemi stellari, il modello di riferimento per gli astronomi era quello di orbite dei pianeti quasi circolari che giacciono sullo stesso piano, con i pianeti giganti gassosi all’esterno e quelli rocciosi più piccoli all’interno, più vicini alla stella.
Questa teoria non reggerà allo scoperta dei primi esopianeti dimostrandosi perlomeno largamente incompleta. All’inizio, la caccia agli esopianeti si basava essenzialmente sulle misurazioni dell’effetto Doppler che, per quanto riguarda la lunghezza d’onda della luce, prevede che essa viri verso il blu quando una stella si muove verso di noi e verso il rosso quando si allontana.
Infine prima di addentrarci nell’esame di chi può fregiarsi del “titolo” di primo scopritore di un esopianeta è bene puntualizzare meglio il concetto di “scoperta”. Una possibile definizione è quella che prevede che una scoperta sia l’acquisizione di conoscenze prima ignote. Conoscenze che derivino da un convincimento vero e giustificato.
Circoscrivere il significato epistemologico di scoperta ci permette di spazzar via tutti coloro che accidentalmente e per mera fortuna si sono imbattuti in un esopianeta. Quindi niente serendipità.
Nel 1979, Gordon Walker, una delle massime autorità nelle misurazioni dell’effetto Doppler si mise alla caccia di pianeti giganti simili a Giove osservando, con un progetto a lunghissimo termine, una ventina di stelle. Malgrado le difficoltà che incontrò nel portare avanti questa ricerca nel 1988 era arrivato a rilevare il segnale di un pianeta di massa paragonabile a quella di Giove, orbitante ogni 2,7 anni intorno alla stella Gamma Cephei.
Nel 1992 però Walker in un articolo fece marcia indietro e mise in dubbio che quel segnale fosse prodotto da un esopianeta. Poi venne fuori che la stella in questione era stata classificata in modo errato e che non era una stella gigante. Per timore di aver preso una topica Gordon Walker rigettò la sua scoperta. Peccato che nel 2003 l’esistenza del pianeta segnalata dall’astronomo venne poi confermata.
Il candidato successivo al titolo di primo scopritore di un pianeta extra solare è David Latham dello Smithsonian Astrophysical Observatory che nel 1989 riferì di un misterioso segnale proveniente dalla stella HD614762. Le sue caratteristiche erano compatibili con un moto orbitale e non con uno di rotazione. In effetti il database della NASA che cataloga tutti gli esopianeti comprende la scoperta fatta Latham ben sei anni prima del 1995 che è valso il Nobel a Michel Meyer e Didier Queloz.
Il problema era che l’orbita non era assolutamente circolare, era formata da un ellisse molto allungata del tutto diversa dalle orbite dei pianeti del Sistema Solare. In secondo luogo la massa del pianeta risultava 11 volte maggiore di quella di Giove, anzi, la sua massa poteva essere ancora più grande poiché la misurazione basata sull’effetto Doppler ci fornisce soltanto il valore minimo possibile e, come se non bastasse, l’orbita sembrava troppo piccola per un pianeta gigante.
Secondo la teoria della formazione dei pianeti allora accreditata, i giganti gassosi non potevano trovarsi così vicini alla loro stella. Il lavoro firmato da Latham e dai suoi collaboratori presentava la possibilità che fosse un pianeta soltanto come idea speculativa, teorizzando che molto probabilmente l’oggetto celeste da loro scoperto era una nana bruna.
Oggi sappiamo, invece, che esistono pianeti giganti molto vicini alla loro stella e che alcuni di essi hanno una massa anche 20 volte maggiore a quella di Giove.
Nel 1992 arriva un altro annuncio sensazionale Aleksander Wolszczan e Dale Frail annunciarono di aver scoperto intorno ad una  pulsar PSR B1257+12  ben 2 esopianeti le cui  orbite erano rispettivamente a 0,36 e 0,47 unità astronomiche e con masse paragonabili a quella terrestre.
Le pulsar sono stelle di neutroni che si formano quando una stella esplode come supernova II, mentre le sue regioni interne collassano in una stella di neutroni congelando ed ingigantendo il campo magnetico originario. La velocità di rotazione alla superficie di una pulsar è variabile e dipende dal numero di rotazioni al secondo sul proprio asse e dal suo raggio. Nel caso di pulsar con emissioni a frequenze del kHz, la velocità superficiale può arrivare ad essere una frazione significativa della velocità della luce, a velocità di 70.000 km/s!
L’unico problema di questa scoperta, per altro confermata, era se gli oggetti osservati fossero davvero due pianeti. Insomma potevano considerarsi tali corpi celesti che orbitano intorno ad una stella “zombie”? Questa considerazione spiega come mai nella motivazione del Nobel per la Fisica del 2019 si fa cenno espressamente a “esopianeta che orbita intorno ad una stella di tipo solare”.
Pur chiamando pianeti gli oggetti scoperti dall’astronomo polacco e dal collega americano di fatto i “pianeti” delle pulsar sono trattati come bizzarrie astronomiche. Ed ecco che alla fine torniamo al duo Michel Meyer e Didier Queloz che grazie alla possibilità di utilizzare senza limiti un telescopio in Francia (potendo così osservare un gran numero di stelle) nel 1995 individuarono intorno ad una stella solare chiamata 51 Pegasi un pianeta con una massa compresa tra quella di Saturno e quella di Giove.
Per questo pur utilizzando una motivazione che gioca sui termini il pianeta di 51 Pegasi è considerato il primo esopianeta scoperto con tutti crismi del convincimento vero e giustificato.

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