L’esistenza delle particelle di antimateria fu postulata per la prima volta nel 1928, dal grande fisico inglese Paul Dirac, come possibile soluzione della sua omonima equazione che descrive il comportamento quanto-relativistico delle particelle caratterizzate da spin uguale a ½.
L’antimateria venne scoperta sperimentalmente nel 1932 dallo scomparso premio Nobel e professore del Caltech Carl Anderson (BS ’27, PhD ’30).
Queste particelle mostrano cariche opposte alle loro controparti fatte di materia. La particella di antimateria dell’elettrone con carica negativa, ad esempio, è il positrone caricato positivamente.
Stelle e galassie, sono composte da quella che chiamiamo invece materia “ordinaria” che costituisce il mondo che ci circonda. La materia è fatta di atomi a loro volta costituiti da particelle come protoni ed elettroni e neutroni. Queste particelle sono assolutamente prevalenti nell’universo superando di gran lunga l’antimateria.
Tuttavia evidenze teoriche e sperimentali indicano che l’Universo è costituito per il 23% da materia oscura, e soltanto per il 5% circa da materia ordinaria e per il rimanente 72% dalla cosiddetta energia oscura, una forma di energia sconosciuta che si suppone sia responsabile dell’attuale espansione accelerata dell’Universo osservata agli inizi degli anni ’90 del secolo scorso.
Non sappiamo cosa siano la materia oscura e l’energia oscura, ma la loro esistenza potrebbe avere profonde implicazioni sull’universo e sui fenomeni che hanno portato allo squilibrio iniziale che ha dato origine alle strutture che osserviamo.
La fisica quantistica ha dimostrato che tra le particelle esiste una simmetria fondamentale: per ciascuna di esse ne esiste una simmetrica, con la stessa massa, ma dotata di carica elettrica opposta. A ogni particella corrisponde quindi una “antiparticella”:
Come è possibile allora che le particelle di materia ordinaria superano in abbondanza le particelle di antimateria se sono state prodotte in egual misura nei primi istanti di vita dell’universo?
Secondo i fisici e i cosmologi deve essere avvenuto un qualche tipo di fenomeno nelle prime fasi dell’evoluzione del cosmo che ha rotto l’equilibrio esistente tra le particelle di antimateria e quelle di materia, favorendo le ultime. Come ciò sia potuto accadere è ancora avvolto nel mistero più fitto.
Particelle di antimateria e simmetria
Un nuovo studio, proposto da Nick Hutzler (BS ’07), assistente professore di fisica al Caltech, e il suo studente laureato Phelan Yu, e pubblicato sulla rivista Physical Review Letters, prova a penetrare il fitto velo di mistero. Hutzler e Yu, propongono un nuovo metodo per cercare risposte all’enigma della scomparsa dell’antimateria. L’idea dei ricercatori è cercare asimmetrie nel modo in cui la materia ordinaria interagisce con i campi elettromagnetici.
Queste interazioni sono correlate a un tipo di simmetria che si osserva comunemente nelle particelle ed è chiamata parità di carica o CP. Qualsiasi deviazione dalla simmetria CP attesa potrebbe spiegare in che modo la materia ordinaria ha prevalso sulle particelle di antimateria.
Il gruppo di lavoro guidato da Hutzler ha elaborato un modello teorico in grado di calcolare le violazioni della simmetria CP utilizzando una molecola radioattiva chiamata ione monometossido di radio, o RaOCH3 +.
I loro collaboratori alla UC Santa Barbara, guidati da Andrew Jayich, hanno quindi prodotto queste molecole e hanno pubblicato i risultati in un articolo complementare su Physical Review Letters.
I due studi congiunti, dimostrano che le molecole radioattive sono potenzialmente più sensibili rispetto agli atomi non radioattivi utilizzati fino ad ora per studiare la simmetria delle particelle.
Infatti, il miglior metodo utilizzato finora, come spiega Hutzler, che impiega atomi non radioattivi, non presenta le peculiarità delle molecole radioattive.
Le molecole radioattive sono migliori in quanto presentano una asimmetria intrinseca. Il nucleo del radio presenta una distribuzione della carica molto irregolare, e anche questo aiuta.
Il risultato è una maggiore amplificazione da 100.000 a 1.000.000 di volte delle violazioni di simmetria rispetto al metodo precedente.
Generalmente, per cercare violazioni di simmetria nelle particelle, i ricercatori osservano come queste si comportano nei campi elettrici.
Studiano comportamenti anomali che infrangono le regole della simmetria conosciute; per esempio, i fisici hanno predetto che le violazioni della simmetria potrebbero causare la precessione di un elettrone, che oscillerebbe come una trottola, in un campo elettrico.
Le molecole possiedono al loro interno campi elettromagnetici, a causa della loro natura asimmetrica, quindi sono bersagli ideali per questo tipo di ricerca.
L’idea di Hutzler è proprio questa, utilizzare molecole contenenti il radio. Ma ha anche aggiunto che l’isotopo di cui hanno bisogno è estremamente radioattivo e raro e presenta inoltre un’emivita di due settimane (metà della massa del radio decadrà in altri nuclei in sole due settimane, questo è detto anche tempo di dimezzamento).
Il metodo proposto da Hutzler e Yu può essere accoppiato ad altre tecniche nella caccia agli indizi che hanno portato alla scompparsa delle particelle di antimateria.
L’utilizzo delle molecole radioattive può essere utilizzato includendo il neutrone Electric Dipole Moment, o esperimento nEDM, che è in parte realizzato al Caltech da Brad Filippone, e dal Professore di Fisica Francis L. Moseley e dal suo team.
Hutzler ha collaborato con Filippone a questo esperimento come studente universitario al Caltech. L’esperimento nEDM, che alla fine avrà luogo presso l’Oak Ridge National Laboratory tra circa cinque anni, cercherà violazioni della simmetria CP nei neutroni.
“Questo nuovo approccio non è così pulito e diretto come nEDM, ma utilizzando un’intera molecola, abbiamo il vantaggio di essere in grado di rilevare le violazioni di simmetria in una serie di particelle”, ha spiegato Hutzler.
Il metodo che fa ricorso alle molecole radioattive potrebbe aver bisogno di anni per essere sviluppato completamente, ma Hutzler sostiene che si è divertito a concentrarsi sull’aspetto teorico del lavoro.