Sono passati 50 anni dal primo sbarco sulla Luna della missione Apollo 11 che portò due uomini a posare il piede sul grigio e polveroso suolo lunare e questo senza, o quasi, intoppi di rilievo nonostante la missione fosse stata caratterizzata da diverse incognite.
Si, perché la missione era letteralmente ai limiti delle conoscenze e delle possibilità tecnologiche del tempo.
Ma cosa sarebbe successo se “Buzz” Aldrin e Neil Armstrong non fossero tornati sani e salvi dalla luna?
Nulla fu lasciato al caso e ci si preparò anche a un insuccesso. Richard Nixon, all’epoca Presidente degli Stati Uniti, fece preparare un piano segreto, un piano “B” che è diventato parte della storia, anche se, fortunatamente, alla fine andò tutto bene.
Tutti sapevano che l’impresa era al limite dell’umano, compresi gli astronauti che, però, probabilmente non immaginavano minimamente che fosse già pronto un discorso che il presidente Nixon avrebbe letto dallo studio ovale al mondo intero, nel caso che la missione fallisse e gli astronauti fossero morti.
Il testo venne preparato da William Safire, ghostwriter del presidente Usa, il 18 luglio 1969. Il protocollo prevedeva che, prima di leggere pubblicamente il discorso, il presidente in persona avrebbe avrebbe chiamato ciascuna delle due vedove e, una volta terminati i tentativi di comunicazione della Nasa con gli astronauti, un sacerdote avrebbe compiuto il rito funebre previsto per la sepoltura in mare, affidando le anime degli astronauti defunti alle “profondità degli abissi”.
Di seguito, la versione tradotta del testo redatto da William Safire.
“Il destino ha voluto che gli uomini che sono andati sulla Luna per esplorarla in pace rimarranno sulla Luna per riposare in pace.
Questi uomini coraggiosi, Neil Armstrong ed Edwin Aldrin, sanno che non c’è speranza per il loro recupero. Ma sanno anche che c’è speranza per l’umanità nel loro sacrificio.
Questi due uomini stanno donando le loro vite per l’obiettivo più nobile dell’umanità: la ricerca della verità e della conoscenza.
Saranno compianti dalle loro famiglie e dai loro amici; saranno compianti dalla loro nazione; saranno compianti da tutta l’umanità; saranno pianti dalla Madre Terra che ha osato mandare due dei suoi figli verso l’ignoto.
Nella loro esplorazione, hanno unito i popoli del mondo in uno solo; con il loro sacrificio, hanno rafforzato la fratellanza tra gli uomini.
Nei tempi antichi, gli uomini hanno guardato le stelle e hanno visto i propri eroi nelle costellazioni. Nei tempi moderni, noi facciamo lo stesso, ma i nostri eroi sono miti in carne e ossa.
Altri seguiranno e certamente troveranno la loro via di casa. La ricerca dell’Uomo non verrà negata. Ma questi uomini erano i primi, e primi resteranno nei nostri cuori.
Ogni essere umano che guarderà la Luna nella notte saprà che vi è un piccolo angolo di un altro mondo che apparterrà per sempre all’Umanità“.
A preoccuparsi di organizzare un piano in caso di fallimento fu, poco prima della missione, l’astronauta dell’Apollo 8 e collaboratore della Casa Bianca, Frank Borman, chiamando il ghostwriter del Presidente: “Ti conviene prendere in considerazione una posizione differente per il Presidente nel caso di disavventure.” Queste furono le parole che Borman disse a Safire, che ha ricordato il fatto in un’intervista alla NBC nel programma “Meet The Press” il 18 luglio 1999, 20 qanni fa.
All’inizio, a Safire non fu chiaro che cosa Borman intendesse – alla NBC disse che gli sembrò una cosa indecomprensibile – ma poco dopo Borman fu più chiaro. A due giorni dall’inizio della missione sulla Luna — il 18 luglio 1969 — Safire completò la bozza del suo discorso “IN EVENT OF MOON DISASTER” che avrebbe dovuto essere l’epitaffio presidenziale nel caso che i due astronauti della missione Apollo 11 non fossero riusciti a riavviare i motori dell’Aquila, restando impossibilitati a risalire in orbita e ricongiungersi al loro compagno che li attendeva a bordo del modulo di comando. Il plico contente il testo del discorso fu recapitato a H.R. “Bob” Haldeman, il capo dello staff del Presidente Richard Nixon.
Forse mancò poco all’attuazione del piano “B”, infatti, al momento della partenza dalla Luna, Armstrong e Aldrin si accorsero che il pulsante di accensione del propulsore di risalita del modulo Lem era rotto: nella concitazione e a causa delle loro ingombranti tute spaziali, uno dei due astronauti aveva urtato il pulsante spezzandolo di netto alla base.
A quel punto gli ingegneri del centro di controllo di Houston vennero allertati e si misero al lavoro utilizzando un simulatore a grandezza naturale. Dopo diversi tentativi venne escogitato un sistema poco ortodosso, ma quanto mai assolutamente efficace: infilare la punta di una FISHER PEN in dotazione agli astronauti sul moncone dell’interruttore per ottenere il contatto di accensione.
Ci mancò veramente poco, e ancora oggi Buzz Aldrin mostra felice la sua Ag7 Fisher dicendo: “questa penna mi ha salvato la vita!”
Safire, infine, parlando alla NBC aggiunse che il successo delle missioni lunari diede una falsa impressione di sicurezza a quello che la NASA stava cercando di fare e che il disastro della navicella “Challenger” fu una delle tristi conseguenze.
Fonti: bookandtoys.com; http://pochestorie.corriere.it/; http://edu.inaf.it