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Il celacanto, estinto da 70 milioni di anni, riemerge in Indonesia

La comunità scientifica internazionale accoglie con vivo interesse la recente riscoperta del celacanto (Latimeria spp.) nell'arcipelago delle Molucche, Indonesia. Questo vertebrato, a lungo ritenuto estinto da circa 70 milioni di anni, è stato eccezionalmente documentato nel suo ambiente naturale da esploratori sottomarini, evento che riveste una straordinaria importanza per la biologia marina e la comprensione della storia evolutiva

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Un evento straordinario ha scosso il mondo della biologia marina: un “pesce dinosauro“, il celacanto, precedentemente ritenuto scomparso dalla Terra circa 70 milioni di anni fa, è stato nuovamente avvistato. Esploratori sottomarini impegnati in nuove scoperte nell’arcipelago delle Molucche, in Indonesia, hanno avuto l’incredibile opportunità di documentare questa specie enigmatica nel suo habitat naturale.

Il celacanto, estinto da 70 milioni di anni, riemerge in Indonesia
Il celacanto, estinto da 70 milioni di anni, riemerge in Indonesia

Il celacanto indopacifico rivela la sua esistenza

Questa osservazione segna un momento storico, poiché rappresenta la prima volta in cui il celacanto dell’arcipelago delle Molucche, una specie endemica di questa specifica regione indonesiana ( Latimeria menadoensis ), è stato immortalato da una macchina fotografica nel suo ambiente naturale. Questo avviene oltre un decennio dopo la storica scoperta del fotografo subacqueo Laurent Ballesta, che incontrò la specie dell’Oceano Indiano occidentale in Sudafrica.

Questa documentata “ricomparsa” del celacanto è stata parte di una spedizione più ampia, resa possibile dal sostegno di Blancpain, un’azienda con una lunga tradizione nella produzione di orologi subacquei. L’onore di questa sensazionale scoperta è toccato al fotografo ed esploratore subacqueo Alexis Chappuis della UNSEEN Expedition, ora accreditato per aver catturato le prime immagini di questa specie, il celacanto indonesiano, mai realizzate da subacquei nel suo habitat naturale, a circa 145 metri di profondità.

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Il celacanto, spesso definito, seppur in modo impreciso, “fossile vivente” o “pesce dinosauro“, è in realtà noto attraverso fossili risalenti a oltre 400 milioni di anni fa, un periodo ben precedente alla comparsa dei dinosauri. Si credeva estinto fino al 1938, quando un esemplare fu scoperto tra il pescato di un pescatore al largo delle coste del Sudafrica. Questa scoperta fu all’epoca considerata una delle più importanti della storia naturale del XX secolo.

Considerando la sua presunta estinzione per milioni di anni, non sorprende che entrambe le specie di celacanto esistenti figurino nella Lista Rossa IUCN. La Latimeria chalumnae dell’Oceano Indiano occidentale è classificata come “in pericolo critico“, mentre la Latimeria menadoensis indonesiana è considerata “vulnerabile“. La loro natura elusiva e il loro status iconico rendono i celacanti una specie simbolo per sensibilizzare l’opinione pubblica, a livello locale e internazionale, sull’importanza degli sforzi di conservazione.

Nel 2013, Laurent Ballesta, rinomato subacqueo e partner storico del marchio Blancpain, e il suo team furono i primi subacquei a studiare e documentare i celacanti viventi nel loro ambiente naturale. Oggi, Alexis Chappuis, alla guida della spedizione UNSEEN, ha raggiunto un traguardo simile, diventando il primo a fotografare la specie indonesiana. Superando le estreme sfide tecniche delle immersioni profonde con miscele di gas, entrambi i team sono riusciti a catturare immagini uniche in situ delle due specie viventi conosciute di celacanti, rispettivamente a 120 e 145 metri di profondità.

Un’immersione al limite delle possibilità umane

La straordinaria scoperta è avvenuta durante un’immersione profonda mattutina nell’ottobre del 2024. Per raggiungere le profondità abissali, il team ha impiegato rebreather a circuito chiuso e miscele di gas respiratori trimix, riuscendo a toccare i 125 metri sotto la superficie dell’oceano. Gli incontri ravvicinati con il celacanto sono stati fugaci ma intensi, con una durata di circa cinque minuti per la prima immersione e otto minuti per la seconda, prima che i subacquei dovessero iniziare la lunga e delicata fase di risalita.

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La permanenza a tali profondità, seppur limitata a pochi minuti, ha richiesto ai subacquei ore di decompressione. Questo processo cruciale per la sicurezza si è svolto galleggiando a pochi metri dalla superficie, in mare aperto, permettendo al corpo di eliminare gradualmente l’azoto assorbito durante l’immersione.

Dal 2020, Blancpain sostiene attivamente una collaborazione a lungo termine guidata da Alexis Chappuis e UNSEEN Expeditions. Questo impegno vede la partecipazione di partner scientifici internazionali e locali, con l’obiettivo primario di documentare la zona mesofotica, un ambiente marino in gran parte inesplorato. La speranza è quella di identificare potenziali habitat per i celacanti e svelare i segreti di questo ecosistema profondo.

In questo contesto di ricerca e esplorazione, la scoperta del primo celacanto dell’arcipelago delle Molucche assume un’importanza cruciale. Essa aggiunge tasselli fondamentali alla conoscenza della distribuzione della specie indonesiana, Latimeria menadoensis, contribuendo in modo significativo agli sforzi di comprensione e conservazione di questo antico lignaggio evolutivo.

Sebbene nel suo articolo Alexis Chappuis esprima cautela, affermando che è “troppo presto per parlare di una nuova popolazione di celacanto delle Molucche”, riconosce un elemento significativo. Data la posizione geografica dell’arcipelago delle Molucche, situato tra Sulawesi e la Nuova Guinea occidentale, appare improbabile l’esistenza di un singolo individuo isolato in una regione così vasta. “I nostri recenti avvistamenti, uniti al lavoro che abbiamo condotto sugli ecosistemi corallini mesofotici dell’arcipelago delle Molucche dal 2022, confermano non solo la presenza di Latimeria ma anche, più in generale, l’esistenza di habitat adatti al celacanto“, conclude Chappuis, aprendo nuove entusiasmanti prospettive per la ricerca futura.

Un faro di speranza per una specie vulnerabile

Questa recente scoperta rappresenta una notizia incoraggiante per la conservazione di questo vertebrato altamente vulnerabile. Essa rafforza significativamente l’ipotesi che i celacanti indonesiani possano avere un areale di distribuzione più ampio di quanto si pensasse inizialmente, aprendo nuove strade per la comprensione della loro ecologia e delle loro esigenze di habitat.

L’avvistamento sottolinea ulteriormente il ruolo cruciale delle acque dell’Indonesia orientale come un vero e proprio hotspot di biodiversità marina. Ci ricorda con forza la necessità impellente di proteggere gli ecosistemi delicati delle barriere coralline profonde dalle potenziali minacce derivanti dalle attività umane. Questi ambienti unici ospitano una straordinaria varietà di specie endemiche, sensibili e spesso minacciate, tra cui ora sappiamo esserci anche il celacanto.

Alexis Chappuis guarda al futuro con ottimismo, ritenendo che questa spedizione, resa possibile dal sostegno di Blancpain, possa aprire le porte a nuove metodologie di ricerca non invasive sui celacanti indonesiani. Egli auspica che “in futuro dovrebbe essere possibile raccogliere campioni di DNA in situ da esemplari viventi senza doverli danneggiare o catturare, il che fornirebbe informazioni fondamentali sulla natura, la composizione e la ripartizione della Latimeria in Indonesia“. Questo approccio innovativo promette di ampliare la nostra conoscenza sulla specie minimizzando l’impatto sulle popolazioni esistenti.

Nel frattempo, la speranza è che questa sensazionale scoperta possa incoraggiare le autorità locali e nazionali a intensificare gli sforzi di conservazione in questa regione vibrante e ricca di biodiversità. La conferma che queste acque ospitano una delle specie marine più elusive ed emblematiche dell’Indonesia dovrebbe fungere da catalizzatore per una maggiore attenzione e protezione di questo prezioso patrimonio naturale.

La ricerca, intitolata “First record of a living celacanto from North Maluku, Indonesia“, è stata pubblicata sulla rivista scientifica Nature.

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