I collegamenti quantistici spazio-temporali possono essere i fondamenti dell’Universo (parte 1)

Avete avuto difficoltà a capire ed accettare l'entanglement quantistico? Preparatevi, l'entanglement temporale è peggio

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Tradotto e adattato da Quanta Magazine – Emanuele Tumminieri

Nel mese di novembre 2015, durante dei lavori all’interno del Massachusetts Institute of Technology, è stata scoperta una capsula del tempo, con un anticipo di 942 anni rispetto al previsto.

Sepolta nel 1957 e pensata per il 2957, la capsula consiste in un cilindro di vetro riempito con gas inerte in modo da preservarne il contenuto; è stata quindi ricoperta di carbonio-14, per permettere ai ricercatori futuri di confermarne confermare l’anno di sepoltura.

L’evento, pur nella sua unicità, induce a porci una domanda: è possibile avere l’assoluta certezza che un messaggio destinato al futuro non venga letto prima del tempo dovuto?

La fisica quantistica offre un modo per rispondere a questa domanda.

Nel 2012, Jay Olson e Timothy Ralph, due fisici della University of Qeensland in Australia, definirono una procedura per criptare un set di dati in modo che essi potessero essere decriptati solo in uno specifico momento nel futuro.



Il loro modello utilizza l’entanglement quantistico, un fenomeno nel quale delle particelle o dei punti in un campo, come per esempio il campo magnetico, perdono le loro identità separate e iniziano a influenzarsi, in modo che le loro proprietà si correlino fra di loro. Normalmente i fisici ritengono che queste relazioni si estendano nello spazio, collegando dei luoghi distanti in un fenomeno che Einstein descrisse come un’azione spettrale a distanza. Ma la crescente ricerca sul fenomeno sta cercando di comprendere in che modo queste correlazioni possano espandersi nel tempo.

Ciò che accade adesso può essere correlato con ciò che accade dopo, in modi che eludono la semplice spiegazione meccanicistica.

Queste correlazioni mettono in forte dubbio tutte le convinzioni che ci siamo fatti sul tempo e sullo spazio. Non solo due eventi possono essere correlati, in modo che il meno recente sia legato al più recente, ma tale correlazione può anche portare alla situazione in cui non è possibile stabilire quale dei due eventi sia il meno recente e quale il più recente.

Ognuno dei due eventi rappresenta la causa dell’altro, come se ognuno si fosse verificato per primo.

L’idea della capsula del tempo è solo una rappresentazione della forza che hanno queste correlazioni temporali. Esse potrebbero aumentare la velocità dei computer quantistici e rafforzare la crittografia quantistica.

I fisici, invece, sperano che queste correlazioni possano aprire una strada per unificare la teoria quantistica con la teoria della relatività generale di Einstein, che descrive la struttura dello spazio-tempo. Il mondo con cui ci interfacciamo quotidianamente, nel quale gli eventi accadono in un ordine determinato dalla loro localizzazione nello spazio e nel tempo, è solo un sottoinsieme di tutte le possibilità permesse dalla fisica quantistica.

Časlav Brukner, un fisico dell’Università di Vienna che studia l’informazione quantistica dice che se abbiamo lo spazio-tempo, allora abbiamo un ordine causale ben definito. Ma se non si dispone di un ben definito ordine causale – come nel caso degli esperimenti che ha ipotizzato – allora non si può avere lo spazio-tempo.

Alcuni fisici interpretano ciò come l’evidenza di una visione del mondo nella quale le correlazioni quantistiche diventano più fondamentali dello spazio-tempo, e lo stesso spazio-tempo risulta in qualche modo costruito a partire dalle correlazioni tra gli eventi, in ciò che può essere definito un relazionismo quantistico. Questo approccio fa ritornare alla luce l’idea di Leibniz e di Mach secondo i quali lo spazio-tempo non è uno sfondo che Dio ha donato al mondo, ma invece potrebbe derivare dagli stessi contenuti materiali dell’universo.

Per comprendere il fenomeno dell’entanglement nel tempo, è intanto utile comprendere l’entanglement nello spazio, in quanto i due fenomeni sono abbastanza connessi. Nella versione spaziale di un classico esperimento di entanglement, due particelle, per esempio due fotoni, sono preparate in uno stato quantistico condiviso, e quindi vengono inviate in direzioni diverse. Un osservatore A misura la polarizzazione di un fotone e un altro, B, la polarizzazione dell’altro fotone. L’osservatore A può misurare la polarizzazione lungo l’asse orizzontale, mentre B la osserva lungo una diagonale; o viceversa. Le alternative sono infinite.

I risultati di queste misure coincideranno, ma la cosa strana è che essi coincidono anche quando A e B modificano la loro modalità di effettuare le misurazioni – come se la particella di A conoscesse cosa accade alla particella di B, e viceversa. Questo è vero anche quando le particelle non sono connesse – nessuna forza, nessuna onda e nessun piccione viaggiatore. La correlazione sembra violare la localizzazione, la regola per cui gli effetti hanno delle cause, e catene di cause ed effetto devono rimanere ininterrotte nello spazio e nel tempo.

Quando si tratta dell’entanglement riferito al tempo, il caso diventa più difficile da comprendere, in quanto esso coinvolge un solo fotone polarizzato, che viene misurato una prima volta da A e successivamente da B. Invece della distanza spaziale, qui abbiamo un intervallo di tempo. La probabilità che A e B osservino lo stesso risultato dipende dall’angolo tra i polarizzatori, e varia così come nel caso dell’entanglement spaziale. È ovvio che ciò che facciamo prima incide su ciò che accade dopo.

Allo stesso modo, una particella può comunicare con se stessa proiettata nel futuro.

Nel 2009, Robert Spekkens, un fisico che studia i fondamenti della meccanica quantistica al Perimeter Institute for Theoretical Physics a Waterloo, in Canada, ha condotto, con alcuni suoi collaboratori, un esperimento, che andiamo a descrivere.

L’osservatore A prepara un fotone in uno di quattro possibili stati. Classicamente, questi quattro stati possono essere pensati come due bit di informazione. Successivamente l’osservatore B misura la particella in uno di due possibili stati. Se sceglie di misurare la particella nel primo stato, ottiene il primo bit di informazione di A; se sceglie di misurare la particella nel secondo stato, otterrà il secondo stato di A.

Questo risultato si spiegherebbe in maniera ovvia se il fotone contenesse entrambi i bit e ne rilasciasse uno sulla base della scelta di B. Ma se ciò fosse vero, ci si aspetterebbe che l’osservatore B potesse ottenere delle informazioni su entrambi i bit – per esempio poterli misurare entrambi o almeno determinare qualche loro caratteristica come, per esempio, stabilire se sono uguali o differenti. Ma B non è in grado di ottenere queste informazioni. Nessun esperimento permette di avere informazioni su due bit contemporaneamente; è una restrizione imposta dal teorema di Holevo, che pone un limite superiore alla quantità di informazione che può essere contenuta in un sistema quantistico. Essenzialmente, esso afferma che un qubit (bit quantistico) può contenere al massimo un bit di informazione. Sembra che i sistemi quantistici abbiano una memoria superiore rispetto a quella cui possiamo accedere.

Apparentemente il fotone sembra contenere un solo bit ed è come se la scelta fatta dall’osservatore B avesse influito retroattivamente su quale fosse il bit. Può darsi che sia così, ma questo è assimilabile a un viaggio nel tempo – fatto su presupposti limitati, che comprendono la capacità di determinare la natura del bit, negando però ogni prospettiva sul futuro.

Presso l’Università di Cambridge, un gruppo di ricerca guidato da Stephen Brierley ha studiato un altro esempio di entanglement temporale, facendo intersecare l’entanglement con l’informazione e il tempo.

Se A e B scelgono solo da due direzioni polarizzate, le correlazioni che essi vedono sono spiegate da una particella che trasporta un singolo bit. Ma se A e B scelgono da un set di otto possibili direzioni e misurano/rilevano la particella 16 volte, vedranno delle correlazioni che un singolo bit di memoria non può spiegare. Tomasz Paterek, uno dei collaboratori di Brierley, spiega che il modo in cui A tratta la particella all’inizio dell’esperimento è correlato a ciò che vede B alla fine dello stesso

Ciò non è facilmente spiegabile. Questa situazione potrebbe essere chiamata supermemoria.

Cosa è che rende la fisica quantistica così diversa da quella classica, tanto da dotare le particelle di supermemoria?

Le risposte dei ricercatori non sono tutte convergenti. Alcuni affermano che la chiave sta nel fatto che le misurazioni quantistiche vanno inevitabilmente a disturbare la particella. Per definizione, un disturbo è qualcosa che influenza le misure successive. In questo caso, il disturbo conduce alla correlazione prevista.

Nel 2009, Michael Goggin, allora ricercatore dell’Università di Queensland, ha elaborato un esperimento per cercare di risolvere il problema. In questo esperimento si è pensato di correlare spazialmente una particella con un’altra del suo stesso tipo e di effettuare le misure sulla particella correlata piuttosto che su quella originale.

La misura sulla particella omologa va a influenzare la particella originale (perché le due sono correlate), ma i ricercatori sono in grado di controllare quanto la particelle originale venga influenzata, variando il livello di entanglement.

Da una parte quindi si è disposti ad accettare una minore affidabilità della conoscenza dello sperimentatore; i ricercatori però compensano questa minore affidabilità testando diverse coppie di particelle e aggregando i risultati in un modo particolare.

Il gruppo di Goggin è riuscito ad azzerare il disturbo apportato sulla particella originale. Le misure effettuate in tempi diversi sono risultate ancora correlate.

In effetti, le due particelle apparivano più correlate rispetto a quando le misure disturbavano maggiormente la particella originale. Pertanto, la questione della supermemoria delle particelle rimane un mistero.

Per adesso, alla domanda del perché le particelle quantistiche producono delle forti correlazioni temporali, i fisici sono portati a rispondere: “Perchè è così!“.

[Continua]

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