Quando pensiamo alla ricerca della vita extraterrestre inevitabilmente diamo per scontato che ci riferiamo ad essa come specie senzienti. Soltanto forme di vita intelligente possono infatti progettare viaggi interstellari o emettere e ricevere comunicazioni dallo spazio profondo.
In realtà la vita che cerchiamo potrebbe manifestarsi in forme elementari e comunque prive di quella particolarissima e speciale qualità che definiamo intelligenza. Questa eventualità potrebbe quindi configurarsi come la migliore risposta al paradosso di Fermi: non abbiamo registrato alcun contatto con alieni senzienti semplicemente perché la vita intelligente è un evento rarissimo nell’universo.
Sulla Terra hanno vissuto circa 50 miliardi di specie ma soltanto una è stata in grado di allunare sul nostro satellite e costruire una civiltà scientificamente e tecnologicamente evoluta. Per capire però se questa può essere la spiegazione “vincente” del paradosso del grande fisico italiano, dobbiamo cercare di rispondere ad almeno due questioni fondamentali: che cos’è l’intelligenza e come si è evoluta l’intelligenza di tipo umano.
Cos’è l’intelligenza
Definire l’intelligenza umana è un compito più proibitivo di quanto si possa comunemente pensare. Non sono certamente alcune capacità che possiedono ampi livelli di astrazione o di abilità necessarie alla sopravvivenza che possono definire cos’è l’intelligenza. Per capire la presunta unicità dell’intelligenza umana potremmo cercare di confrontarla con l’intelligenza animale.
Se è complicato definire questa qualità nell’essere umano lo è però ancor di più quando la vogliamo applicare al regno animale. Se chiediamo ad una persona di fare una sorta di classifica degli esseri viventi più intelligenti dopo l’uomo quasi certamente verranno indicate le scimmie, ed a seguire cani, gatti, delfini ed in fondo alla scala uccelli, roditori e negli ultimi posti di questa ipotetica classifica serpenti, insetti etc.
Si tratta di una graduatoria affetta da un eccesso di antropocentrismo. In altre parole ci piace credere che i nostri parenti più prossimi (le scimmie) siano piuttosto intelligenti, i nostri animali domestici piuttosto svegli e gli animali che non ci piacciono o addirittura ci fanno orrore, decisamente stupidi.
In realtà noi e tutti gli animali condividiamo lo stesso processo evolutivo a partire dall’enigmatico antenato comune che circa 65 milioni di anni fa ha dato il via alla biodiversità animale. Tutte le specie, tranne quelle estinte, hanno superato brillantemente il duro “pedaggio” imposto dalle leggi dell’evoluzione: sopravvivere.
Tentare di misurare le capacità cognitive dell’uomo è molto difficile, per gli animali rasenta l’impossibile. Immaginiamo di riuscire a creare dei test cognitivi che tengano conto del numero maggiore di variabili interspecifiche immaginabili e di tararli sulle diverse abilità fisiche degli animali (un test per i piccioni e per gli scimpanzé dovrebbe necessariamente essere diverso).
Ebbene scopriremmo che la maggior parte degli animali realizza gli stessi risultati attesi con minime differenze tra specie e specie. Gli scimpanzé ricordano circa 7 oggetti di una lista alla volta, lo stesso numero i piccioni, volatili che nell’immaginario collettivo sono la rappresentazione della stupidità animale.
Le scimmie distinguono rapidamente se il mucchietto A di cibo ne contiene di più del mucchietto B, ma la stessa abilità è propria dei gatti. D’altra parte quando ci riferiamo all’intelligenza animale dobbiamo considerare non soltanto il cervello ma anche i sensi e le capacità manipolatorie come elementi specializzati di questa qualità. La capacità di apprendimento sembra infatti essere specializzata in molti animali che apprendono rapidamente un certo compito ma si trovano nell’impossibilità di apprenderne uno simile attraverso un percorso logico.
L’intelligenza generica e quella specializzata potrebbero essere due facce della stessa medaglia. Gli esseri umani quando svolgono compiti basilari e non verbali non dimostrano capacità cognitive sensibilmente superiori alla maggior parte degli animali.
D’altra parte è incontestabile che solo Homo Sapiens è in grado di speculare sui propri pensieri e su quelli di altro membro della nostra specie. L’uomo è l’unico essere vivente terreste che si pone domande sulla natura dell’intelligenza, sulla sua classificazione e su cosa ciò significa. E’ possibile quindi che questa peculiare intelligenza sia nata da pochi e peculiari fattori che ne fanno un “prodotto” rarissimo nell’universo.
Come si è evoluta l’intelligenza umana
Non siamo sempre stati così intelligenti. E’ indubitabile che tra i nostri primi antenati e gli uomini del ventunesimo secolo c’è un profondo gap intellettivo. Per molto tempo si è correlata la crescita dell’intelligenza nel rapporto tra la capacità cranica e le dimensioni del corpo. Se l’evoluzione delle nostre capacità intellettive dipendesse da questo rapporto niente impedirebbe nello sconfinato universo di imbatterci in altre specie senzienti che hanno avuto ancora più tempo nel processo evolutivo e quindi potenzialmente dotati di un’intelligenza molto superiore alla nostra.
Le cose però non sono così semplici. Il grafico che risulta dal rapporto tra capacità cranica e dimensioni del corpo si attaglia per la nostra specie mentre per un alieno senziente altre parti del corpo potrebbero costituire le basi di un grafico altrettanto efficace. Se cerchiamo tendenze evoluzionistiche dobbiamo prendere in considerazione tutti i dati. Ed allora constateremmo che non esiste una linea direzionale unica nello sviluppo dell’intelligenza. A secondo delle pressioni ambientali una specie può diventare più intelligente o più stupida. Per molte specie nel corso del tempo è stato più utile diventare progressivamente più complesse, per altre come i vermi parassiti è stato più utile invece regredire.
Esistono specie che hanno raggiunto livelli di intelligenza maggiori una volta che si sono separati dalla stessa linea evolutiva? L’ultimo antenato comune tra uccelli ed esseri umani visse circa 310 milioni di anni fa ed aveva un basso rapporto tra cranio e dimensioni corporee. Ebbene entrambe le specie una volta separatesi hanno visto accrescere progressivamente la loro intelligenza.
Lo stesso è avvenuto per l’ultimo antenato comune tra uomo e delfino. Il caso degli uccelli è molto interessante ai fini del nostro ragionamento. Nel 2013 gli scienziati hanno determinato che i corvi sono in grado di gestire il ragionamento astratto attraverso il nidopallium caudolaterale. Come gli umani possono raggiungere la soluzione di un quesito astratto ma lo fanno usando una struttura cerebrale completamente diversa.
D’altra parte anche se volessimo considerare corvi e delfini animali con una viva intelligenza nessuna di queste due specie (e delle altre decine di migliaia che popolano la terra) ha sviluppato un linguaggio simbolico, tecnologie sofisticate, prodotto una cultura complessa ed astratta come Homo Sapiens. Né i delfini né i corvi hanno costruito un radiotelescopio.
Qualcuno sostiene che se l’essere umano venisse spazzato via dalla faccia della Terra si potrebbe verificare lo scenario che prende il nome dal blockbuster hollywoodiano “Il pianeta delle scimmie”. Senza più “l’oppressione umana” una specie animale potrebbe evolvere nel corso del tempo verso un’intelligenza evoluta.
Questa accattivante teoria urta con i risultati di 4 miliardi di anni di evoluzione terrestre. L’intelligenza, o perlomeno il livello umano di questa qualità, non si è sviluppata in nessuna delle altre 50 miliardi di specie che hanno popolato la Terra.
In conclusione miliardi di anni di evoluzione hanno prodotto una sola specie Homo Sapiens in grado di costruire un radiotelescopio o progettare astronavi e sonde in grado di viaggiare nel sistema solare. Perché dovremmo supporre che alieni con cui non condividiamo la stessa linea evolutiva abbiano un’intelligenza adatta a comunicare o viaggiare tra le stelle?
Forse la spiegazione al paradosso di Fermi è tutta qui.