Uno dei misteri più inquietanti emersi grazie al telescopio spaziale James Webb è questo: nell’universo primordiale — appena 300 milioni di anni dopo il Big Bang — esistevano già galassie massicce ed evolute.
La cosa non dovrebbe essere possibile. Secondo i modelli standard della cosmologia, servono centinaia di milioni o addirittura miliardi di anni perché si formino strutture così complesse.
Eppure, il Webb le ha viste. Sono lì. E nessuno sa bene come.
Il paradosso del tempo cosmico
La scoperta di queste galassie “troppo antiche” ha mandato in crisi una parte della comunità scientifica. Se i dati sono corretti, vuol dire che:
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la formazione delle prime stelle e galassie è avvenuta molto prima del previsto,
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oppure che ci stiamo sbagliando su cosa stiamo osservando.
E qui entra in gioco l’ipotesi proposta da un gruppo di scienziati guidato da Anna de Graaff del Max Planck Institute:
E se quelle che crediamo galassie, fossero in realtà stelle gigantesche che nascondono buchi neri al loro interno?
Cosa ipotizzano gli scienziati
La teoria proposta è affascinante. Secondo questo modello, esisterebbero oggetti mai osservati prima: stelle-buco nero, o meglio:
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corpi molto più grandi di una stella normale,
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con un buco nero attivo al centro,
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avvolti da un enorme involucro di gas denso e caldo, che “maschera” la vera natura dell’oggetto.
Il buco nero, inghiottendo materia, genera luce ed energia. Ma questa luce non esce liberamente: viene filtrata e distorta dal gas che la circonda. Il risultato, per un telescopio lontano come il Webb, sembra la luce di una galassia evoluta… ma potrebbe non esserlo.
Perché è importante
Se l’ipotesi fosse corretta, spiegherebbe molte cose:
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Le galassie “anziane” osservate dal Webb potrebbero non essere galassie, ma questi oggetti ibridi, mai considerati prima.
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I buchi neri supermassicci al centro delle galassie moderne potrebbero essersi formati proprio da queste stelle-buco nero.
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Il modello attuale sull’evoluzione dell’universo dovrebbe essere aggiornato, non cancellato — ma certo profondamente riconsiderato.
Ma è una scoperta?
No.
È un’ipotesi, una proposta teorica che spiega i dati meglio di altri modelli, ma che non è ancora stata dimostrata. Nessuno ha “visto” una stella con un buco nero al centro. I ricercatori hanno semplicemente preso i dati di uno strano oggetto chiamato The Cliff (uno dei famosi “Little Red Dots” osservati dal Webb) e hanno provato a spiegare il suo spettro con un nuovo modello.
E sorprendentemente… funziona.
Ma per passare dall’ipotesi alla scoperta servono:
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nuove osservazioni,
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analisi in più bande di frequenza (infrarosso, raggi X, radio),
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e soprattutto conferme indipendenti.
Conclusione: idee radicali per problemi radicali
Ogni tanto, la scienza si trova davanti a qualcosa che non torna. Le galassie “anziane” nell’universo giovane sono uno di questi casi.
In momenti così, servono idee nuove, anche se sembrano estreme. Non perché dobbiamo credere alla prima ipotesi spettacolare, ma perché dobbiamo esplorare tutte le possibilità, anche quelle che vanno oltre i modelli tradizionali.
Forse non scopriremo davvero che dentro alcune stelle ci sono buchi neri.
Ma anche solo provare a immaginarlo ci aiuta a guardare l’universo con occhi più liberi.
E chissà: magari, stavolta, l’idea folle è quella giusta.
Lo studio è stato pubblicato su Astronomy & Astrophysics.
