Fusione nucleare all’interno del Sole. Dai neutrini gli ultimi dettagli

Questo rilevamento conferma delle previsioni teoriche ipotizzate già da qualche decennio, secondo le quali un po' di energia solare viene generata da una catena di reazioni che coinvolgono i nuclei del carbonio e dell’azoto.

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Attraverso il rilevamento dei neutrini emessi dall’interno del Sole, i fisici sono riusciti a dare una spiegazione più dettagliata di come la fusione nucleare alimenta la stella.

Questo rilevamento conferma delle previsioni teoriche ipotizzate già da qualche decennio, secondo le quali un po’ di energia solare viene generata da una catena di reazioni che coinvolgono i nuclei del carbonio e dell’azoto. Con questa reazione vengono fusi quattro protoni per formare un nucleo di elio, il quale a sua volta rilascia due neutrini – le particelle elementari più leggere finora conosciute – più altre particelle subatomiche e un’abbondante quantità di energia.

Questa reazione carbonio – azoto (CN) non è l’unica reazione di fusione che avviene all’interno del Sole; essa produce meno dell’1% dell’energia solare. Ma si pensa che essa rappresenti la maggiore sorgente di energia nelle stelle più grandi. I risultati segnano il primo rilevamento diretto di neutrini da questo processo.

Le scoperte, effettuate nell’ambito dell’esperimento sotterraneo Borexino, effettuato nei laboratori del Gran Sasso (Italia Centrale), sono state segnalate lo scorso 23 giugno durante la conferenza Neutrino 2020.

Nei laboratori del Gran Sasso si è realizzato il primo rilevamento diretto di neutrini da tre distinti passaggi di una reazione separata, la cosiddetta catena protone-protone, che fornisce il maggior contributo ai processi di fusione che avvengono all’interno del Sole. Gioacchino Ranucci, un fisico dell’Università di Milano, portavoce per l’esperimento Borexino, ha affermato che il risultato raggiunto dall’esperimento ha permesso di svelare completamente i due processi che alimentano il Sole.



Le scoperte rappresentano una pietra miliare finale per l’esperimento Borexino, che, anche se sta ancora acquisendo dati, potrebbe concludere la propria attività entro un anno.

L’esperimento Borexino, volto allo studio dei neutrini solari a bassa energia e attivo dal 2007, è stato effettuato all’interno di una stanza sotto più di un chilometro di roccia presso i Laboratori Nazionali del Gran Sasso vicino L’Aquila, nel centro Italia. Il rilevatore è costituito da un enorme pallone di nylon riempito con 278 tonnellate di idrocarburi liquidi, immerso in acqua. La maggior parte dei neutrini provenienti dal Sole attraversano la Terra – e quindi anche Borexino – in linea retta, ma una piccola quantità di questi neutrini rimbalza sugli elettroni degli idrocarburi, producendo dei lampi di luce che sono raccolti da sensori di fotoni che rivestono il serbatoio dell’acqua.

I neutrini provenienti dalla catena di reazione carbonio-azoto (neutrini CN) sono relativamente rari, in quanto questa reazione è responsabile solo di una piccola frazione della fusione solare. Inoltre, è facile confondere i neutrini CN con quelli prodotti dal decadimento radioattivo del bismuto-210, un isotopo che fuoriesce dal nylon del pallone nella miscela degli idrocarburi.

Sebbene questa contaminazione si verifichi in concentrazioni molto basse – non più di una dozzina di nuclei di bismuto decadono in un giorno all’interno di Borexino – la separazione del segnale solare dal rumore dovuto al bismuto ha richiesto un accurato impegno iniziato nel 2014. Non è stato possibile impedire al bismuto-210 di fuoriuscire dal pallone, quindi l’obiettivo era quello di rallentare la velocità con cui l’elemento filtrava all’interno del fluido, e contemporaneamente ignorare i segnali dal bordo esterno.

Per raggiungere questo obiettivo, il gruppo ha dovuto controllare gli sbalzi di temperatura attraverso il contenitore, che avrebbero potuto produrre effetti convettivi e accelerare quindi la miscela delle sostanze in esso contenute. L’obiettivo era quello di mantenere il liquido il più stabile possibile, con una possibilità di movimento di pochi decimi di centimetro nell’arco di un anno.

Per mantenere gli idrocarburi a una temperatura costante e uniforme, i ricercatori hanno avvolto tutto il contenitore con una coperta isolante e hanno installato degli scambiatori di calore per bilanciare automaticamente la temperatura nell’ambiente circostante. Solo nel 2019 il rumore dovuto al bismuto ha raggiunto una stabilità tale da poter finalmente individuare solo i segnali provenienti dai neutrini. E quindi nel 2020, i ricercatori hanno raggiunto la quantità di particelle sufficiente a dichiarare di aver rilevato i neutrini direttamente dalla catena della fusione nucleare carbone-azoto (catena CN).

Aldo Serenelli, un astrofisico dell’Istituto di Scienze Spaziali di Barcellona, impegnato nell’esperimento Borexino, sottolinea che si è trattata della prima evidenza che l’idrogeno che brucia attraverso la reazione CN opera nelle stelle.

Oltre a confermare le previsioni teoriche su ciò che provvede ad alimentare il Sole, il rilevamento di neutrini CN potrebbe aprire degli spiragli sulla struttura del suo interno – con particolare riferimento alla concentrazione di elementi che gli astrofisici chiamano metalli (ovvero tutto ciò che è più pesante dell’idrogeno e dell’elio).

La quantità di neutrini osservati attraverso l’esperimento Borexino sembra essere in accordo con i modelli standard secondo i quali la quantità di elementi metallici all’interno del Sole è simile a quella della sua superficie. Ma alcuni studi più recenti sembrano mettere in discussione questo assunto, ipotizzando una minore concentrazione di elementi metallici dentro la superficie del Sole.

E poiché questi elementi metallici regolano la velocità di diffusione del calore dall’interno del Sole, se ne deduce che questa zona sia leggermente più fredda di quanto precedentemente stimato. La produzione di neutrini risente molto della temperatura e, presi insieme, le varie quantità di neutrini osservati nel Borexino sembrano concordare più con i valori delle concentrazioni metalliche ricavati negli esperimenti precedenti che con quelli dedotti dagli ultimi.

Quindi, secondo il team del Borexino, l’interno deve contenere una concentrazione di metalli più alta rispetto agli strati esterni. La sua composizione potrebbe fornire nuove spiegazioni sui primi momenti di vita del Sole, prima che la formazione dei pianeti rimuovesse alcuni dei metalli che si stavano accumulando sulla giovane stella.

Fonte: nature.com 

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