Ci sono circa 61.000 meteoriti sulla Terra, o almeno così è stato dimostrato. Di questi, circa 200 sono molto “speciali” poiché provengono da Marte. Quei 200 meteoriti sono stati importanti indizi che ci hanno raccontato la storia della formazione di Marte nel primo Sistema Solare.
Sappiamo che Marte era un posto molto diverso in passato. Le superfici più antiche di questo pianeta mostrano segni di acqua, attività vulcanica e impatto di planetesimi, che sono definiti come proto-pianeti con un diametro di circa 1930 km. Ma molti degli indizi sulla formazione di Marte, fatta eccezione per i meteoriti, furono cancellati col passare di molti anni.
Alcuni impatti su Marte furono abbastanza potenti da espellere le meteore nello spazio e alcune di quelle meteore colpirono la Terra sotto forma di meteoriti. Quei meteoriti contenevano grandi varietà di elementi come il tungsteno e il platino. Questi ultimi, hanno un’affinità con il ferro. Infatti, durante la formazione di Marte, tungsteno e platino si sarebbero fusi insieme al ferro nel nucleo del pianeta.
I meteoriti marziani che sono stati trovati sulla Terra, erano campioni della crosta marziana al momento dell’impatto. Dato che il tungsteno e il platino non erano presenti nella crosta al momento dell’urto, poiché si erano fusi nel nucleo, dovevano provenire da qualche altra parte.
Un nuovo studio afferma che il tungsteno e il platino nei meteoriti provenivano dalla crosta dei planetesimi che hanno colpito Marte e non dalla crosta originale del pianeta. Marte dunque impiegò più tempo a formarsi e, durante quel periodo, i planetesimi si schiantarono sul pianeta, creando la crosta che è stata campionata dai meteoriti.
Lo studio si intitola “A compositionally heterogeneous martian mantle due to late accretion”. L’autore principale è Simone Marchi del Southwest Research Institute (SwRI). L’articolo è pubblicato sulla rivista Science Advances.
Se i planetesimi hanno depositato il tungsteno e il platino sulla superficie marziana, significa che questi planetesimi hanno colpito Marte dopo che il pianeta si era raffreddato e il nucleo primario si era già formato. Dunque, Marte ha impiegato più tempo a formarsi di quanto si pensasse inizialmente.
In precedenza, le prove sembravano dimostrare che Marte si fosse formato in circa 2-4 milioni di anni. Ma questa conclusione si basava molto sui meteoriti marziani e sul loro rapporto di isotopi di tungsteno.
“Sapevamo che Marte avesse ricevuto elementi come il platino e l’oro dalle grandi collisioni. Per studiare questo processo, abbiamo eseguito simulazioni di impatto dell’idrodinamica delle particelle levigate“, ha dichiarato il dott. Simone Marchi. “Sulla base del nostro modello, le prime collisioni produssero un manto marziano eterogeneo. Questi risultati suggeriscono che la visione prevalente della formazione di Marte potrebbe essere distorta dal numero limitato di meteoriti disponibili per lo studio“.
Il team ha dimostrato che i rapporti isotopici del tungsteno nei meteoriti hanno portato alla conclusione che Marte si formò in circa 2-4 milioni di anni. Le collisioni dei planetesimi, avrebbero potuto alterare il rapporto del tungsteno nella crosta di Marte, e ciò suggerirebbe che, in realtà, ci sarebbero voluti fino a 20 milioni di anni per la formazione di Marte.
Uno dei problemi con i meteoriti marziani è che non si sa esattamente da quale parte di Marte vengano e non si sa se nemmeno se sono un campione dell’intera crosta o se provengono da zone limitate.
In definitiva, la difficoltà a comprendere la formazione di Marte deriva dalla mancanza di campioni. I meteoriti marziani, sebbene scientificamente interessanti, non sono un campione rappresentativo.
“Speriamo che le future missioni su Marte restituiscano altri campioni per lo studio”. Con quelli a portata di mano, gli scienziati saranno in grado di farsi un’idea di quanto, ad oggi, sia variabile il numero delle rocce ferrose nella crosta marziana.
Questo a sua volta li aiuterà a comprendere meglio la storia della formazione del pianeta.”Per comprendere appieno Marte, dobbiamo comprendere il ruolo svolto dalle prime e più energiche collisioni nella sua evoluzione e composizione“, ha concluso Marchi.