Dove sono tutti quanti #6 Capitolo Finale

Questo articolo è  il  capitolo conclusivo della serie dedicata al paradosso di Fermi e fornisce un ulteriore spiegazione al quesito posto dal grande scienziato italiano.

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Questo articolo è il capitolo conclusivo della serie dedicata al paradosso di Fermi e fornisce un ulteriore spiegazione al quesito posto dal grande scienziato italiano.

Nel corso dei precedenti post abbiamo potuto constatare come le condizioni che hanno fatto della Terra un habitat ideale per lo sviluppo della vita biologica e della sua conseguente evoluzione verso almeno una specie senziente siano, per quanto ne sappiamo, del tutto particolari.

Dalla posizione del Sistema Solare all’interno della nostra galassia, alle caratteristiche del Sole, dalle speciali “proprietà” della Terra stessa, alla sua meravigliosa atmosfera.

Potremmo continuare approfondendo altri aspetti legati all’evoluzione della vita sul nostro pianeta che farebbero pensare, sommati a quanti sommariamente citati poc’anzi, che la nascita della vita sia cosi legata ad una serie di fattori e di coincidenze del tutto particolari, se non uniche, da rendere estremamente improbabile il suo sviluppo in altri pianeti, anche a livello semplicemente multicellulare, figuriamoci in forma di una specie complessa ed intelligente.

Siamo allora davvero soli nell’universo?

Probabilmente no. Anche per limitarci alla Via Lattea, l’enorme spazio, popolato da qualcosa come 300 o 400 miliardi di stelle e da innumerevoli pianeti fa pensare che sia difficile che la vita si sia sviluppata soltanto sulla Terra. Sarebbe uno spreco di spazio intollerabile ed ingiustificato.

Ma allora se non siamo l’unica specie intelligente della nostra galassia e sicuramente dell’Universo perchè non è stato captato alcun segnale e tantomeno nessuno è venuto a visitarci?

Qui il paradosso di Fermi ha numerose, solide e ragionevoli risposte. Proviamo ad elencarne alcune:

Le leggi della fisica sono uguali in qualunque punto dell’universo, questo è un assioma al momento incontrovertibile.
La prima risposta sta proprio, quindi, nell’enorme distanza che potrebbe separarci da un’altra razza senziente e dal tempo che una civiltà impiega a sviluppare quelle conoscenze scientifiche e tecnologiche in grado di affrontare comunicazioni e viaggi interstellari.

La civiltà umana è partita dalla comparsa di Homo sapiens, il cosiddetto “uomo moderno”, circa 200 000 anni fa, ma se consideriamo soltanto quella parte di essa nei quali i progressi culturali, scientifici e tecnologici sono stati apprezzabili, essa non ha più di 5-6000 anni, un periodo di tempo che su base cosmologica è insignificante.

E questi 5 o 6000 anni non sono stati sufficienti a condurci verso un’effettiva esplorazione spaziale. Siamo stati sulla Luna, forse tra venti o trent’anni saremo su Marte, abbiamo spedito nel 1977 due sonde Voyager che si stanno apprestando soltanto ora a imboccare i confini del Sistema Solare.

Immaginiamo adesso una razza aliena, più evoluta di noi, che si è sviluppata sulla parte opposta della nostra galassia, diciamo a circa 40.000 anni luce dalla Terra. Immaginiamo ancora che questa civiltà padroneggi una qualche forma di ibernazione e che un pugno di coraggiosi “pionieri alieni” si appresti ad un viaggio di esplorazione. Immaginiamo infine, che questa formidabile razza aliena padroneggi la ragguardevole velocità di propulsione delle loro astronavi pari ad un quarto della velocità della luce (ricordiamo che nessun corpo dotato di massa può andare alla velocità della luce).

Ebbene questi alieni impiegherebbero qualcosa come 160.000 anni per giungere fino a noi. Un tempo lunghissimo durante il quale la nostra specie e la nostra civiltà potrebbe già essere estinta da tempo.

Non molto meglio andrebbe se si limitassero ad inviarci un messaggio alla velocità della luce, 40.000 anni è un bel “pacchetto” di tempo.

Ma le cose potrebbero andare ancora peggio, se la razza aliena intelligente, ad esempio, popolasse uno dei pianeti, della più vicina galassia alla Via Lattea: Andromeda. Qui la distanza si misura in 2,538 milioni di anni luce dalla Terra.

Bastano questi grossolani esempi per capire quanto spazio e quanto tempo ci separano da un’altra intelligenza aliena. Troppo per sperare in qualsiasi contatto, almeno di non riuscire in un lontano futuro a padroneggiare un ponte di Einstein-Rosen, scorciatoie al momento previste soltanto dalla teoria e senza obiettive conferme sperimentali.

Ma c’è di più.

Un’altra possibile risposta al paradosso di Fermi è nella teoria del “Grande Filtro”.

Elaborata nel 1998 dall’economista statunitense Robin Hanson come una sorta di barriera che inibisce lo sviluppo di civiltà extraterrestri durevoli nel tempo, l’ipotesi del Grande Filtro può essere applicata anche alla civiltà umana.
Secondo questa teoria il percorso evolutivo di una specie senziente prevede nove “passaggi”:

1) Il giusto sistema stellare ed un pianeta abitabile
2) Qualcosa di riproduttivo (ad esempio l’RNA)
3) Semplici forme di vita unicellulare (procarioti)
4) Complesse forme di vita unicellulare (archei ed eucarioti)
5) La riproduzione sessuale
6) Forme di vita pluricellulari
7) Forme di vita complesse con grandi cervelli (sviluppo dell’intelligenza)
8) Attuale livello dell’umanità
9) Colonizzazione al di fuori del proprio pianeta di origine di tipo esponenziale

Secondo Hanson nello sviluppo di una civiltà evoluta esiste all’interno di questa scala una sorta di Grande Filtro che di fatto darebbe la risposta più convincente al paradosso del grande fisico italiano. Nel nostro caso certamente il punto nove, che è quello che l’economista americano ritiene il più invalicabile di tutti.

La colonizzazione dell’Universo viene vista come passaggio finale ineluttabile a causa dell’avanzamento tecnologico di qualunque civiltà intelligente. Se una specie intelligente non è arrivata a quest’ultimo passaggio, significa che essa si è estinta durante uno degli otto passaggi precedenti.

E qui tornano ancora in ballo le immense distanze spazio temporali che abbiamo brevemente affrontato precedentemente.

Se vogliamo essere ottimisti, quindi, altre forme di vita intelligenti esistono senz’altro in un’universo cosi sterminato (la natura non fa niente per caso) ma la sua immensità ci induce a pensare che non verremo mai in contatto con loro.