Il sistema di propulsione Direct Fusion Drive potrebbe portare gli esseri umani su Nettuno in meno di 10 anni con un carico utile di 1,5 tonnellate.
Il sistema di propulsione Direct Fusion Drive verrà messo in funzione una volta posizionato il veicolo spaziale in orbita e lo accelererà fino a una velocità di 44 Km al secondo. Una volta raggiunta l’orbita il veicolo spaziale potrebbe effettuare esperimenti su Nettuno e sugli oggetti transnettuniani (TNO) o pianeti nani esterni come Makemake, Eris e Haumea.
Cos’è il Direct Fusion Drive?
Il DFD o Direct Fusion Drive è un sistema di propulsione spaziale basato su un reattore nucleare il cui concetto è stato sviluppato dal Princeton Plasma Physics Laboratory e Princeton Satellite Systems che utilizza deuterio puro come combustibile per generare sia la spinta che l’energia elettrica per alimentare il veicolo spaziale.
In un documento pubblicato sul server di preprint arXiv, scienziati provenienti da Stati Uniti, Italia e Russia spiegano come funziona il DFD.
Il Direct Fusion Drive utilizza un propellente che viene ionizzato, poi incanalato in una sezione del propulsore dotata di un potente campo magnetico. In questa sezione il propellente scorre attorno al core del motore, all’interno del quale avviene la reazione di fusione nucleare che riscalda il propellente.
Quindi, il propellente ad alta temperatura si espande e viene incanalato in un ugello magnetico, producendo la spinta.
Direct Fusion Drive: le tre fasi
Il viaggio verso confine esterno del sistema solare, avviene in tre fasi. Nella prima fase il veicolo propulso dal Direct Fusion Drive si stacca dall’orbita terrestre compiendo un movimento a spirale che gli consente di accumulare velocità. Questo, ovviamente, dopo essere stato lanciato dalla superficie in maniera convenzionale.
La seconda fase è il volo interplanetario, dove la spinta raggiungerà la velocità massima. La cosa interessante di progetti come il DFD per l’impiego nello spazio esterno è che una quantità relativamente piccola di spinta si somma nel tempo e si accumula producendo una velocità finale molto elevata.
La velocità può essere regolata utilizzando un periodo di accelerazione più lungo che, per i pianeti nani più lontani, sarà più lungo che, per esempio, Marte, sostengono gli scienziati che hanno partecipato al progetto.
La terza fase, infine, è quella del rendezvous, cioè quando il veicolo spaziale rallenterà e si posizionerà in orbita attorno al pianeta di destinazione. Il progetto non contempla le modalità di trasporto del carico utile dall’orbita alal superficie del pianeta, infatti gli scienziati sottolineano che l’obiettivo di questo documento non è quello di spiegare come trasportare il carico utile dall’orbita alla superficie del pianeta: il documento prende in esame solamente il Direct Fusion Drive e la complessa matematica richiesta dal lungo viaggio interplanetario.
I vantaggi del DFD
Il vantaggio di utilizzare un Direct Fusion Drive secondo gli scienziati è chiaro, questo tipo di propulsione l’opzione più interessante per viaggiare nello spazio profondo. Senza un sistema come il Direct Fusion Drive, probabilmente non saremo mai in grado di fare un viaggio cosi lungo e impegnativo, a meno che qualcosa di nuovo non emerga dalle da altre ricerche.
In una delle sue configurazioni più piccole, come quella presentata in questa nuova ricerca, la sua spinta sarebbe paragonabile a quella dei propulsori elettromagnetici ad alta potenza più promettenti, ma l’impulso specifico sarebbe più elevato. Questo vuol dire che che a parità di dimensioni e carico utile, il Direct Fusion Drive funzionerà in modo simile a un propulsore elettromagnetico più potente.
Avere delle opzioni di questo tipo potrebbe fare la differenza tra una missione riuscita su Nettuno o continuare a limitarsi a permanere nell’orbita terrestre bassa.
Per ora, il Direct Fusion Drive non è molto più di un progetto concettuale, tuttavia è ancora un altro esempio della versatilità del processo di fusione nucleare. Mentre alcuni scienziati utilizzano la fusione per generare quantità praticamente illimitate di energia sulla Terra, gli stessi principi di base potrebbero in futuro permetterci di esplorare le regioni esterne del nostro sistema solare.