Molto spesso succede che un farmaco studiato per la cura di determinate patologie si mostrò particolarmente efficace nella terapia di tutt’altra malattia. È il caso della lamivudina, utilizzata nei soggetti colpiti da HIV e che si è dimostrata particolarmente valida nella prevenzione del diabete di tipo 2.
I ricercatori hanno osservato che i pazienti che assumevano determinati farmaci avevano un rischio inferiore del 33% di sviluppare il diabete. La lamivudina, in modo particolare, ha migliorato significativamente la sensibilità all’insulina nei campioni di cellule umane e in un modello murino di diabete.
Nel diabete di tipo 2, il corpo perde la capacità di utilizzare l’insulina, un ormone, necessario per controllare efficacemente la glicemia.
Jayakrishna Ambati della University of Virginia (UVA) School of Medicine, ha spiegato: “Il fatto che l’effetto protettivo contro lo sviluppo del diabete sia stato replicato in più database in studi di più istituzioni aumenta la fiducia nei risultati. Siamo grati all’UVA Strategic Investment Fund per averci permesso di dimostrare il potere della valutazione storica dei big data per identificare rapidamente i farmaci esistenti e approvati da riutilizzare per malattie che hanno un enorme impatto a livello mondiale”.
Per poter asserire con certezza se i farmaci noti come inibitori nucleosidici della trascrittasi inversa (NRTI) potessero contribuire, Ambati e colleghi di più istituzioni hanno studiato cinque database che interessavano un gruppo eterogeneo di 128.861 soggetti con HIV-1 o epatite B. Il database principale era costituito dalla Veterans Health Administration, il più grande sistema sanitario integrato degli Stati Uniti ed è stato rivisto ed analizzato per il periodo che va dal 2000 al 2017.
Gli studiosi hanno potuto rilevare che i pazienti a cui veniva somministrato NRTI avevano più del 30% di probabilità in meno di sviluppare il diabete. Sulla base di questa ricerca, il team di esperti ha determinato che esiste una probabilità del 95% che i farmaci riducano il rischio di diabete del 29% almeno in uno studio clinico.
Per poter analizzare al meglio i risultati, i ricercatori hanno esaminato l’effetto della lamivudina e di altri due farmaci della stessa classe in campioni di cellule umane. Tutti e tre le terapie farmacologiche si sono dimostrate utili, portando alla conclusione che la classe nel suo insieme è probabilmente utile nella prevenzione del diabete. In particolare, lo studio ha identificato una connessione tra diabete e disregolazione dell’inflammasoma, precedentemente collegata sia alla malattia di Alzheimer che alla degenerazione maculare.
“L’ampia scala di questi dati clinici e la dimensione dell’effetto protettivo forniscono la prova che l’inibizione dell’inflammasoma negli esseri umani è benefica”, ha spiegato Ambati. “Ci auguriamo che i futuri studi clinici stabiliscano che gli inibitori dell’inflammasoma noti come Kamuvudine, che sono derivati meno tossici degli NRTI, saranno efficaci non solo nel diabete ma anche nella degenerazione maculare e nel morbo di Alzheimer”. Ora partirà uno studio clinico al riguardo.