22.07.2011 UNA STORIA DOVE NON TORNA NIENTE
Poco più di un anno fa mi sono imbattuto per caso in una notizia che raccontava il fatto che Anders Breivik, il mostro responsabile della strage di Oslo del 22 luglio 2011, avesse cambiato nome. Una notizia vecchia, ma nell’articolo venivano sollevati numerosi dubbi e avanzate alcune ipotesi complottistiche, che apparivano però molto coerenti.
Io di Breivik sapevo quello che sapevano un po’ tutti quanti: ovvero quasi nulla!
Sapevo quello che era stato detto brevemente dalla stampa nazionale: un pazzo nazista che aveva fatto una strage.
Punto.
Così ho iniziato, insieme al mio collega e amico Nicola De Santis, a cui poi si è aggiunta Loredana Vaccarotti, ad approfondire la vicenda.
Al di là del fatto che tutto quello che ci era stato raccontato, se non superficiale, era quantomeno approssimativo ed errato, quando non addirittura intenzionalmente deviante, abbiamo trovato, nella vera storia e nei fatti documentabili, un bel mucchio di incongruenze.
Scavando infine abbiamo trovato parecchi muri e raccolto minacce di morte da parte dell’estrema sinistra antagonista.
Elenco alcune delle incongruenze trovate.
La prima in assoluto è quella di cui non si parla mai, in nessuno scritto. Anders Breivik era un ragazzotto, di famiglia labourista, che aveva acquistato una sorta di carabina semiautomatica che, durante la sua lunga preparazione in una fattoria isolata fuori Oslo, seppellì, come racconta lui stesso, e dissotterrò il giorno prima della strage. Ora, pare possibile che un tizio che si era esercitato qualche mese al poligono con una Glock riesca, senza averne la maestria di anni di esercitazioni di tiro, a imbracciare una carabina, non un fucile di precisione, e uccidere in un “killing spree” 69 ragazzi tra la boscaglia di un’isola, che fuggono ovunque e si nascondono, abbattendoli a colpo singolo per 90 minuti? Sinceramente chiunque imbracciasse un’arma per la prima volta in vita sua contro altri esseri umani, non lo vedo conservare la freddezza e soprattutto padroneggiare, per consumata esperienza, l’arma a tal punto da divenire un cecchino e un killer professionista. Siamo certi che fosse la prima volta che uccideva?
Poi come mai non sono stati presi in considerazione i numerosi testimoni che dicevano di aver visto un altro uomo, alto oltre 1.80 coi capelli scuri, quando Breivik è biondissimo, che sparava a distanza?
Come mai alcuni altri parlavano di 4 uomini che sparavano? Tanto che persino due poliziotti, che sentivano le esplosioni dal molo di fronte all’isola, non sono intervenuti perché erano convinti che si trattasse di più killers in azione?
Ma le incongruenze sono ancora di più.
Come ha fatto a sapere come costruire una bomba di quella portata che ha causato distruzione nel raggio di 1 km? Non era un chimico. Chi glielo ha insegnato? L’ha davvero costruita lui da solo? Dove ha trovato le informazioni giuste? Fosse stato così semplice reperirle su Internet nel 2011, saremmo stati decimati da esplosioni in giro per il pianeta.
Dove ha trovato tutto quel denaro, dato che gli inquirenti hanno determinato che fosse un personaggio caduto in bancarotta?
Come mai alla fine del terzo libro del compendio titolato “2083 – Una dichiarazione di indipendenza europea”, scrive lui stesso l’ultimo giorno prima della strage: “oggi ho chiamato e inviato email ai miei finanziatori con il file PDF aggiornato”. Quali finanziatori? Finanziatori di cosa?
Come faceva a sapere che quel giorno di luglio non ci sarebbero stati elicotteri delle forze dell’ordine poiché impegnate in una esercitazione e che le linee telefoniche delle forze di polizia erano in trasformazione da analogico a digitale, rendendo di fatto impossibili le comunicazioni? Chi glielo aveva detto? Infatti quel giorno aveva trovato il posto dove posizionare il Van-bomba occupato e non ha rimandato l’attentato, quasi dovesse per forza farlo quel giorno. Perché non l’indomani? O un altro giorno?
Come mai la Delta Force norvegese ci ha messo tanto ad arrivare e perché invece di prendere un battello al molo distante 500 metri dall’isola è finita in un porticciolo distante 4 km?
Perché Anders Breivik è stato posto in isolamento ad Ila se è l’unico detenuto del carcere e lo hanno per mesi svegliato più volte di notte con le torce elettriche, tanto da intentare un’assurda causa per violazione dei diritti umani allo stato norvegese?
Cosa importantissima: perché non è stato fermato prima, essendo stato ripetutamente segnalato per acquisto di materiali esplosivi e possesso di armi?
Come mai sceglieva le sue vittime e molte di quelle di colore, evidenti figli di immigrati di seconda o terza generazione, li ha risparmiati? Come mai alcuni sì e altri no? Aveva forse una lista?
Perché dopo mezz’ora di carneficina si ferma e insiste per ben dieci volte, senza successo, a chiamare la Polizia per consegnarsi e poi riprende a sparare?
Ma la domanda delle domande è una: cosa ha ottenuto con quel gesto, se non il rafforzare quelli che considerava i nemici dell’occidente, ovvero i labouristi, rendendoli dei martiri? Uno che per anni ha progettato da solo, con disciplina zelante, un massacro di quella portata, poteva commettere questo strategico errore/orrore?
Nemmeno il compendio di 1516 pagine, che abbiamo riportato integralmente per la prima volta tradotto in italiano all’interno del libro, rappresenta quello che è stato definito un “vaneggiamento delirante” stile Mein Kampf. In realtà è un resoconto storico, sociopolitico, dettagliatissimo e ricco di fonti sul problema dell’islamizzazione dell’Europa. Compendio che per 2/3 non è stato nemmeno scritto da lui. Solo una piccolissima parte è dedicata a strani deliri sui Cavalieri Templari e visioni rivoluzionarie insurrezionali: molto, ma molto piccola. Infine era un nazista, come lo hanno definito, un po’ sui generis: intanto faceva il saluto romano, infine era un massone sionista che difendeva a spada tratta gli ebrei per tutte le centinaia di pagine.
Alla fine a chi abbia giovato quella strage non è chiaro, poiché troppe lacune e troppo in fretta i media hanno smesso di parlarne. Etichettato come pazzo nazista assassino in tutta fretta e capitolo chiuso.
I Labouristi, in crisi in quegli anni, per via della presenza massiccia di immigrazione islamica che non si integrava affatto, creando malumore tra i norvegesi sempre più intolleranti, dovrebbero dare tante risposte, in primis il suo ex-primo ministro dell’epoca. Inizino col desecretare alcune perizie psichiatriche e con l’aprire delle indagini sulle forze di intelligence che “pare” non si siano accorte di nulla, ma i cui vertici, guarda caso, sono stati tutti rimossi in gran fretta.
Insomma, di Breivik e dello sterminio norvegese del 22 luglio 2011, non torna nulla, se non la conta del numero delle povere vittime.
Breivik – Cos’è davvero successo
di Claudio talanti e Nicola de Santis
introduzione: dott.essa Loredana Vaccarotti