Il mercato delle criptovalute, guidato principalmente da Bitcoin ed Ethereum, ha vissuto un periodo di intensa volatilità nelle ultime settimane.
Il rapporto MVRV a 30 giorni, un indicatore chiave per valutare la redditività degli investimenti a breve termine, è risultato negativo sia per BTC che per ETH, segnalando che i detentori a breve termine stanno subendo perdite.
Il ruolo del MVRV negativo
Un MVRV negativo indica che il prezzo di mercato di un asset è inferiore al suo valore realizzato medio. In altre parole, i detentori a breve termine hanno acquistato le loro criptovalute a un prezzo superiore a quello attuale, registrando così una perdita. Questo dato è particolarmente significativo in quanto suggerisce che la pressione a vendere da parte di questi investitori potrebbe diminuire, aprendo potenzialmente la strada a una ripresa del mercato.
Nonostante questo quadro generale negativo, alcuni indicatori tecnici offrono spunti interessanti. L’aumento dell’età media delle monete, sia per Bitcoin che per Ethereum, suggerisce un maggiore accumulo da parte degli investitori a lungo termine. Questo fenomeno, combinato con la diminuzione della pressione a vendere da parte dei detentori a breve termine, potrebbe indicare una potenziale inversione di tendenza.
È importante sottolineare che il mercato delle criptovalute è intrinsecamente volatile e soggetto a numerosi fattori esterni. Le regolamentazioni governative, l’adozione da parte delle istituzioni finanziarie e le innovazioni tecnologiche continueranno a influenzare l’andamento dei prezzi.
Il recente calo del mercato delle criptovalute è stato innescato da una combinazione di fattori, tra cui il MVRV negativo, il rafforzamento del dollaro e un sentiment generale di pessimismo. Nonostante le difficoltà attuali, alcuni segnali tecnici suggeriscono che le condizioni potrebbero migliorare nel prossimo futuro. Gli investitori tuttavia dovrebbero mantenere un approccio cauto e diversificare il proprio portafoglio.
Il vecchio adagio ‘quando tutti dicono che è troppo caro, spesso è il momento di comprare‘ può essere vero, ma solo in determinate circostanze. Anche l’analisi tecnica e il sentiment del mercato giocano un ruolo fondamentale. In questo caso, nonostante il recente calo dei prezzi, il sentiment sia per Bitcoin che per Ethereum è rimasto prevalentemente ribassista, con molti investitori che si aspettano ulteriori correzioni.
Bitcoin: buy the dip o stand by?
Un altro segnale preoccupante è arrivato dal rapporto MVRV a 30 giorni, che si è rivelato negativo sia per Bitcoin che per Ethereum. Questo indica che gli investitori che avevano acquistato queste criptovalute nel breve periodo stavano subendo perdite. Al contrario, l’età media delle monete a 180 giorni è aumentata, suggerendo un accumulo da parte degli investitori a lungo termine.
Questo ha indicato che il momento era propizio per acquistare a prezzi più bassi. L’aumento dell’accumulo e le perdite degli investitori a breve termine indicavano una possibile inversione di tendenza al rialzo.
L’interesse aperto ha mostrato una tendenza al rialzo da inizio novembre fino a raggiungere un picco di 13,7 miliardi di dollari a metà dicembre. Da quel momento si è registrata tuttavia una correzione, portando l’OI a scendere a 11,72 miliardi di dollari.
Conclusioni
La contrazione dell’interesse aperto, unitamente ad altri indicatori tecnici, suggerisce che gli operatori stanno diventando meno convinti di un’ulteriore ripresa dei prezzi nel breve termine. Sarà fondamentale monitorare l’evoluzione di questi indicatori per identificare potenziali segnali di inversione di tendenza.
Le informazioni contenute in questo articolo hanno scopo puramente informativo e non costituiscono un consiglio finanziario. Prima di prendere qualsiasi decisione di investimento, è consigliabile consultare un professionista del settore.
La metanfetamina è nota anche come “crystal meth“: come spiegare cos’è e come funziona?
In una delle scene memorabili del film “l’avvocato del diavolo” Kevin (Keanu Reeves) chiede a Milton (Al Pacino): “Che mi dici dell’amore?” e Milton risponde: ” Sopravvalutato. Biochimicamente non è diverso da una grande scorpacciata di cioccolata”.
Ecco, secondo gli scienziati, abbiamo sopravvalutato anche la cioccolata!
Metanfetamina: le origini
La 2-feniletilamina infatti, il potenziatore dell’umore che si trova anche nel cioccolato, viene distrutta dagli enzimi del fegato prima che arrivi al cervello.
Quindi non esiste un surrogato dell’amore, o almeno così si dice, poiché esistono alcuni farmaci che producono effetti simili per migliorare l’umore: si tratta della metanfetamina cristallina pura, che possiede una struttura strettamente correlata alla feniletilamina.
la metanfetamina cristallinapura fu prodotta per la prima volta nel 1919 e una sua stretta parente, la più nota anfetamina, nel 1887.
Smith, Kline e French commercializzarono un inalatore nasale contenente anfetamina (“Benzedrina“) per la congestione nasale nel 1932: si scoprì presto, però, che rilasciava rapidamente molecole di neuro trasmettitori stimolanti come la dopamina, che faceva sentire i consumatori più lucidi, più forti e più energici.
Metanfetamina Effetti
La metanfetamina è uno stimolante potente e altamente coinvolgente che colpisce il sistema nervoso centrale. Conosciuto anche come meth, blu, ghiaccio e cristallo, assume la forma di una polvere cristallina bianca, inodore e dal sapore amaro che si dissolve facilmente in acqua o alcol.
Come l’anfetamina, la metanfetamina provoca una maggiore attività e loquacità, diminuzione dell’appetito e un piacevole senso di benessere o euforia.
Tuttavia, la metanfetamina differisce dall’anfetamina in quanto, a dosi comparabili, quantità molto maggiori del farmaco entrano nel cervello, rendendolo uno stimolante più potente. Ha anche effetti più duraturi e più dannosi sul sistema nervoso centrale.
Queste caratteristiche lo rendono un farmaco con un alto potenziale di abuso diffuso.
La metanfetamina è classificata come stimolante ed è legalmente disponibile solo attraverso una prescrizione non ripetibile.
Dal punto di vista medico può essere indicata per il trattamento del disturbo da deficit di attenzione e iperattività (ADHD) e come componente a breve termine dei trattamenti dimagranti, ma questi usi sono limitati e viene prescritta raramente.
Inoltre, le dosi prescrivibili sono di gran lunga inferiori a quelle tipicamente uilizzate nell’abuso.
A differenza della cocaina, della morfina (facilmente trasformabile in eroina) e del khat , che sono di origine vegetale, la metanfetamina è una droga sintetica.
Molecole simili sono state trovate in una o due piante, ma non ci sono prove che contengano effettivamente anfetamine o metanfetamine.
Mentre i farmaci a base vegetale sono ampiamente contrabbandati più o meno ovunque, la metanfetamina può essere prodotta localmente con ricette scaricabili da Internet, usando sostanze chimiche che possono essere facilmente acquistate in rete.
L’anfetamina e la metanfetamina hanno una struttura leggermente diversa dalla feniletilamina (PEA) presente in natura, quindi resistono all’enzima epatico che decompone le ammine, come la feniletilamina, negli alimenti.
Il nostro organismo non possiede enzimi per metabolizzare le anfetamine.
Uso e abuso dell’anfetamina
Durante la seconda guerra mondiale, la metanfetamina fu utilizzata sia dai tedeschi e giapponesi che da americani e britannici: veniva somministrata ai piloti delle navi e agli equipaggi dei bombardieri per stare all’erta nelle missioni notturne.
In Germania, l’anfetamina era conosciuta come Pervitin (è ancora chiamata così nella Repubblica Ceca).
Anche i civili usavano le anfetamine. L’autore Graham Greeneusò Benzedrine nel 1938 per completare il suo romanzo “The Confidential Agent” in sei settimane; Si dice che Jack Kerouac abbia prodotto “On the Road” scrivendo freneticamente a macchina per tre settimane mentre era sotto anfetamina.
A causa della spinta energetica che danno, anche gli sportivi hanno usato le anfetamine molto prima di passare agli steroidi: Tom Simpson, il primo ciclista britannico a indossare la maglia gialla al Tour de France, morì a causa di una combinazione di calore, alcol e metanfetamina nel Tour de France del 1967.
Tuttavia, il loro uso continua, con la droga citata in numerosi scandali antidoping.
Il primo grande abuso di anfetamine si è verificato subito dopo la seconda guerra mondiale in Giappone.
Dopo il 1951, sono diventate un farmaco con obbligo di prescrizione quasi ovunque, ampiamente raccomandate come pick-me-up e note come “pillole di pep“.
I camionisti e gli studenti usavano le anfetamine per rimanere svegli e concentrarsi.
Un effetto collaterale dell’anfetamina è la perdita di appetito, quindi nel dopoguerra sono state ampiamente prescritte anche come farmaci per combattere l’obesità.
A causa delle sue caratteristiche “più veloci”, la metanfetamina iniziò a diffondersi nei primi anni ’60 e esattamente nel 1967 fu associata alla marijuana e a farmaci psichedelici come l’LSD.
Negli anni ’80, in Estremo Oriente fu scoperto come creare grandi cristalli di metanfetamina cloridrato noti come “crystal meth“.
Da allora il crystal meth si è diffuso ovunque.
In Thailandia, si chiama Ya ba (“droga della follia“).
Sebbene gli oppioidi siano la principale causa di morte per droga negli Stati Uniti, la metanfetamina è un problema particolare negli stati occidentali e sud-occidentali. In un certo senso è diventata un’epidemia dimenticata.
Le molecole di metanfetamina possono esistere in due forme che interagiscono in modo diverso con i recettori del corpo umano.
Lo stimolante che viene chiamato”Speed” è la d-metanfetamina; l’altro, l-metanfetamina, contiene gli stessi atomi collegati nella stessa sequenza, disposti in modo diverso nello spazio e non ha assolutamente proprietà stimolanti.
I regolamenti olimpici, tuttavia, vietano solo l’uso della “metanfetamina“. Non distinguono tra queste due forme. Molti la conosceranno il crystal meth solo dal suo uso nella serie americana, Breaking Bad. Ma alcuni temono che potrebbe iniziare ad avere un certo successo.
L’universo potrebbe essere disseminato di intelligenze aliene artificiali, infatti, secondo diversi scienziati e filosofi, se una specie intelligente con capacità tecnologiche, di qualsiasi tipo essa sia, avesse abbastanza tempo a disposizione e una giusta motivazione, probabilmente tenderà a trascendere la propria natura e a farsi sostituire dalle macchine o ad integrarsi con esse.
Questo accade spesso nei romanzi e nei film di fantascienza, ma potrebbe succedere realmente?
Sulla Terra, circa 4 miliardi di anni fa, sono emersi dalla materia inanimata i primi esseri viventi che infine si sono evoluti nella vita complessa che ha portato alla comparsa dell’uomo e della sua intelligenza. Tuttavia, il nostro impatto sulla biosfera, vista la distruzione che apportiamo, potrebbe provocare, per i più pessimisti, la nostra estinzione a breve scadenza.
Oppure, secondo altri, potremmo non essere nemmeno a metà della nostra fase evolutiva e, in un futuro non troppo lontano, potremmo decidere di abbandonare, del tutto o in parte, la nostra matrice biologica per integrarci con le intelligenze artificiali di nostra creazione e la nostra evoluzione postumana potrebbe durare miliardi di anni.
Se l’evoluzione darwiniana si fosse sviluppata su una stella più vecchia del Sole, la vita avrebbe potuto avere un vantaggio di un miliardo di anni durante i quali un’intelligenza organica simile alla nostra sarebbe durata solo un battito di ciglia prima che le macchine imparassero a riprodursi prendendo il sopravvento.
Queste intelligenze aliene artificiali potrebbero presentarsi come una singola intelligenza integrata simile a un alveare e anche se un’intelligenza del genere trasmettesse dei segnali difficilmente la nostra specie sarebbe capace di interpretarli.
Nel 2017 l’astrobiologa Nathalie Cabrol, direttrice del Carl Sagan Center del SETI Institute, ha tenuto un seminario intitolato “Decoding Alien Intelligence”, organizzato intorno un suo precedente documento del 2016, “Alien Mindscapes” che ha sfidato il SETI ad affrontare la tendenza a sostenere supposizioni o aspettative su ciò che potremmo trovare nella ricerca degli alieni.
Il lavoro della Cabrol suggerisce che potrebbe mancare qualcosa: la “ricerca di ET intelligenti” di solito finisce per essere una “ricerca di altre versioni di noi stessi“.
Secondo Cabrol la ricerca di altre versioni dell’essere umano ha senso finché si tratta di un punto di partenza, in fin dei conti, il nostro è l’unico tipo di vita che conosciamo. Una strategia di esplorazione di questo tipo è ulteriormente confermata dal fatto evidente che gli elementi alla base della vita “così come la conosciamo” sono comuni nell’universo, di conseguenza dovrebbero essere abbondanti i luoghi in grado di favorirne lo sviluppo.
La missione Kepler e i dati ottenuti dai telescopi terrestri indicano che potrebbero esistere fino a 40 miliardi di pianeti simili alla Terra nella nostra galassia, un quarto dei quali in orbita attorno a stelle simili al Sole. Altri modelli suggeriscono che potrebbero esistere fino a 700 trilioni di pianeti in tutto il cosmo osservabile, e la stragrande maggioranza sarebbe molto più antica della Terra.
Nella Via Lattea, potrebbero esistere almeno 100 milioni di pianeti dove la vita complessa potrebbe essersi sviluppata. Tuttavia “vita complessa” non significa necessariamente esseri viventi tecnologicamente avanzati.
Come suggerisce Cabrol, il percorso evolutivo che ha favorito lo sviluppo della vita complessa sul nostro pianeta, suggerisce che la vita avanzata come la nostra può essere molto rara nell’universo, talmente rara da non essere avanzata e sincronizzata temporalmente con la nostra civiltà.
Tuttavia, questo non significa che altri tipi di intelligenze aliene artificiali avanzate siano altrettanto rare. Limitare la nostra ricerca a qualcosa che conosciamo e possiamo capire non lascia spazio a un fondamento epistemologico e scientifico per esplorare ipotesi alternative. Per trovare alieni intelligenti, dobbiamo andare oltre la prospettiva profondamente radicata sulla Terra e rivalutare quei concetti che sono dati per scontati.
Cabrol suggerisce di tentare di accedere a concetti e archetipi sconosciuti che non fanno parte della nostra eredità evolutiva attraverso l’immaginazione. Questo è ciò che la fantascienza tenta quando prova a raffigurare mondi e intelligenze aliene artificiali. Non sorprende che questo processo si traduca in versioni più o meno complesse di noi stessi. Per descrivere un diverso tipo di vita, dobbiamo uscire dal nostro normale modo di pensare.
Eliminare i pregiudizi sulle intelligenze aliene artificiali
Graham Mackintosh, consulente della NASA, afferma che gli extraterrestri potrebbero essere in grado di fare cose che non possiamo nemmeno immaginare, utilizzando tecnologie talmente lontane dalla nostra da non riuscire a pensare nemmeno a un modo di trovarle. Mackintosh ha proposto che l’intelligenza artificiale potrebbe essere in grado di trovare queste tecnologie al nostro posto.
Il SETI Institute, in collaborazione con NASA, Intel, IBM e altri enti, ha organizzato un programma di ricerca e sviluppo accelerato chiamato Frontier Development Lab, con l’obiettivo di applicare l’intelligenza artificiale all’esplorazione dello spazio.
Oltre ad avere un notevole potenziale nel rilevamento degli asteroidi per la difesa planetaria e nella meteorologia spaziale, l’IA potrebbe avere un ruolo chiave nella comprensione di eventuali messaggi provenienti da civiltà aliene o da intelligenze aliene artificiali.
Nonostante nell’universo esistano un grande numero di pianeti potenzialmente abitabili, non significa che siano effettivamente abitati. A sostenerlo è Paul Davies, professore e cosmologo dell’Arizona State University. Poiché nessuno sa come la vita sia emersa dalla materia inanimata, è impossibile stimare le probabilità che si sviluppi altrove.
Nelle sue forme più avanzate, afferma Davies, la vita può esistere in forme al di là della materia così come la conosciamo. Queste forme di vita potrebbero non avere dimensioni o forma fisse o confini ben definiti e potrebbe fare cose che non riusciamo a capire o essere.
Materia e informazione, si chiede Davies, sono tutto ciò che esiste? Cinquecento anni fa, osserva, “il concetto stesso di un dispositivo che manipola informazioni sarebbe stato incomprensibile. Potrebbe esserci un livello ancora più alto, ancora al di fuori di tutta l’esperienza umana, che organizza gli elettroni”?
Se così fosse, questo “terzo livello” non si manifesterebbe mai attraverso osservazioni fatte a livello informativo, tanto meno a livello di materia. Dovremmo essere aperti alla possibilità che intelligenze aliene artificiali vecchie di un miliardo di anni possano operare su livelli incomprensibili per la mente umana.
Secondo l’astrofisico Martin Rees forse un giorno troveremo le prove dell’esistenza di esseri extraterrestri e di intelligenze aliene artificiali o, anche se questo è meno probabile, troveremo una “mente cosmica“.
L’altra possibilità è raggelante: la nostra specie potrebbe essere l’unica ad aver sviluppato un certo grado di intelligenza.
Da una parte il fallimento della ricerca deluderebbe chiunque, non solo i ricercatori, ma dall’altra si aprirebbero delle prospettive uniche per l’umanità. Il sistema solare è ancora relativamente giovane e se l’umanità eviterà l’autodistruzione potrebbe entrare in un’era postumana che oggi possiamo solo immaginare, e a fatica.
In questo modo la nostra intelligenza potrebbe diffondersi nell’intera galassia, evolvendo in una complessità che andrà ben oltre ciò che oggi possiamo anche solo concepire, unendosi, infine, alla miriade di altre intelligenze artificiali che in oltre 13 miliardi di anni potrebbero avere sostituito i loro creatori biologici.
In un’impresa scientifica senza precedenti, un team internazionale di ricercatori è riuscito a perforare la calotta glaciale antartica e a recuperare un nucleo di ghiaccio lungo oltre 2.800 metri.
Questo straordinario campione, che si estende per una profondità tale da raggiungere il substrato roccioso, rappresenta una vera e propria “macchina del tempo” che ci riporta indietro di 1,2 milioni di anni.
Un viaggio nel passato grazie a un enorme nucleo di ghiaccio
Il nucleo di ghiaccio, estratto da Little Dome C, uno dei luoghi più remoti e inospitali della Terra, contiene un archivio dettagliato delle condizioni climatiche del nostro pianeta. Le bolle d’aria intrappolate nel ghiaccio offrono un’istantanea diretta della composizione dell’atmosfera passata, consentendo agli scienziati di ricostruire le concentrazioni di gas serra come anidride carbonica e metano.
Analizzando questi dati preziosi, i ricercatori potranno comprendere meglio come il clima della Terra ha reagito ai cambiamenti nei fattori di forzatura climatica, come la radiazione solare, l’attività vulcanica e le variazioni orbitali. In questo modo, sarà possibile gettare nuova luce sulle complesse interazioni tra i gas serra e la temperatura globale, un aspetto fondamentale per prevedere gli effetti dei cambiamenti climatici futuri.
Uno degli obiettivi principali della ricerca è quello di svelare il mistero legato al cambiamento improvviso della cronologia delle ere glaciali avvenuto circa un milione di anni fa. Questo evento, secondo alcune teorie, avrebbe quasi causato l’estinzione dei nostri antichi antenati. Il nucleo di ghiaccio potrebbe fornire indizi cruciali per comprendere le cause di questo sconvolgimento climatico e le sue conseguenze sulla vita sulla Terra.
L’estrazione del nucleo di ghiaccio è stata un’impresa titanica, che ha richiesto anni di pianificazione e una logistica complessa. I ricercatori hanno dovuto affrontare condizioni climatiche estreme e sfide tecniche notevoli per portare a termine questa missione. Il successo di questo progetto è il risultato di una collaborazione internazionale che ha coinvolto scienziati di diversi paesi.
La scoperta di questo nucleo di ghiaccio rappresenta una svolta epocale per le scienze del clima. I dati raccolti saranno fondamentali per affinare i modelli climatici e migliorare le previsioni sui cambiamenti climatici futuri. Inoltre, questa ricerca sottolinea l’importanza di investire nella ricerca scientifica per affrontare le grandi sfide del nostro tempo, come la crisi climatica.
il progetto Beyond EPICA svela i segreti del clima antartico
Durante la recente campagna estiva antartica, il progetto Beyond EPICA, finanziato dalla Commissione Europea, ha concluso con successo la perforazione di una carota di ghiaccio che potrebbe riscrivere la nostra comprensione dei cambiamenti climatici del passato.
Il progetto, che si basa sul successo del precedente EPICA, mira a recuperare ghiaccio antartico risalente a oltre 1,5 milioni di anni fa. Questo nuovo nucleo di ghiaccio rappresenta una vera e propria capsula del tempo, contenendo informazioni preziose sulle temperature passate, la composizione dell’atmosfera e i cicli glaciali.
Studi precedenti sul nucleo di ghiaccio EPICA avevano rivelato un ciclo climatico di 100.000 anni, con alternanza di periodi glaciali e interglaciali. Tuttavia, i sedimenti marini suggerivano l’esistenza di cicli glaciali più brevi, di circa 41.000 anni, in un passato più remoto. Il progetto Beyond EPICA si è posto l’obiettivo di chiarire questo enigma e comprendere i meccanismi che hanno governato i cambiamenti climatici su scala millenaria.
La ricerca del sito di perforazione ideale è stata lunga e complessa. I ricercatori hanno utilizzato sofisticate tecnologie radar per individuare le zone con il ghiaccio più antico e in condizioni ottimali. Come ha spiegato Frank Wilhelms, ricercatore principale, era necessario trovare un sito “Goldilocks“: non troppo profondo da aver perso gli strati più antichi a causa dello scioglimento, ma abbastanza profondo da fornire un registro climatico dettagliato.
La scelta è ricaduta su Little Dome C, un altopiano antartico caratterizzato da condizioni estreme. Qui, i ricercatori hanno dovuto affrontare temperature gelide e venti impetuosi per estrarre il prezioso nucleo di ghiaccio. Ogni metro di ghiaccio rappresenta migliaia di anni di storia climatica, e l’analisi dei gas intrappolati al suo interno fornirà indizi cruciali sui cambiamenti atmosferici del passato.
I dati raccolti grazie al progetto Beyond EPICA avranno un impatto significativo sulla nostra comprensione dei cambiamenti climatici e ci aiuteranno a prevedere gli scenari futuri. Grazie a questa straordinaria impresa scientifica, siamo un passo più vicini a svelare i segreti del nostro pianeta e a proteggerlo per le generazioni future.
Le carote di ghiaccio estratte dall’Antartide rappresentano veri e propri archivi climatici. Al loro interno, gli strati di neve compattata nel corso dei millenni hanno intrappolato minuscole bolle d’aria e particelle che riflettono le condizioni atmosferiche dell’epoca. Analizzando questi campioni, gli scienziati possono ricostruire con precisione l’evoluzione della temperatura e della composizione dell’atmosfera terrestre nel passato. Questo viaggio nel tempo è fondamentale per comprendere i meccanismi che regolano il clima e per prevedere gli impatti dei cambiamenti climatici futuri.
Il nucleo di ghiaccio estratto in Antartide rappresenta una vera e propria miniera di informazioni sul clima del passato. Le prime analisi, condotte sul campo, hanno fornito un assaggio delle potenzialità di questa scoperta. Tuttavia, lo studio più approfondito avverrà nei laboratori europei, dove le fette di carotaggio verranno analizzate con estrema precisione. Gli scienziati misureranno le concentrazioni di gas e particelle intrappolate nel ghiaccio, svelando così i segreti del clima di milioni di anni fa.
Questo lavoro richiederà anni di ricerca e consentirà di comprendere meglio i meccanismi che governano il cambiamento climatico. Parallelamente, la comunità scientifica è già al lavoro per individuare e estrarre carote di ghiaccio ancora più antiche, ma questa impresa richiede tecnologie all’avanguardia e una pianificazione accurata.
Conclusioni
Il progetto Beyond EPICA non si ferma qui. Mentre le analisi sulle prime carote di ghiaccio sono in corso, la comunità scientifica internazionale è già al lavoro per individuare nuovi siti in Antartide dove poter recuperare registrazioni climatiche ancora più antiche. Come ha sottolineato Barbante: “Dobbiamo trovare altri posti in Antartide dove possiamo recuperare registrazioni climatiche continue simili a quelle che stiamo studiando“.
Questa impresa richiederà lo sviluppo di tecnologie sempre più avanzate e una pianificazione meticolosa. La ricerca sul clima antartico è un percorso lungo e complesso, ma i risultati che otterremo saranno fondamentali per comprendere il nostro pianeta e affrontare le sfide del futuro.
La Grotta di Royston giace sotto un incrocio anonimo nella città di Royston nell’Hertfordshire, Regno Unito. La grotta risale ad almeno 800 anni fa e si sospetta essere stata una specie di deposito sotterraneo per un edificio non più distinguibile.
La grotta di Royston è protetta come monumento antico ed è istato potizzato che fosse utilizzata dai Cavalieri Templari, che fondarono la vicina Baldock, ma è improbabile, nonostante l’enorme fascino popolare di questa ipotesi. Ci sono numerose teorie sulla grotta che riguardano massoni e templari, così come possibilità che la grotta fosse una prigione o una cella di anacoreti. Tuttavia, nessuna di queste teorie ha prove sufficienti per giustificare la loro adozione da parte del Cave Trust. È aperta al pubblico nei mesi estivi il sabato, la domenica e i pomeriggi dei giorni festivi tra Pasqua e ottobre.
La grotta di Royston è una camera circolare a forma di campana scavata nella roccia calcarea. È alta 8 metri e ha un diametro di 5 metri con un podio ottagonale circonferenziale. L’origine di questa camera è sconosciuta. Questa grotta è unica in Gran Bretagna per le sue numerose incisioni medievali sulle pareti; esempi comparabili esistono solo nell’ex Cecoslovacchia e in Israele. Si pensa che alcune delle figure siano quelle di Santa Caterina d’Alessandria, San Lorenzo e San Cristoforo.
Principali teorie
La grotta di Royston è stata fonte di numerose speculazioni, sebbene sia difficile stabilire con certezza la sua origine e la sua funzione.
Cavalieri Templari: si è ipotizzato che la grotta di Royston possa essere stata utilizzata dai Cavalieri Templari prima del loro scioglimento da parte di Papa Clemente V nel 1312. Sebbene siano state fatte affermazioni secondo cui questa istituzione religioso-militare della Chiesa cattolica tenesse un mercato settimanale a Royston tra il 1199 e il 1254, la carta del mercato fu in realtà concessa ai Canonici Agostiniani della città.
Si è ipotizzato che la grotta fosse divisa in due piani da un pavimento di legno, la prova consiste in un singolo foro di palo e quello che potrebbe essere delle fessure per travi per fissare la piattaforma alle pareti. Due figure vicine vicino alla sezione danneggiata potrebbero essere tutto ciò che rimane di un noto simbolo templare, due cavalieri che cavalcano lo stesso cavallo. Tuttavia, poiché l’immagine è stata riparata in tempi moderni, ciò non può essere confermato.
Nel 1953, lo storico dell’architettura Nikolaus Pevsner scrisse che la data delle incisioni “è difficile da indovinare. Sono state definite anglosassoni, ma è più probabile che risalgano a varie date tra il XIV e il XVII secolo (opera di uomini non qualificati)“. Ciò collocherebbe le incisioni dopo l’epoca dei Templari; certamente le figure in armatura indossano un’armatura completa, il che le darebbe a un secolo dopo la scomparsa dei Templari.
La prima loggia massonica
Magazzino agostiniano: si sostiene che la Royston cave sia stata utilizzata dai monaci agostiniani del priorato locale, che avrebbero avuto bisogno di un magazzino fresco per i loro prodotti e di una cappella per le loro devozioni. L’idea che potesse essere stato un luogo di incontro per i cattolici dissidenti durante la Riforma del XVI secolo è poco sostenuta.
La cappella privata di un illustre personaggio locale
Eremo o Anacoreta lungo la strada
Riscoperta
Sebbene l’origine della grotta di royston sia sconosciuta, la sua riscoperta è ben documentata. Nell’agosto del 1742 un operaio scavò una buca nel Butter Market per costruire le fondamenta per una nuova panca per i clienti e i commercianti. Scoprì una macina sepolta e scavò attorno ad essa per rimuoverla. Trovò un pozzo che scendeva nel gesso. Quando fu scoperta, la cavità era più che per metà piena di terra. Si diceva che ci dovesse essere un tesoro sepolto sotto il terreno all’interno della grotta. Diversi carichi di terra furono rimossi fino a raggiungere la roccia madre. La terra fu scartata come inutile in quanto conteneva solo alcune vecchie ossa e frammenti di ceramica.
L’archeologia odierna avrebbe potuto analizzare il terreno in profondità. La descrizione del reverendo G North di una tazza di terracotta marrone con macchie gialle scoperta nel terreno che riempiva la grotta sembra un noto tipo post-medievale, non anteriore alla fine del XVI secolo. Oggi l’ingresso non è dall’apertura originale, ma da un passaggio scavato nel 1790.
La grotta si trova all’incrocio di un antico tracciato est-ovest, l’Icknield Way, e della strada romana nord-sud, Ermine Street. L’Icknield Way fu utilizzata durante l’età del ferro e tracce dei suoi fossati laterali sono state scavate a Baldock. Si è affermato che corresse dalla valle del Tamigi verso l’East Anglia, sebbene ciò sia stato recentemente messo in discussione. L’attuale A505 tra Royston e Baldock segue approssimativamente il suo percorso.
Si pensa che le sculture fossero originariamente colorate, ma ora ne è rimasta poca traccia; a metà del XIX secolo, Joseph Beldam poteva ancora vedere l’abito giallo di Santa Caterina e quello rosso della Sacra Famiglia.
Si tratta per lo più immagini religiose, come la Crocifissione e vari santi. San Lorenzo è raffigurato mentre tiene in mano la graticola su cui fu martirizzato. Una figura incoronata che tiene una ruota sembra essere Santa Caterina, e una grande figura con un bastone e un bambino sulla spalla rappresenta San Cristoforo. Una figura con una spada sguainata potrebbe essere San Michele o forse San Giorgio.
Un altro possibile simbolo religioso è la raffigurazione di una donna nuda nota come Sheela na Gig. Questa figura a volte si trova nelle chiese medievali, quindi la sua inclusione nel simbolismo religioso non è fuori luogo. Ci sono diversi fori, a volte direttamente sotto le sculture, che si pensa abbiano contenuto candele o lampade che avrebbero illuminato le incisioni.
Restauro
Nel 2010, si scoprì che a causa delle condizioni di umidità nella grotta, larve di insetti e vermi stavano infestando e danneggiando le pareti e le incisioni, e furono avviati lavori di restauro. Nell’agosto 2014, fu riferito che il lavoro per rimuovere la minaccia dei vermi mangiatori di gesso aveva avuto successo.
James Robinson, direttore della grotta, ha affermato: “Il controllo della popolazione di vermi ha presentato una sfida diversa poiché si riteneva poco saggio utilizzare biocidi o gas in uno spazio come la grotta che è regolarmente aperto al pubblico. L’approccio più pratico era, quindi, quello di ridurre l’habitat dei vermi. Ciò ha comportato la rimozione dei grandi volumi di terreno e altri detriti alla base della grotta, in particolare sul gradino sotto le incisioni. Senza il loro cibo, i lombrichi e i vermi brandling si sono presto spostati“.
Furono inoltre eseguiti lavori di riparazione delle condutture dell’acqua poiché l’acqua che si infiltrava nella grotta aveva causato la comparsa di crepe nelle incisioni. Le vibrazioni del traffico dei veicoli che utilizzavano la strada sopra la grotta potrebbero ancora causare problemi se si verificassero modifiche all’uso della strada.
Nonostante il restauro, nel novembre 2018, la grotta è stata aggiunta al registro dei beni a rischio dell’Historic England ‘s Heritage at Risk Register. È stata successivamente oggetto di un servizio televisivo della BBC News.
Alle grotte si accede per un lungo e stretto corridoio, alla fine del quale si apre la caverna principale, una camera molto ampia in cui è ben visibile un intrico di disegni scolpiti nelle pareti di gesso. Le sculture raffigurano tutti i tipi di immagini religiose e militari, tra cui la crocifissione di Cristo, la Vergine Maria, Giovanni Battista, le figure della Bibbia, e numerosi cavalieri con scudi e armi.
A causa di questo simbolismo, alcuni storici ritengono che Royston cave potrebbe essere stata un nascondiglio per i Cavalieri Templari. Questo ordine era composto da monaci guerrieri d’elite che operarono soprattutto durante le crociate, contribuendo in modo decisivo alla conquista e al mantenimento dei territori d’oltremare, in Tera Santa. In breve, l’ordine divenne così potente e ricco da fare ombra al re di Francia e allo stesso Papa Clemente V° che, nel 1313, decise di sciogliere l’ordine demandando a Filippo il bello di eseguire la sentenza, scatenando una feroce campagna di arresti e persecuzioni, condita da torture ed esecuzioni, che coinvolse fino ai più alti gradi della gerarchia dell’ordine del Tempio.
La suggestiva vicenda dei Templari è rimasta per secoli nell’immaginario popolare, recentemente anche rinforzata dalle tesi espresse nel romanzo di Dan Brown “Il codice da Vinci“, che hanno fortemente colpito l’immaginazione del pubblico dando anche la stura a numerose teorie della cospirazione.
Il reale collegamento tra i Cavalieri Templari e questa grotta è, tuttavia, oggetto di discussione, anche se molto suggestivo.L’England Historic fa notare che “la funzione della grotta ha sollevato moltissime speculazioni […] data la completa mancanza di prove documentali per la sua esistenza.” Anche se la difficoltà di accesso e la decorazione elaborata suggerisce che avesse una funzione rituale, è piuttosto insolito che non esista documentazione relativamente ad un edificio con funzioni religiose. Questo potrebbe suggerire che il la caverna è stata tenuta segreta e che, anche nell’edificio che doveva sovrastarla, non era svolta alcuna attività ufficiale in forma istituzionale.
England Historic riporta anche che, secondo alcune tradizioni locali, “un gruppo di cavalieri dell’ordine, che era ben rappresentato nella località, avrebbe usato la grotta come luogo di culto e, forse, come rifugio per evitare la persecuzione durante la repressione seguita l’editto di Papa Clemente V°.”
È anche da notare che le incisioni hanno una forte somiglianza con altre opere d’arte presenti nella Tour du Coudray, nel castello di Chinon, dove molti Templari furono confinati dopo il 1307.
Quale che sia la verità, Royston cave è suggestiva e affascinante, resa ancora più interessante dai retroscena relativi alla fine dei “Pauperes commilitones Christi templique Salomonis“
La strada verso l’energia da fusione, il processo che alimenta le stelle, sta facendo passi da gigante. I ricercatori stanno lavorando intensamente sulla progettazione di reattori tokamak, dispositivi in grado di confinare il plasma e innescare le reazioni di fusione.
Una delle principali sfide è sempre stata la gestione delle instabilità del plasma. Tuttavia, grazie a recenti scoperte sull’interazione tra le particelle energetiche e queste instabilità, si aprono nuove prospettive per migliorare l’efficienza e la stabilità dei futuri reattori a fusione.
Il Tokamak: la chiave per la fusione
L’imminente crisi energetica globale ha innescato una corsa contro il tempo per sviluppare fonti di energia alternative, pulite e sostenibili. Tra le soluzioni più promettenti si distingue la fusione nucleare, un processo che replica le reazioni che avvengono all’interno delle stelle e che potrebbe fornire un’energia praticamente illimitata e a impatto ambientale nullo.
Uno dei dispositivi più promettenti per sfruttare l’energia della fusione è il tokamak, una sorta di “ciambella magnetica” in cui il plasma (un gas ionizzato) viene confinato e riscaldato a temperature elevatissime. L’obiettivo principale è innescare una reazione di fusione che rilasci un’energia netta.
Il progetto ITER, il più grande tokamak al mondo, rappresenta un passo fondamentale verso la realizzazione di una centrale elettrica a fusione. Per raggiungere questo traguardo, è tutta necessario affrontare diverse sfide, tra cui il mantenimento della stabilità del plasma.
Un fenomeno che limita le prestazioni dei tokamak sono gli Edge Localized Modes (ELM), delle instabilità che si verificano al bordo del plasma e causano la perdita di energia e particelle. Gli ELM sono paragonabili alle eruzioni solari e possono danneggiare i componenti del reattore.
Le particelle energetiche, ovvero particelle che possiedono un’energia cinetica molto elevata, svolgono un ruolo cruciale nelle reazioni di fusione. Tuttavia, la loro presenza può influenzare la dinamica degli ELM, rendendo il controllo del plasma ancora più complesso.
Una recente collaborazione internazionale ha approfondito lo studio dell’interazione tra gli ELM e le particelle energetiche, combinando esperimenti condotti sul tokamak ASDEX Upgrade con simulazioni al computer. I risultati di questa ricerca hanno evidenziato come le particelle energetiche influenzino significativamente la struttura e la dinamica degli ELM, attraverso un meccanismo di scambio di energia risonante.
Una nuova comprensione degli ELM
Una delle sfide più pressanti del nostro tempo è sviluppare fonti di energia sostenibili in grado di soddisfare il crescente fabbisogno energetico globale. La fusione nucleare, il processo che alimenta le stelle, si presenta come una promettente soluzione: pulita, quasi inesauribile e con un potenziale energetico enorme. I reattori a confinamento magnetico, come il tokamak, sono all’avanguardia in questo campo.
ITER, il più grande tokamak al mondo, rappresenta un passo fondamentale verso la realizzazione dell’energia da fusione. La stabilità del bordo del plasma, essenziale per un confinamento efficace, è uno degli obiettivi principali della ricerca in questo settore.
Un problema significativo che affligge gli attuali esperimenti di fusione nei tokamak è rappresentato dalle instabilità del bordo del plasma, note come ELM. Questi eventi, simili alle eruzioni solari, provocano la rapida espulsione di grandi quantità di particelle ed energia dal plasma, impattando violentemente sulle pareti del reattore. Questa intensa interazione può causare erosione dei materiali e sovraccarichi termici, compromettendo la durata e l’efficienza delle future centrali a fusione.
Le particelle energetiche (supratermiche) svolgono un ruolo cruciale nei futuri reattori a fusione, fornendo l’energia necessaria per mantenere la reazione. Tuttavia, la loro interazione con le instabilità del bordo del plasma (ELM) può influenzare significativamente il comportamento di queste ultime.
Un recente studio internazionale ha investigato questo fenomeno, combinando esperimenti su un tokamak con sofisticate simulazioni numeriche. I risultati hanno mostrato come la presenza di particelle energetiche modifichi in modo sostanziale la struttura e la dinamica degli ELM, suggerendo un meccanismo di interazione basato su uno scambio di energia risonante.
Combinando esperimenti e simulazioni numeriche, un team di ricercatori ha svelato un nuovo meccanismo che spiega l’impatto delle particelle energetiche sugli ELM. I risultati mostrano come le particelle energetiche possano alterare in modo significativo la struttura spaziale e temporale di queste instabilità. Questa scoperta potrebbe portare allo sviluppo di nuove strategie per il controllo degli ELM, basate sulla manipolazione delle particelle energetiche.
Conclusioni
Questa ricerca rappresenta una svolta fondamentale nella comprensione dei fenomeni che governano i plasmi di fusione. Per la prima volta, è stato possibile descrivere in modo dettagliato l’intricata interazione tra gli ioni energetici e gli ELM. I risultati ottenuti sono di cruciale importanza per la progettazione del tokamak ITER, dove l’intenso scambio di energia e quantità di moto tra queste due componenti del plasma giocherà un ruolo determinante.
La Terra, sin dalla sua formazione, è un pianeta in costante evoluzione. Uno dei cambiamenti più graduali e meno percepibili è il rallentamento della sua rotazione. Questo fenomeno, causato principalmente dall’interazione gravitazionale con la Luna, ha portato a un progressivo allungamento della durata del giorno.
La Terra che rallenta e l’alba dell’ossigeno: un legame inaspettato
Potrebbe sembrare strano, ma recenti studi suggeriscono che questo lento rallentamento della rotazione terrestre potrebbe essere strettamente correlato a uno degli eventi più significativi nella storia della Terra: il Grande Evento di Ossidazione. Questo avvenimento, risalente a circa 2,4 miliardi di anni fa, vide un drastico aumento della concentrazione di ossigeno nell’atmosfera terrestre, un evento fondamentale per lo sviluppo della vita complessa come la conosciamo. Al centro di questo processo ci sono i cianobatteri, semplici organismi unicellulari capaci di fotosintesi. Questi “pionieri” della vita sulla Terra, producendo ossigeno come sottoprodotto del loro metabolismo, hanno lentamente ma inesorabilmente modificato la composizione atmosferica.
Secondo una ricerca del 2021, la durata del giorno terrestre potrebbe aver influenzato significativamente l’attività dei cianobatteri e, di conseguenza, la velocità con cui l’ossigeno si è accumulato nell’atmosfera. Giorni più lunghi avrebbero fornito ai cianobatteri più tempo per la fotosintesi, aumentando la produzione di ossigeno.
Il legame tra la durata del giorno e l’ossigenazione atmosferica è un meccanismo complesso e ancora non del tutto chiaro. Diversi fattori potrebbero aver interagito, creando le condizioni ideali per il Grande Evento di Ossidazione. L’allungamento dei giorni sulla Terra potrebbe aver influenzato i cicli biogeochimici, rendendo disponibili maggiori quantità di nutrienti per i cianobatteri.
Un’atmosfera più densa, conseguenza dell’aumento dell’ossigeno, potrebbe aver offerto una maggiore protezione dai dannosi raggi ultravioletti, favorendo la proliferazione dei cianobatteri. Le relazioni tra i cianobatteri e altri organismi potrebbero essere state influenzate dalla durata del giorno, creando feedback positivi o negativi sulla produzione di ossigeno.
La scoperta di un legame tra la rotazione terrestre e l’ossigenazione atmosferica ha profonde implicazioni per la nostra comprensione dell’origine e dell’evoluzione della vita. Questo studio suggerisce che fattori astronomici, come la velocità di rotazione di un pianeta, possono influenzare in modo significativo la sua abitabilità e la comparsa di forme di vita complesse.
Nonostante i progressi fatti, molte domande rimangono aperte. Ad esempio, quali altri fattori, oltre alla durata del giorno, hanno contribuito al Grande Evento di Ossidazione? E quali sono le implicazioni di questa scoperta per la ricerca di vita extraterrestre? Le future ricerche si concentreranno sulla comprensione più approfondita dei meccanismi che hanno legato la rotazione terrestre all’ossigenazione atmosferica. Questo tipo di studi è fondamentale per comprendere l’evoluzione del nostro pianeta e per valutare le possibilità di trovare vita su altri mondi.
Un meccanismo complesso
Le profondità del lago Huron custodiscono un segreto che getta luce su uno dei più grandi cambiamenti avvenuti sulla Terra: l’emergere dell’ossigeno nell’atmosfera. In un’area nota come Middle Island Sinkhole, si trovano dei tappeti microbici che rappresentano una sorta di “fossile vivente”, offrendo agli scienziati l’opportunità di osservare in azione processi simili a quelli che hanno portato al Grande Evento di Ossidazione.
Questi tappeti microbici sono un vero e proprio campo di battaglia biologico, dove due tipi di microrganismi competono per la sopravvivenza: i cianobatteri viola e i microrganismi bianchi. I primi, simili ai loro antenati che hanno popolato la Terra miliardi di anni fa, sono fotosintetici e producono ossigeno. I secondi, invece, sono specializzati nel metabolismo dello zolfo e prosperano in ambienti privi di ossigeno.
Judith Klatt, geomicrobiologa del Max Planck Institute, ha sottolineato un aspetto curioso del comportamento dei cianobatteri nel lago Huron: ‘Nonostante possano iniziare la fotosintesi e produrre ossigeno, ci vogliono alcune ore prima che si attivino completamente. Sembrano avere difficoltà a svegliarsi al mattino‘. Questo ritardo nell’avvio della produzione di ossigeno ha catturato l’attenzione dell’oceanografo Brian Arbic, che si è chiesto se un fenomeno simile possa aver influenzato l’ossigenazione globale nel passato.
Per verificare questa ipotesi, il team di ricerca ha condotto una serie di esperimenti sia in situ che in laboratorio, monitorando attentamente il comportamento dei cianobatteri in risposta a variazioni nella durata del giorno e dell’intensità luminosa. Attraverso modelli matematici dettagliati, i ricercatori hanno poi correlato questi dati con la storia dell’ossigenazione terrestre.
Come ha sottolineato Arjun Chennu del Leibniz Centre for Tropical Marine Research: “L’intuizione era che un giorno più corto, con due cicli luce-buio, avrebbe portato a una produzione di ossigeno simile a quella di un giorno più lungo, con un solo ciclo. In altre parole, la luce solare, più che la sua durata complessiva, sembra essere il fattore determinante per la fotosintesi dei cianobatteri“.
Il rilascio di ossigeno da parte dei tappeti batterici non è immediato e direttamente proporzionale alla quantità di luce solare assorbita. La diffusione molecolare, un processo relativamente lento, limita la velocità con cui l’ossigeno prodotto dalla fotosintesi può diffondersi nell’ambiente circostante. È proprio questo sottile sfasamento tra produzione e rilascio di ossigeno che ha permesso ai ricercatori di comprendere meglio come la durata del giorno abbia influenzato l’ossigenazione globale.
Simulazioni al computer hanno mostrato che l’allungamento graduale del giorno terrestre ha favorito un aumento progressivo dei livelli di ossigeno nell’atmosfera, un processo che ha caratterizzato non solo il Grande Evento di Ossidazione, ma anche il successivo Evento di Ossigenazione Neoproterozoico.
Conclusioni
Questo studio rappresenta un passo avanti significativo nella nostra comprensione dell’evoluzione della Terra. Abbiamo dimostrato che la durata del giorno, un fattore apparentemente astratto, può avere un impatto concreto sulla vita sul nostro pianeta. Collegando la danza delle molecole nel tappeto microbico alla danza del nostro pianeta e della sua Luna, abbiamo gettato nuova luce sui meccanismi che hanno guidato l’ossigenazione della Terra.
L’intelligenza artificiale sta vivendo una nuova era, con i cosiddetti “agenti AI” pronti a rivoluzionare il modo in cui interagiamo con la tecnologia. Questi modelli avanzati, in grado di operare autonomamente all’interno di ambienti digitali, promettono di diventare i nostri assistenti virtuali più sofisticati, svolgendo compiti complessi al posto nostro.
Agenti AI: la prossima frontiera dell’intelligenza artificiale e le sfide della sicurezza
Microsoft e Anthropic hanno già fatto i primi passi in questa direzione, presentando agenti AI capaci di eseguire una vasta gamma di attività, dalla ricerca di informazioni alla gestione di calendari. L’idea è affascinante: avere a disposizione un dipendente virtuale sempre pronto a rispondere alle nostre esigenze. Nonostante il potenziale enorme, lo sviluppo di questi agenti non è privo di sfide.
OpenAI, leader indiscusso nel campo dell’IA, ha deciso di procedere con cautela. Il motivo di questo ritardo risiede in un tipo specifico di attacco informatico noto come “iniezione rapida”. Queste tecniche sfruttano le vulnerabilità dei modelli linguistici di grandi dimensioni (LLM) per indurli a eseguire azioni non desiderate.
Immagina di chiedere al tuo operator di acquistare un prodotto online. Durante questa operazione, il modello potrebbe essere deviato verso un sito web malevolo che, attraverso un comando nascosto, lo induce a ignorare l’istruzione iniziale e a rubare le tue informazioni personali.
Gli agenti AI hanno un maggiore grado di autonomia rispetto ai semplici chatbot. Questo significa che possono navigare liberamente sul web, esponendosi a un numero più elevato di minacce. Una volta compromessi, possono causare danni ben più gravi, ad esempio accedendo ai tuoi file personali o manipolando le impostazioni del tuo dispositivo.
Le “iniezioni rapide” rappresentano una seria minaccia per la sicurezza degli operator e, di conseguenza, per la privacy degli utenti. È fondamentale che gli sviluppatori mettano in atto misure di sicurezza solide per proteggere questi modelli da attacchi esterni. La domanda è: come possiamo sviluppare questi modelli in modo sicuro ed etico?
È necessario investire in tecniche di difesa sempre più sofisticate per proteggere gli agenti AI dalle “iniezioni rapide” e da altri tipi di attacchi. Gli sviluppatori devono essere trasparenti riguardo alle limitazioni e ai potenziali rischi associati agli agenti AI. La collaborazione tra ricercatori, sviluppatori e esperti di sicurezza è fondamentale per affrontare le sfide poste da questa nuova tecnologia.
Le insidie delle ‘iniezioni rapide’
Le preoccupazioni legate alla sicurezza degli agenti di intelligenza artificiale sono tutt’altro che nuove. L’esposizione a cosiddette “iniezioni rapide” rappresenta una minaccia sempre più pressante, capace di compromettere la riservatezza dei dati e manipolare il comportamento di questi sistemi.
Un recente esempio ha messo in luce la gravità del problema: un esperto di sicurezza informatica ha dimostrato come Copilot, il modello di intelligenza artificiale di Microsoft, fosse vulnerabile a questo tipo di attacchi. Attraverso semplici prompt ingegnerizzati, l’hacker è riuscito a indurre il sistema a rivelare informazioni riservate, come email e dati finanziari, e persino a imitare lo stile di scrittura di altri utenti.
Considerando che gli agenti AI sono progettati per operare in modo autonomo e interagire con una vasta gamma di sistemi e servizi, la loro vulnerabilità alle “iniezioni rapide” acquista un’importanza ancora maggiore. Affrontare il problema delle “iniezioni rapide” richiede un approccio multidisciplinare.
È necessario sviluppare algoritmi più robusti in grado di identificare e neutralizzare i tentativi di manipolazione e rendere i modelli di intelligenza artificiale più interpretabili, facilitando l’individuazione di eventuali comportamenti anomali. Favorire la collaborazione tra ricercatori, sviluppatori e esperti di sicurezza per condividere conoscenze e best practice e sensibilizzare gli utenti sui rischi connessi all’utilizzo di agenti AI e fornire loro gli strumenti necessari per proteggere i propri dati.
Anche ChatGPT, il popolare chatbot di OpenAI, non è immune da questo tipo di attacchi. Un ricercatore è riuscito a manipolare il sistema, introducendo falsi “ricordi” attraverso il caricamento di documenti esterni. Questa dimostrazione ha evidenziato come i modelli linguistici di grandi dimensioni possano essere facilmente ingannati, con potenziali conseguenze negative per la privacy e la sicurezza degli utenti.
La startup Anthropic, concorrente di OpenAI, ha adottato un approccio più permissivo nel rilascio del proprio agente AI, Claude. Nonostante la consapevolezza dei rischi legati alle “iniezioni rapide“, l’azienda si è limitata a fornire raccomandazioni generiche agli sviluppatori, sottolineando l’importanza di isolare il modello dai dati sensibili. Questa scelta ha suscitato perplessità tra gli esperti del settore, che hanno sottolineato la necessità di un approccio più rigoroso alla sicurezza.
Conclusioni
La fretta di portare sul mercato il software agentico di OpenAI potrebbe compromettere la sicurezza del sistema. Il rischio di attacchi, come le note ‘iniezioni rapide‘, è concreto e potrebbe avere gravi ripercussioni sulla privacy degli utenti.
Nonostante l’imminente rilascio, è lecito chiedersi se OpenAI abbia adottato tutte le precauzioni necessarie per garantire la sicurezza del suo software agentico. La comunità scientifica e gli utenti finali si aspettano maggiori garanzie, soprattutto in considerazione dei rischi legati alle ‘iniezioni rapide’.
Il viaggio nel tempo, da sempre affascinante argomento della fantascienza, ha a lungo oscillato tra il regno della pura speculazione e quello della plausibilità scientifica. Il famigerato “paradosso del nonno“, che sembrava porre un limite invalicabile a questa possibilità, ha per decenni alimentato dubbi e scetticismo. Tuttavia, un recente studio potrebbe aver aperto una nuova e inaspettata porta verso il passato, offrendo una soluzione elegante a questo antico enigma.
La relatività generale e le curve chiuse simili al tempo
La chiave per comprendere questa rivoluzionaria prospettiva risiede nella teoria della relatività generale di Einstein. Questa teoria, che ha rivoluzionato la nostra comprensione della gravità e della struttura dell’universo, ci mostra come lo spazio-tempo non sia un palcoscenico statico su cui si svolgono gli eventi, ma piuttosto un tessuto dinamico che può curvarsi, distendersi e persino attorcigliarsi sotto l’influenza della materia e dell’energia.
Una delle implicazioni più interessanti della relatività generale è la possibilità dell’esistenza di curve chiuse simili al tempo (CTC). Si tratta di percorsi nello spazio-tempo che si ripiegano su se stessi, creando un loop temporale. Un viaggiatore che intraprendesse una tale curva potrebbe teoricamente tornare a un punto precedente della sua linea temporale, potenzialmente alterando il corso degli eventi di un ipotetico viaggio nel tempo.
Lo studio condotto da Lorenzo Gavassino, fisico della Vanderbilt University, aggiunge un tassello fondamentale a questo puzzle. L’autore suggerisce che se l’universo nel suo insieme ruotasse, lo spazio-tempo potrebbe deformarsi in modo tale da creare le condizioni ideali per la formazione di CTC. La rotazione della materia, infatti, trascinerebbe con sé il tessuto dello spazio-tempo, creando una sorta di vortice temporale.
Sebbene il nostro universo non sembri ruotare su larga scala, oggetti celesti come i buchi neri, con le loro immense masse in rotazione, potrebbero generare effetti locali simili. Le regioni circostanti un buco nero, caratterizzate da una curvatura estrema dello spazio-tempo, potrebbero presentare le condizioni necessarie per l’emergere di curve chiuse simili al tempo.
Il nuovo studio, combinando la relatività generale con la meccanica quantistica e la termodinamica, sembra offrire una soluzione al paradosso del nonno. Se il viaggio nel tempo fosse possibile attraverso le CTC, le leggi della fisica potrebbero imporre delle restrizioni che impedirebbero al viaggiatore di alterare il passato in modo contraddittorio.
Ad esempio, potrebbe essere impossibile interagire con se stessi nel passato in modo tale da impedire la propria nascita. Questo potrebbe essere dovuto a una sorta di principio di auto-consistenza, secondo il quale la storia deve necessariamente evolversi in modo da preservare la propria coerenza logica.
Viaggio nel tempo: un’intuizione rivoluzionaria
La ricerca di Gavassino rappresenta un passo avanti significativo nell’intersezione tra termodinamica, meccanica quantistica e relatività generale. L’autore, ispirandosi al lavoro di Rovelli, ha posto l’accento su un aspetto poco esplorato della fisica: il comportamento della termodinamica in condizioni estreme, come quelle presenti su una curva chiusa di tipo tempo (CTC).
Il concetto chiave della ricerca è l’inversione dell’entropia all’interno di una CTC. L’entropia, comunemente associata all’aumento del disordine in un sistema isolato, viene qui presentata come una quantità che può fluttuare e persino diminuire sotto determinate condizioni. Le fluttuazioni quantistiche, amplificate dall’ambiente peculiare di una CTC, sarebbero in grado di contrastare l’usuale tendenza all’aumento dell’entropia.
La possibilità di annullare eventi passati solleva interrogativi sulla natura della causalità e sui famosi paradossi dek viaggio nel tempo, come quello del nonno. Gavassino suggerisce che, all’interno di una CTC, questi paradossi potrebbero essere risolti grazie all’azione delle fluttuazioni quantistiche che ripristinano un equilibrio termodinamico.
È importante sottolineare che la ricerca di Gavassino è di natura teorica e si basa su modelli altamente idealizzati. La verifica sperimentale di queste previsioni è attualmente al di là delle nostre capacità tecnologiche. Questo lavoro apre nuove e stimolanti prospettive di ricerca, invitando a riconsiderare le nostre nozioni di viaggio nel tempo, causalità e irreversibilità.
Come affermato da Gavassino, la maggior parte dei pensatori ha postulato che, ammesso il viaggio nel tempo, la natura sarebbe intrinsecamente predisposta a evitare paradossi temporali. Questo principio di autoconsistenza, lungamente dibattuto, è stato ora formalizzato da Gavassino attraverso un rigoroso approccio quantistico. Utilizzando esclusivamente gli strumenti della meccanica quantistica standard, egli ha dimostrato che l’autoconsistenza della linea temporale emerge come una conseguenza diretta delle leggi fondamentali della natura a livello quantistico, senza richiedere assunzioni aggiuntive.
Le teorie dello studioso, pur offrendo un quadro teorico solido, pongono interrogativi profondi sulla natura del tempo e della causalità. La comunità scientifica, tuttavia, è ancora divisa sull’esistenza concreta delle curve chiuse di tipo tempo. Hawking, con la sua congettura di protezione cronologica, ha introdotto un elemento di cautela, suggerendo che l’universo potrebbe avere dei meccanismi di autodifesa che impediscono la violazione della causalità. Questa prospettiva solleva interessanti questioni filosofiche sul libero arbitrio e sulla natura del passato, presente e futuro.
Conclusioni
L’interesse di Gavassino per i loop temporali non si limita alla fantascienza, ma si estende a questioni fondamentali della fisica. Lo studio di questi scenari ipotetici, infatti, ci costringe a ripensare il ruolo dell’entropia nella struttura dell’Universo. Anche se il viaggio nel tempo potrebbe non esistere a livello macroscopico, la modellizzazione di questi sistemi potrebbe fornire preziose indicazioni sul comportamento della materia a scale estremamente piccole, aprendo nuove prospettive nella comprensione della fisica quantistica e della gravità quantistica.
Secondo la visione convenzionale della storia, gli esseri umani camminano sulla Terra nella nostra forma attuale sola da circa 200.000 anni. Le antiche civiltà che si sono succedute hanno lentamento scoperto e applicato la tecnologia ma gran parte dell’ingegnosità meccanica che conosciamo nei tempi moderni ha iniziato a svilupparsi solo con la rivoluzione industriale, un paio di centinaia di anni fa.
Ooparts (artefatti fuori luogo) è un termine applicato a dozzine di oggetti preistorici rinvenuti in vari luoghi del mondo che sembrano mostrare un livello di avanzamento tecnologico incongruo con l’epoca a cui sembrano risalire.
Molti scienziati tentano di spiegarli usando fenomeni naturali. Altri affermano che tali spiegazioni ignorano le prove crescenti secondo cui sono esistite civiltà preistoriche che possedevano una conoscenza tecnologica avanzata che è stata persa nel corso dei secoli, che poi è stata riscoperta solo nei tempi moderni.
Esamineremo alcuni ooparts le cui presunte data di origine risalgono a periodi variabili da milioni di anni fa a qualche centinaia di anni fa, oggetti che, secondo alcuni studiosi, non potevano essere stati costruiti nell’epoca cui vengono attribuiti, secondo le conoscenze storiche ufficiali.
In questo articolo non affermiamo che tutti o parte di questi ooparts siano prove definitive dell’esistenza di civiltà preistoriche avanzate, ma piuttosto tentiamo di fornire una breve occhiata a ciò che è noto o ipotizzato su questi artefatti. Questo non è un elenco completo di tutti gli oopart, ma è un campione sostanziale.
Batterie vecchie di 2000 anni? La pila di Bagdad
A destra: un’illustrazione di una batteria di Baghdad dalle immagini dei reperti del museo. (Ironie/Wikimedia Commons)
Giare di argilla con tappi di asfalto e sbarre di ferro realizzate circa 2000 anni fa, dette anche pile di Bagdad, si sono dimostrate in grado di generare più di un volt di elettricità. Queste antiche “batterie” furono trovate dall’archeologo tedesco Wilhelm Konig nel 1938 appena fuori Baghdad, in Iraq.
“Le batterie hanno sempre suscitato interesse come curiosità”, ha detto alla BBC nel 2003 il dottor Paul Craddock, esperto di metallurgia presso il British Museum. “Sono un ritrovamento unico. Per quanto ne sappiamo, nessun altro ha trovato nulla di simile. Sono cose strane; sono uno degli enigmi della storia”.
Antica lampadina egiziana? La lampada di Dendera
L’oggetto simile a una lampadina inciso in una cripta sotto il Tempio di Hathor in Egitto. (Lasse Jensen/Wikimedia Commons)
Un rilievo sotto il Tempio di Hathor a Dendera, in Egitto, raffigura figure in piedi attorno a un grande oggetto simile a una lampadina. Erich Von Däniken, che ha scritto “Chariot of the Gods“, ha creato un modello della lampadina che funziona quando è collegata a una fonte di alimentazione, emettendo una luce inquietante e violacea.
Grande Muraglia del Texas
Nel 1852, in quella che oggi è conosciuta come Rockwall Co., Texas, gli agricoltori che scavavano un pozzo scoprirono quello che sembrava essere un antico muro di roccia. Si stima che abbia dai 200.000 ai 400.000 anni, alcuni dicono che sia una formazione naturale mentre altri dicono che è stato chiaramente creata dall’uomo.
Il dottor John Geissman dell’Università del Texas, a Dallas, ha testato le rocce per un documentario di History Channel. Ha scoperto che sono tutti magnetizzati allo stesso modo, suggerendo che si sono formati dove si trovano e non sono stati spostati in quel sito da altrove. Ma alcuni non sono convinti di questo singolo test e chiedono ulteriori studi.
Il geologo James Shelton e l’architetto di Harvard John Lindsey hanno notato elementi che sembrano essere di design architettonico, inclusi archi, portali architravati e aperture quadrate che ricordano finestre.
Reattore nucleare di 1,8 miliardi di anni fa?
Nel 1972, una fabbrica francese importò minerale di uranio da Oklo, nella Repubblica africana del Gabon. L’uranio era già stato estratto. Hanno scoperto che il sito di origine apparentemente funzionava come un reattore nucleare su larga scala 1,8 miliardi di anni fa ed è stato in funzione per circa 500.000 anni.
Il dottor Glenn T. Seaborg, ex capo della Commissione per l’energia atomica degli Stati Uniti e vincitore del premio Nobel per il suo lavoro nella sintesi di elementi pesanti, ha spiegato perché crede che non si tratti di un fenomeno naturale perchè affinché l’uranio “bruci” in una reazione, sono necessarie condizioni molto precise.
L’acqua deve essere estremamente pura, per esempio. Molto più pura di quanto esista in natura. L’U-235 è necessario affinché avvenga la fissione nucleare. È uno degli isotopi che si trovano naturalmente nell’uranio. Diversi specialisti in ingegneria dei reattori hanno affermato di ritenere che l’uranio di Oklo non avrebbe potuto essere abbastanza ricco di U-235 perché una reazione avvenisse naturalmente.
I creatori di mappe marittime prima che l’Antartide fosse ricoperta di ghiaccio?
Alcuni pensano che una mappa creata dall’ammiraglio e cartografo turco Piri Reis nel 1513, ma derivata da varie mappe precedenti, rappresenti l’Antartide com’era in un’epoca molto remota prima che fosse ricoperta di ghiaccio.
La mappa mostrerebbe una massa continentale sporgere dalla costa meridionale del Sud America. Il capitano Lorenzo W. Burroughs, dell’aeronautica americana nella sezione cartografica, scrisse una lettera al dottor Charles Hapgood nel 1961 dicendo che questa massa continentale sembra mostrare accuratamente la costa dell’Antartide come è sotto il ghiaccio.
Il Dr. Hapgood (1904–1982) fu uno dei primi a suggerire pubblicamente che la mappa di Piri Reis rappresenti l’Antartide in epoca preistorica. Era uno storico istruito ad Harvard le cui teorie sui cambiamenti geologici guadagnarono l’ammirazione di Albert Einstein. Hapgood ha ipotizzato che le masse terrestri si siano spostate, spiegando perché l’Antartide è mostrato come collegato al Sud America.
Gli studi moderni confutano la teoria di Hapgood secondo cui un tale cambiamento avrebbe potuto avvenire entro migliaia di anni, ma mostrano che potrebbe essere avvenuto entro milioni di anni.
Rilevatore di terremoti di 2.000 anni
Nel 132 d.C., Zhang Heng creò il primo sismoscopio al mondo. Come funzioni esattamente rimane un mistero, ma le repliche hanno funzionato con una precisione paragonabile agli strumenti moderni.
Le cronache riportano che nel 138 d.C. il sismoscopio indicò correttamente il verificarsi di un terremoto a circa 500 chilometri a ovest di Luoyang, la capitale. Nessuno aveva sentito il terremoto a Luoyang e l’avvertimento non fu creduto fino a quando un messaggero giunse, giorni dopo, chiedendo aiuto.
Tubi di 150.000 anni?
Le grotte vicino al Monte Baigong in Cina contengono tubi che conducono a un lago vicino. Sono stati datati dall’Istituto di geologia di Pechino a circa 150.000 anni fa, secondo Brian Dunning di Skeptoid.com.
Il media statale Xinhua ha riferito che i tubi sono stati analizzati in una fonderia locale e l’8% del materiale non è stato identificato. Zheng Jiandong, un ricercatore di geologia della China Earthquake Administration, ha dichiarato nel 2007 al quotidiano statale People’s Daily che alcuni tubi erano altamente radioattivi.
Jiandong ha affermato che magma ricco di ferro potrebbe essere salito dalle profondità della Terra, portando il ferro in fessure dove potrebbe essersi solidificato in tubi. Anche se ha ammesso: “C’è davvero qualcosa di misterioso in questi tubi“. Ha citato la radioattività come esempio delle strane qualità dei tubi.
Meccanismo di Antikythera
Un meccanismo, spesso indicato come un antico “computer”, costruito dai greci intorno al 150 aC, era in grado di calcolare i cambiamenti astronomici con grande precisione.
“Era talmente sofisticato che, se non fosse stato scoperto, nessuno avrebbe creduto alla sua esitenza“, ha detto il matematico Tony Freeth in un documentario NOVA. Mathias Buttet, direttore della ricerca e dello sviluppo per il produttore di orologi Hublot, ha dichiarato in un video rilasciato dal Ministero della Cultura e del Turismo della Repubblica ellenica: “Questo meccanismo di Antikythera include caratteristiche ingegnose che non si trovano nella moderna orologeria“.
Punta da trapano nel carbone
Un certo John Buchanan, il 13 dicembre 1852 presentò un oggetto misterioso a una riunione della Society of Antiquaries of Scotland. Una punta da trapano era stata trovata incapsulata in uno spesso strato di carbone, sepolto in un letto di argilla mista a massi spesso oltre 2 metri.
Si dice che il carbone della Terra si sia formato centinaia di milioni di anni fa. La Società ha deciso che lo strumento era di aspetto moderno e probabilmente parte di un trivellatore rotto durante una precedente ricerca di carbone.
Il rapporto dettagliato di Buchanan non includeva alcun segno che il carbone che circondava lo strumento fosse stato già perforato.
Sfere vecchie di 2,8 miliardi di anni?
Alcuni hanno detto che queste sfere con sottili scanalature attorno a loro trovate nelle miniere in Sud Africa sono masse di materia minerale formate naturalmente. Altri hanno affermato che sono state modellate con precisione da una mano umana preistorica.
“I globi, che hanno una struttura fibrosa all’interno con un guscio attorno, sono molto duri e non possono essere graffiati, nemmeno dall’acciaio“, ha detto Roelf Marx, curatore del museo di Klerksdorp, in Sud Africa, secondo il libro di Michael Cremo “Archeologia proibita: la storia nascosta della razza umana“. Marx sostiene che le sfere hanno circa 2,8 miliardi di anni.
Se sono masse minerali, non è chiaro come si siano formate esattamente.
Colonna di ferro di Delhi
Questo pilastro ha almeno 1.500 anni, ma potrebbe essere più vecchio. Rimane privo di ruggine ed è di una purezza sbalorditiva. È composto per il 99,72% da ferro, secondo il professor AP Gupta, capo del Dipartimento di scienze applicate e scienze umane presso l’Istituto di tecnologia e gestione in India.
Nei tempi moderni, il ferro battuto viene realizzato con una purezza del 99,8 per cento, ma contiene manganese e zolfo, due ingredienti assenti nel pilastro.
È stato realizzato almeno “400 anni prima che la più grande fonderia conosciuta del mondo potesse produrlo“, ha scritto John Rowlett in “A Study of the Craftsmen of Ancient and Medieval Civilizations to Show the Influence of their Training on our Present Day Method of Educazione commerciale”.
Spada vichinga Ulfbehrt
Quando gli archeologi trovarono la spada vichinga Ulfbert, risalente all’800-1000 d.C., rimasero sbalorditi. Non riuscivano a vedere come la tecnologia per realizzare una tale spada fosse disponibile prima della Rivoluzione Industriale, 800 anni dopo.
Il suo contenuto di carbonio è tre volte superiore rispetto ad altre spade del suo tempo e le impurità sono state rimosse a tal punto che il minerale di ferro deve essere stato riscaldato ad almeno 3.000 gradi Fahrenheit.
Con grande sforzo e precisione, il moderno fabbro Richard Furrer del Wisconsin ha forgiato una spada di qualità Ulfberht utilizzando la tecnologia che sarebbe stata disponibile nel Medioevo. Ha detto che era la cosa più complicata che avesse mai fatto, e ha usato metodi che non si sapeva fossero stati usati da persone di quel tempo.
Ponte vecchio di un milione di anni?
Secondo un’antica leggenda indiana, il re Rama costruì un ponte tra l’India e lo Sri Lanka più di un milione di anni fa. Quelli che sembrano essere i resti di un tale ponte sono stati visti dalle immagini satellitari, ma molti dicono che si tratta di una formazione naturale.
Il dottor Badrinarayanan, ex direttore del Geological Survey of India, ha studiato i campioni ricavate dal carotaggio del presunto. Rimase perplesso dalla presenza di massi sopra uno strato di sabbia marina e ipotizzò che i massi dovessero essere stati posizionati artificialmente.
Nessuna singola spiegazione naturale è stata concordata dai geologi. La datazione è, però, controversa poiché alcuni affermano che una determinata parte del ponte (come i campioni di corallo) non può fornire un’immagine fedele dell’età dell’intero ponte.
Candela di 500.000 anni?
Nel 1961, tre persone erano alla ricerca di geodi per il loro negozio di gioielli e articoli da regalo a Olancha, in California, quando trovarono quella che sembrava essere una candela da auto racchiusa in un geode. Virginia Maxey, una dei tre scopritori, disse all’epoca che un geologo esaminò i fossili attorno al dispositivo e datò il dispositivo a 500.000 anni o più.
Il geologo non è mai stato nominato e l’attuale ubicazione del manufatto è sconosciuta. I critici dell’affermazione, Pierre Stromberg e Paul V. Heinrich, hanno esaminato una lastra ai raggi X e uno schizzo del manufatto. La loro conclusione è che si trattava di una candela moderna racchiusa in una concrezione di rapida formazione piuttosto che un geode.
Muro preistorico vicino alle Bahamas?
Un muro di roccia a forma di blocco grande e spesso è stato trovato al largo della costa delle Bahamas nel 1968. L’archeologo William Donato ha condotto più immersioni per indagare sul muro e ipotizza che si tratti di una struttura artificiale di circa 12.000-19.000 anni costruita per proteggere un insediamento preistorico dalle onde.
Ha scoperto che si tratta di una struttura a più livelli che include pietre di sostegno che sembrano essere state collocate lì da mani umane. Ha anche trovato quelle che crede essere pietre di ancoraggio con fori per le corde.
Il dottor Eugene Shinn, un geologo in pensione che ha lavorato per l’US Geological Survey, ha detto che i campioni di roccia di base che ha prelevato sembrano essersi fermati dove si trovano e non si sono formati altrove per poi essere trasportati nella sua posizione attuale.
I suoi scritti successivi affermano che tutti i campioni portano a conclusioni simili, cosa che sembra dimostrare che si tratta di una formazione naturale.